Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 33709 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 33709 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nata a Stigliano il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/11/2024 della Corte di appello di Potenza visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio limitatamente alla pena e rigetto nel resto.
udito il difensore di COGNOME NOME, AVV_NOTAIO COGNOME, quale sostituto dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME, per il tramite del difensore, ricorre avverso la decisione della Corte di appello di Potenza che ha confermato, per quel che in questa sede rileva, la sentenza del Tribunale di Matera che aveva ritenuto la medesima responsabile in ordine al delitto di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, condannandola alla pena di sei mesi di reclusione ed euro 1.000,00 di multa.
Secondo l’accusa NOME COGNOME avrebbe illecitamente detenuto, il 12 maggio 2018, per uso non esclusivamente personale, grammi 41 circa di sostanza stupefacente del tipo hashish, custodita all’interno di un cofanetto riposto nell’armadio della camera da letto ove erano conservati gli indumenti personali della donna.
Secondo quanto rilevato dalla Corte di appello, gli elementi valorizzati dalla decisione di primo grado erano sufficienti a ritenere che lo stupefacente fosse riconducibile alla COGNOME in quanto custodito tra gli effetti, personali, escludendo che detta condotta potesse essere qualificata di mera connivenza e la rilevanza dell’assunzione di responsabilità del convivente arrestato il giorno prima.
2. La ricorrente deduce tre motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo deduce vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. con riferimento all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 e all’art. 192 cod. proc. pen. nella parte in cui la decisione ha ritenuto sussistente la prova della titolarità della sostanza stupefacente sul presupposto della valorizzata circostanza che la stessa si trovasse all’interno dell’armadio della camera da letto tra i vestiti della donna, dato non univoco che non prende in considerazione la dichiarazione autoaccusatoria resa in merito dal convivente della ricorrente, arrestato il giorno prima per analogo reato.
La Corte di appello si è limitata ad ipotizzare che la COGNOME avesse aiutato il convivente, arrestato il giorno prima, a nascondere la sostanza poi utilizzata per la cessione a terzi, senza spiegare in cosa sia consistita la concreta attività posta in essere dalla medesima. Si rivela illogico l’ipotizzato affidamento riposto nella condotta della donna da parte del convivente che avrebbe custodito lo stupefacente in quel luogo – in detti termini la Corte di appello – al fine di evitare che la sostanza stupefacente fosse rinvenuta, condotta che si assume non essere non sufficiente ad integrare l’ipotesi concorsuale nel reato di detenzione ai fini di spaccio della sostanza stupefacente.
2.2. Con il secondo motivo si deducono vizi di motivazione e violazione dell’art. 110 cod. pen. ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. nella parte in cui è stato attribuito il concorso nel reato della COGNOME, ipotesi non oggetto di contestazione, senza che fosse individuata la specifica condotta ascrivibile all’imputata in un contesto che prevedeva la altrui detenzione; non viene fornita spiegazione del concreto e specifico contributo materiale fornito dalla ricorrente.
2.3. Con il terzo motivo si deducono vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in ordine alla determinazione della pena.
La difesa censura la decisione che, nonostante specifici profili di censura contenuti nel motivo di gravame (pena sopra il minimo, incensuratezza e assenza di consapevolezza), ha omesso ogni motivazione sul punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato
2. I primi due motivi, che sostanzialmente censurano la parte della decisione che ha ritenuto di attribuire il possesso dello stupefacente alla ricorrente, quantomeno in termini di concorso di persone nel reato con il convivente, arrestato il giorno precedente al rinvenimento e sequestro della sostanza stupefacente del tipo hashish all’interno dell’armadio deputato a custodire gli abiti della donna, è infondato.
2.1. Ai fini dell’integrazione del concorso nel reato ed in particolare, per quel che concerne il caso sottoposto a scrutinio, nel delitto di illecita detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente, è necessario un contributo causale in termini, sia pur minimi, di facilitazione della condotta delittuosa, mentre la semplice conoscenza o anche l’adesione morale, l’assistenza inerte non realizzano la fattispecie concorsuale (Sez. 4, n. 3924 del 05/02/1998, Brescia, Rv. 210638; cfr. anche Sez. 6, n.11383 del 20/10/1994, COGNOME, Rv. 199634).
Di contro, per la configurazione del concorso, è sufficiente la partecipazione all’altrui attività criminosa con la volontà di adesione, che può manifestarsi in forme agevolative della detenzione, consistente nella consapevolezza di apportare un contributo causale alla condotta altrui già in atto, assicurando all’agente una certa sicurezza ovvero garantendo, anche implicitamente, una collaborazione in caso di bisogno, in modo da consolidare la consapevolezza nell’altro di poter contare su una propria attiva collaborazione (cfr., con riferimento al concorso del coniuge, Sez. 6, n. 9986 del 20/05/1998, COGNOME, Rv. 211587).
Sotto altro – ma pertinente – aspetto, deve farsi cenno all’indirizzo interpretativo di questa Corte / secondo cui la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato va individuata nel fatto che, mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, nel concorso di persona punibile è richiesto, invece, un contributo partecipativo – morale o materiale – alla condotta criminosa altrui, caratterizzato, sotto il profil psicologico, dalla coscienza e volontà di arrecare un contributo concorsuale alla
realizzazione dell’evento illecito (Sez. 6, n. 14606 del 18/02/2010, lemma, Rv. 247127; Sez. 4, n. 4948 del 22/01/2010, COGNOME, Rv. 246649).
