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Detenzione stupefacenti: la prova dello spaccio

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per detenzione stupefacenti ai fini di spaccio. La Corte ha ribadito che, per provare l’intento di spaccio, non è sufficiente il solo dato quantitativo della sostanza, ma occorre valutare un complesso di elementi indiziari come il frazionamento in dosi, il luogo del ritrovamento, il tentativo di fuga e il possesso di strumenti per il confezionamento. È stata inoltre negata l’attenuante del lucro di speciale tenuità, poiché la quantità di droga era tale da generare un profitto non minimo.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenzione di Stupefacenti: Quando la Quantità Non Basta a Provare lo Spaccio

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale in materia di reati legati agli stupefacenti: quali elementi sono necessari per distinguere la detenzione stupefacenti per uso personale da quella finalizzata allo spaccio? La Suprema Corte ha confermato che il solo peso della sostanza non è sufficiente, ma occorre una valutazione complessiva di tutte le circostanze del caso concreto.

I Fatti del Caso: Non Solo Droga addosso

Il caso esaminato riguardava un soggetto trovato in possesso di 10 grammi di hashish, suddivisi in dieci stecche, da cui si potevano ricavare circa 39 dosi medie. La difesa sosteneva che tale quantitativo fosse destinato all’uso personale. Tuttavia, la condanna nei gradi di merito si era basata non solo sul dato ponderale, ma su una serie di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti.

In particolare, gli elementi valorizzati dai giudici sono stati:

* Il luogo del controllo: l’imputato è stato fermato in un’area pubblica nota per essere una piazza di spaccio.
* Il comportamento dell’imputato: alla vista degli agenti, ha tentato la fuga.
* Il possesso di strumenti: l’uomo deteneva un grinder e un coltello intriso di sostanza stupefacente, strumenti tipicamente utilizzati per il frazionamento e il confezionamento delle dosi.
* Il confezionamento: la sostanza era già suddivisa in dosi pronte per la cessione a terzi.

L’analisi della Corte sulla detenzione stupefacenti

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le argomentazioni della difesa una semplice riproposizione di tesi già correttamente respinte dalla Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato: per accertare la finalità di spaccio, il giudice deve valutare tutte le modalità comportamentali dell’imputato che siano “astratttamente idonee a giustificare una destinazione ad uso esclusivamente personale”.

In questo caso, la somma degli indizi (fuga, luogo, strumenti, suddivisione in dosi) rendeva del tutto inverosimile la tesi dell’uso personale, indirizzando in modo univoco verso la finalità di spaccio.

Il Rigetto dell’Attenuante del Lucro di Speciale Tenuità

Un altro motivo di ricorso riguardava il mancato riconoscimento della circostanza attenuante del lucro di speciale tenuità, prevista dall’articolo 62, n. 4 del codice penale. La difesa riteneva che, essendo il fatto stato qualificato come di “lieve entità” ai sensi dell’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti, dovesse conseguire anche l’applicazione di tale attenuante.

La Cassazione ha respinto anche questa tesi, chiarendo che le due norme operano su piani diversi. La qualificazione del fatto come di “lieve entità” non comporta automaticamente il riconoscimento dell’attenuante del lucro tenue. Per quest’ultima, è necessario accertare specificamente che sia l’entità del lucro perseguito o conseguito, sia la gravità del danno o del pericolo, siano di “speciale tenuità”. Nel caso di specie, il possesso di un quantitativo idoneo a produrre quasi 40 dosi è stato ritenuto sufficiente a generare un vantaggio economico “non minimo”, escludendo così i presupposti per l’applicazione dell’attenuante.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha ritenuto il primo motivo di ricorso inammissibile in quanto reiterativo di censure già esaminate e correttamente disattese dalla corte territoriale. La valutazione complessiva degli elementi indiziari (quantità, frazionamento, luogo, tentativo di fuga, possesso di strumenti) aveva logicamente escluso la tesi dell’uso personale. Il secondo motivo è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte ha sottolineato che il riconoscimento del fatto di lieve entità (art. 73, comma 5) non implica automaticamente l’applicazione dell’attenuante del lucro di speciale tenuità (art. 62, n. 4 c.p.). Quest’ultima richiede una valutazione autonoma che, nel caso specifico, ha dato esito negativo, dato che il quantitativo detenuto era idoneo a produrre un vantaggio economico non trascurabile.

Le Conclusioni

L’ordinanza conferma che la valutazione sulla destinazione della sostanza stupefacente deve basarsi su un’analisi globale e non atomistica dei singoli elementi. La quantità è solo uno degli indizi, e il suo peso probatorio deve essere considerato insieme al comportamento dell’imputato, al contesto del ritrovamento e alla presenza di strumenti per il confezionamento. Inoltre, viene ribadita la distinzione tra la fattispecie di lieve entità e l’attenuante del lucro tenue, che richiedono accertamenti distinti e non sovrapponibili. La declaratoria di inammissibilità ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

La sola quantità di droga è sufficiente per essere condannati per spaccio?
No, la Corte ha chiarito che non ci si può limitare al dato ponderale (il peso). Per provare la finalità di spaccio, occorre valutare tutte le circostanze, come il frazionamento della sostanza in dosi, il luogo del rinvenimento, il tentativo di fuga e il possesso di strumenti per il confezionamento.

Perché non è stata concessa l’attenuante del lucro di speciale tenuità (art. 62 n. 4 c.p.)?
Perché il quantitativo di stupefacente detenuto, da cui erano ricavabili 39,4 dosi medie, è stato considerato sufficiente a generare un vantaggio economico “non minimo”. Questo ha escluso il presupposto della “speciale tenuità” del lucro richiesto dalla norma per concedere l’attenuante.

Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, come in questo caso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (in questo caso 3000 euro) in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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