Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 15553 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 15553 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/09/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letti i motivi nuovi depositati dall’AVV_NOTAIO del foro di Roma.
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MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Roma ha confermato la pronuncia del Tribunale locale del 14 giugno 2023, con la quale NOME COGNOME, all’esito di giudizio abbreviato, veniva condanNOME in ordine al reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/1990 per avere detenuto, occultato all’interno della propria autovettura, un panetto di sostanza cocaina del peso di gr. 1.100 dal quale era possibile ricavare 4.913 dosi singole medie.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, affidandolo a due motivi: con il primo si deduce vizio di motivazione con riferimento agli artt. 192 e 530, comma 2, e 533 cod. proc. pen., per avere la Corte di appello affermato la configurabilità del reato di illecita deten zione ai fini di spaccio ex art. 73 d.p.r. n. 309/1990 in difetto di una valutazion complessiva di tutte le emergenze processuali dato che non vi erano elementi idonei a ritenere la sostanza destinata allo spaccio; con il secondo si lamenta violazione di legge in relazione alla mancata riqualificazione del fatto in quello di liev entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990.
3. Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.
Entrambi i motivi di censura, si risolvono in una difforme interpretazione degli elementi probatori acquisiti rispetto a quella sposata dai giudici di merito, non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità, perché volti a prefigurare una rivalutazione e/o alternativa rilettura delle fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimità e avulse da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali, invece, correttamente valorizzate dai giudici di merito (si veda, in particolare, pagg. 2-3 del provvedimento impugNOME).
Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di un’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, anche qualora indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., Se 6, n. 5465 del 04/11/2020, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. I, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
La sentenza impugnata si colloca nell’alveo del consolidato insegnamento di questa Corte di legittimità, secondo il quale il dato ponderale dello stupefacente rinvenuto e l’eventuale superamento del limite tabellare previsto dall’art. 73, comma primo bis, lett. a), d.P.R. n. 309 del 1990 se da soli non costituiscono prova decisiva dell’effettiva destinazione della sostanza allo spaccio, possono comunque legittimamente concorrere a fondare, unitamente ad altri elementi, tale
conclusione (così Sez. 6, n. 11025 del 6/3/2013, COGNOME ed altro, Rv. 255726;
Sez. 6, n. 9723 del 17/1/2013, Serafino, Rv. 254695).
La Corte territoriale, infatti, con argomentazione immune da censure, ha ritenuto che la quantità di droga rinvenuta (pari a 1,100 kg di cocaina) e il numero
di dosi medie ricavabili dal principio attivo contenuto, risultate pari a 4913, unita mente alle modalità di occultamento (al di sotto di due matasse di fili elettrici
all’interno dell’autovettura dell’imputato, fossero elementi del tutto incompatibil con una finalità meramente personale della detenzione, nonché, evidentemente,
con la configurabilità di un’ipotesi delittuosa di lieve entità.
E’ noto che in tema di stupefacenti, la fattispecie del fatto di lieve entità di c all’art. 73, comma 5, d.P.R., n. 309 del 1990- anche all’esito della formulazione
normativa introdotta dall’art. 2 del D.L. n. 146 del 2013 (conv. in legge n. 10 del
2014) e della legge 16.05.2014 n. 79 che ha convertito con modificazioni il de- creto-legge 20.3.2014 n. 36- può essere riconosciuta solo nell’ipotesi di minima
offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, mo-
dalità e circostanze dell’azione), con una valutazione che deve essere complessiva, ma al cui esito è possibile che uno degli indici previsti dalla legge risulti negativa mente assorbente, ogni altra considerazione restando priva di incidenza sul giudizio (così Sez. U. n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076 che, a pag. 14 della motivazione, ricordano che rimangono pertanto attuali i principi affermati nei precedenti arresti delle Sez. U., n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911 e Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216668).
All’inammissibilità del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Deciso in data 8 aprile 2025