Detenzione stupefacenti: quando si considera consumato il reato?
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 44576 del 2024, torna a pronunciarsi su un tema cruciale in materia di reati legati agli stupefacenti: il momento consumativo del delitto. La pronuncia chiarisce che la semplice detenzione stupefacenti con una finalità illecita, come l’introduzione in carcere, è sufficiente per integrare il reato, senza che sia necessaria l’effettiva consegna della sostanza. Questa decisione consolida un principio giurisprudenziale di fondamentale importanza pratica.
I fatti di causa
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un soggetto condannato dalla Corte d’Appello di Genova per illecita detenzione di sostanza stupefacente. La particolarità della vicenda risiedeva nella finalità della detenzione: la sostanza era destinata a essere introdotta all’interno di un istituto penitenziario. L’imputato, nel suo ricorso per Cassazione, sosteneva che il reato non si fosse consumato, poiché non era avvenuta la materiale consegna dello stupefacente.
La questione giuridica e la detenzione stupefacenti
Il nucleo della questione giuridica sottoposta alla Corte Suprema riguardava l’interpretazione del momento consumativo del reato di cessione di sostanze stupefacenti. Secondo la tesi difensiva, la mancata consegna della droga impediva di considerare il reato perfetto. Di contro, la giurisprudenza consolidata adotta un’interpretazione più ampia, ritenendo che la sola detenzione finalizzata allo spaccio o alla cessione sia di per sé sufficiente a configurare la condotta penalmente rilevante. Il ricorso, pertanto, si basava su una premessa errata e in contrasto con l’orientamento costante della Corte.
Le motivazioni della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale ha dichiarato il ricorso inammissibile per due ragioni principali: genericità e manifesta infondatezza. In primo luogo, il ricorrente non si è confrontato criticamente con le argomentazioni della sentenza impugnata, limitandosi a riproporre una tesi già respinta. In secondo luogo, e in modo dirimente, la Corte ha sottolineato che l’argomento sulla necessità della consegna è palesemente infondato.
Richiamando la propria costante giurisprudenza (in particolare la sentenza n. 14276 del 2022), la Cassazione ha ribadito che per la consumazione del reato di cessione di sostanze stupefacenti non è necessaria la materiale consegna del bene. La condotta penalmente rilevante si perfeziona già con la detenzione finalizzata a tale scopo. L’insistenza del ricorrente su un punto già ampiamente chiarito in senso contrario ha quindi reso il suo motivo di ricorso manifestamente privo di fondamento.
Le conclusioni e le implicazioni pratiche
L’ordinanza si conclude con una declaratoria di inammissibilità e la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. La Corte ha motivato tale sanzione pecuniaria evidenziando la colpa del ricorrente nell’aver proposto un ricorso privo di possibilità di accoglimento, in linea con i principi stabiliti dalla Corte Costituzionale.
Dal punto di vista pratico, questa decisione rafforza un principio fondamentale: nel contrasto al traffico di droga, l’azione penale può intervenire efficacemente già nella fase della detenzione, senza dover attendere il compimento dell’atto finale della cessione. Ciò è particolarmente rilevante in contesti sensibili come gli istituti penitenziari, dove la mera introduzione di stupefacenti rappresenta un grave pericolo per l’ordine e la sicurezza.
Per la consumazione del reato di cessione di stupefacenti è necessaria la consegna materiale della sostanza?
No, secondo la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione richiamata nell’ordinanza, la consegna materiale non è un elemento necessario per la consumazione del reato, essendo sufficiente la detenzione finalizzata alla cessione.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta che il ricorso non venga esaminato nel merito. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro a favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie con una sanzione di 3.000 euro.
Perché il ricorso è stato considerato manifestamente infondato?
Il ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato perché l’argomentazione principale del ricorrente, basata sulla necessità della consegna dello stupefacente, si poneva in diretto contrasto con un orientamento giurisprudenziale consolidato e pacifico della stessa Corte di Cassazione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 44576 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 44576 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME (CUI CODICE_FISCALE nato a COSENZA il 19/05/1978
avverso la sentenza del 07/03/2024 della CORTE APPELLO di GENOVA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Letto GLYPH il GLYPH ricorso GLYPH proposto GLYPH nell’interesse GLYPH di GLYPH Pilerio GLYPH Libero avverso la sentenza in epigrafe;
esaminati gli atti e il provvedimento impugnato;
ritenuto che il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza del motivo dedotto che, omettendo il dovuto confronto critico con le corrette argomentazioni della sentenza impugnata (si veda p. 3), a fronte della ritenuta affermazione di responsabilità per la ille detenzione della sostanza stupefacente, destinata alla introduzione all’interno del carcere d Genova Marassi, erroneamente insiste sulla necessità della consegna al fine della consumazione del reato, consegna che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte non è necessaria neanche per la consumazione della cessione delle sostanze stupefacenti (cfr. Sez. 4, n. 14276 del 2/12/2022, Rv. 284604);
ritenuto che all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila da versare in favore della cassa delle ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso 1’11 ottobre 2024.