In ordine al contributo partecipativo, significativa si ritiene la condotta tesa all’occultamento, custodia e controllo dello stupefacente che, per essere finalizzata ad evitare che lo stesso venga rinvenuto e quindi a protrarne la illegittima detenzione, costituisce apporto concorsuale al reato in questione (Sez. 4, n. 40167 del 16/06/2004, Volpe, Rv. 229565). Il principio di diritto si è ritenuto ricorresse proprio nei · casi di convivenza nella stessa abitazione, consentendo di valutare in termini di concorso di persone l’apporto, per esempio, fornito dal figlio, titolare dell’appartamento in cui lo stupefacente era nascosto (Sez. 4, n. 12777 del 12/10/2000, COGNOME F, Rv. 217903).
2.2. Ciò premesso al fine di circoscrivere l’ambito entro il quale deve ritenersi sussistente l’ipotesi concorsuale, si osserva come la Corte di appello abbia sul punto reso adeguata motivazione allorché ha valorizzato in maniera determinante la specifica allocazione ed il nascondiglio dello stupefacente che era occultato all’interno di un cofanetto riposto nella parte dell’armadio in cui erano riposti i vestiti della ricorrente. Il Collegio di merito, inoltre, ha ritenuto di poter valutare a favore della donna le dichiarazioni rese dal convivente COGNOME COGNOME, arrestato il giorno precedente per analoghi reati, rilevando come dette dichiarazioni,. fosserosolo tese ad aiutare la ricorrente nel tentativo di alleggerire la relativa posizione.
Detta valutazione in ordine alla veridicità delle dichiarazioni del convivente, poiché involgenti il merito della vicenda, non manifestamente illogica e fondata su elementi probatori adeguatamente apprezzati, non è sindacabile in sede di legittimità.
Non fa venir meno la riferibilità alla donna della sostanza stupefacente la risposta che ha fornito la Corte di appello in ordine alle plausibili finalità dell’occultamento in quel luogo della sostanza stupefacente. Tali illazioni, seppur non corroborate da alcun concreto elemento (tanto che lo stesso Collegio di merito le ha prospettate come meramente ipotetiche), non incidono negativamente sul dato di comune esperienza, comunque tenuto presente ed apprezzato dalla Corte territoriale, che ha visto assegnare valenza determinante al fatto che lo stupefacente fosse stato occultato in un luogo di esclusiva pertinenza della ricorrente.
Infondato risulta, pertanto, l’assunto secondo cui non sussisterebbero gli elementi significativi che esplicitino la condotta in concreto contestata alla ricorrente.
Ed infatti, seppure questa Corte abbia avuto modo di statuire che integra la connivenza non punibile una condotta meramente passiva, consistente
nell’assistenza inerte, inidonea ad apportare un contributo causale alla realizzazione dell’illecito, di cui pur si conosca la sussistenza, escludendo la penale rilevanza nella condotta detentiva accertata nell’appartamento utilizzato per la comune convivenza in cui la droga era custodita (Sez. 3, n. 41055 del 22/09/2015, COGNOME, Rv. 265167 – 01), principio di diritto che la difesa reputa favorevolmente declinabile in favore della COGNOME, deve osservarsi come / nel caso di specie, l’occultamento dello stupefacente in tale significativo luogo di esclusiva pertinenza della COGNOME, segnatamente tra i vestiti della donna riposti nell’armadio della stanza da letto, realizza proprio la condotta materiale corrispondente all’illegale detenzione della sostanza stupefacente del tipo hashish, essendo invece irrilevante che la stessa sostanza potesse essere nel comune possesso del convivente, come pur ipotizzato dalla Corte di appello.
Geneticamente inammissibile risulta il terzo motivo attraverso cui si censura la mancata risposta in merito al motivo, formulato in sede di gravame, con cui si richiedeva la riduzione della pena determinata partendo appena al di sopra del minimo edittale.
Deve essere ribadito il principio di diritto secondo cui sussiste inammissibilità originaria, per carenza d’interesse, del ricorso per cassazione bio avente ad oggetto motivi non esaminati dal giudice di merito, che risulti ab origine inammissibile, ‘ per manifesta infondatezza o genericità, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez.6, n.47722 del 06/10/2015, Arcone, Rv. 265878; Sez.2, n.10173 del 16/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
A fronte di una valutazione che aveva portato il Tribunale a quantificare la pena finale per il delitto di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 in sei mesi di reclusione, previa applicazione delle circostanze attenuanti generiche e la riduzione per il rito abbreviato, richiamando espressamente i criteri di cui all’art. 133 cod. pen., generico e manifestamente infondato si rivela il mero riferimento alla “incensuratezza” svolto dalla difesa nel relativo motivo di appello (ultimo foglio motivi di gravame), motivo di fatto privo di una effettiva censura poiché non idoneo a spiegare le ragioni per cui la pena, per come determinata, dovesse ritenersi inadeguata.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, secondo quanto previsto dall’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spes processuali.
Così deciso il 16/09/2025