Detenzione per Spaccio: Quando gli Indizi Diventano Prova?
La distinzione tra uso personale e detenzione per spaccio di sostanze stupefacenti rappresenta uno dei nodi cruciali del diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito quali elementi indiziari, se valutati complessivamente, possono costituire una prova solida della finalità di vendita, rendendo quasi impossibile una contestazione in sede di legittimità. Analizziamo insieme questo interessante caso.
I Fatti del Caso
Un individuo veniva condannato in primo grado dal Tribunale di Avezzano per la detenzione di 12 dosi di cocaina e 37 dosi di hashish. La condanna, pur con la riqualificazione del fatto come di lieve entità (art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990) e la concessione delle attenuanti per l’incensuratezza, stabiliva una pena di nove mesi di reclusione e 1200 euro di multa.
La Corte d’Appello di L’Aquila confermava sostanzialmente la responsabilità penale. L’imputato, tramite il suo difensore, decideva quindi di ricorrere in Cassazione, sostenendo che non vi fosse prova sufficiente della destinazione a terzi della sostanza e che gli elementi raccolti non fossero idonei a escludere l’ipotesi dell’uso personale.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo infondate le censure mosse dall’imputato. Secondo gli Ermellini, la sentenza della Corte d’Appello aveva fornito una motivazione logica, coerente e completa, che giustificava pienamente la condanna per detenzione per spaccio.
Le Motivazioni: la Valutazione Complessiva degli Indizi nella Detenzione per Spaccio
Il cuore della decisione risiede nel metodo di valutazione delle prove. La Corte territoriale aveva fondato il proprio convincimento su una pluralità di elementi indiziari che, letti insieme, creavano un quadro accusatorio solido e univoco. Questi elementi erano:
* Il rinvenimento dello stupefacente: Trovato sia nell’abitazione che nell’automobile dell’imputato.
* La presenza di strumenti specifici: Il sequestro di bilancini di precisione, uno dei quali presentava tracce di sostanza bianca, è stato considerato un forte indicatore dell’attività di pesatura e confezionamento.
* Il quantitativo di denaro: Una discreta somma di denaro, in parte suddivisa in banconote di piccolo taglio, è stata interpretata come provento dell’attività illecita.
* Documentazione sospetta: Il ritrovamento di un elenco contenente nomi e cifre, tipico delle contabilità dello spaccio.
* Il numero totale delle dosi: La quantità complessiva di dosi ricavabili (49 in totale tra cocaina e hashish) è stata giudicata ‘sicuramente incompatibile’ con una finalità di mero consumo personale.
La Cassazione ha ricordato un principio consolidato: la valutazione sulla destinazione della droga è un compito del giudice di merito. Tale valutazione, basata su tutte le circostanze oggettive e soggettive del caso, può essere contestata in sede di legittimità solo se la motivazione risulta mancante o manifestamente illogica. Nel caso di specie, la motivazione della Corte d’Appello era, al contrario, ben argomentata e coerente con i fatti accertati.
Le Conclusioni
Questa ordinanza conferma che per provare la detenzione per spaccio non è necessaria la prova diretta della cessione della sostanza. Un insieme di indizi gravi, precisi e concordanti è sufficiente a fondare una sentenza di condanna. La presenza simultanea di strumenti per il confezionamento, denaro contante, contabilità rudimentale e un quantitativo di droga eccedente le normali esigenze di un consumatore costituisce un quadro probatorio difficilmente scalfibile. Chi intende contestare una simile condanna in Cassazione deve essere in grado di dimostrare un’evidente illogicità nel ragionamento del giudice di merito, un compito assai arduo quando la decisione è ben motivata.
Quali elementi possono trasformare il possesso di droga in detenzione per spaccio?
Secondo la Corte, la detenzione per spaccio è provata da un insieme di indizi, tra cui il rinvenimento di stupefacenti in luoghi diversi (casa e auto), il possesso di bilancini di precisione (specialmente se con tracce di droga), la disponibilità di una significativa somma di denaro in contanti (soprattutto in piccoli tagli) e la presenza di elenchi con nomi e cifre.
Il solo numero di dosi è sufficiente a provare lo spaccio?
Sebbene sia un elemento fondamentale, la Corte lo valuta insieme ad altri indizi. Tuttavia, un numero di dosi ritenuto ‘sicuramente incompatibile’ con un uso personale è un fattore determinante per escludere tale finalità e affermare quella dello spaccio.
È possibile contestare la valutazione degli indizi di spaccio in Cassazione?
Sì, ma solo a condizioni molto limitate. La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti, ma solo verificare la correttezza giuridica del ragionamento del giudice. Il ricorso può avere successo solo se la motivazione della sentenza impugnata è totalmente mancante, contraddittoria o ‘manifestamente illogica’, cosa che non accade quando la decisione si basa su una valutazione coerente di molteplici indizi.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 37052 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 37052 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 01/02/2024 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di L’Aquila ha parzialmente riformato la decisione del Tribunale di Avezz no del 19 dicembre 2022, con cui NOME COGNOME, previa riqualificazione giuridica ai sensi dell’art. 73, quinto comma, d.P.R. n. 309/1990, era stato ritenuto responsabile della detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente di tipo cocaina pari a n. 12 dosi droganti e di sostanza stupefacente di tipo hashish pari a n. 37 dosi singole, e lo ha condannato alla pena, ridotta per effetto della considerazione dell’incensuratezza dell’imputato, a mesi nove di reclusione ed euro 1200 di multa.
COGNOME NOMENOME a mezzo del proprio difensore, ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo un motivo di impugnazione, relativo alla violazione dell’art. 533 cod.proc.pen, in ragione del fatto che l’atto di appello aveva denunciato il difetto di prova della destinazione a terzi dello stupefacente rinvenuto e l’assenza di aftri indizi rilevanti al fine di escludere che si trattasse di detenzione ad uso personale.
Il ricorso è inammissibile.
La Corte territoriale, alle pagine quattro e cinque della sentenza, ha esplicitato le ragioni (rinvenimento delle sostanze stupefacenti in casa e nell’auto dell’imputato, bilancini – uno dei quali con tracce di pesatura di sostanza di colore bianco- discreto quantitativo di denaro in parte anche alla rinfusa in biglietti anche di piccolo taglio, elenco di nomi e cifre) per l quali ha ritenuto la fondatezza della tesi accusatoria della destinazione allo spaccio dello stupefacente sequestrato, come desumibile anche dal numero complessivo delle dosi medie singole ricavabili, sicuramente incompatibili con tale finalità.
Con riferimento al profilo di doglianza, va ricordato che, in materia di stupefacenti, la valutazione in ordine alla destinazione della droga, ogni qualvolta la condotta non appaia indicativa della immediatezza del consumo, deve essere effettuata dal giudice di merito, tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive del fatto, secondo parametri di apprezzamento sindacabili in sede di legittimità soltanto sotto il profilo della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione (Sez. 4, n. 7191 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 272463). Nel caso di specie, la sentenza ha fornito logica e coerente, rispetto ai fatti accertati, motivazione.
Per tali ragioni il ricorso deve essere dichiarato inamm ssibile, la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese, e processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla RAGIONE_SOCIALE delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 23 settembre 2024.