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Detenzione per spaccio: gli indizi secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per detenzione per spaccio di sostanze stupefacenti. La decisione conferma che una serie di indizi, come il frazionamento della droga in dosi, la presenza di un bilancino di precisione e la condizione economica precaria dell’imputato, sono sufficienti a dimostrare l’intenzione di vendere la sostanza, escludendo l’ipotesi dell’uso personale.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenzione per spaccio: gli indizi secondo la Cassazione

La distinzione tra uso personale e detenzione per spaccio di sostanze stupefacenti è una delle questioni più delicate nel diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito quali elementi indiziari, valutati nel loro complesso, possono legittimamente fondare una condanna per spaccio, anche in assenza di una prova diretta della vendita. Analizziamo il caso e le conclusioni dei giudici.

I fatti di causa

Il caso riguarda un uomo condannato, con rito abbreviato, alla pena di otto mesi di reclusione e duemila euro di multa per la detenzione di 175,3 grammi di cannabis. Secondo le analisi, la quantità di sostanza era sufficiente a confezionare oltre 850 dosi medie singole. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la valutazione dei giudici di merito sia sulla sua responsabilità penale sia sull’entità della pena inflitta.

I motivi del ricorso

La difesa del ricorrente si basava su due argomenti principali:

1. Errata valutazione della responsabilità: L’imputato sosteneva che la sostanza stupefacente fosse destinata esclusivamente a un uso personale e non alla vendita. Contestava quindi l’accusa di detenzione per spaccio.
2. Vizio di motivazione sulla pena: Si riteneva che la pena applicata fosse sproporzionata e ingiustificata.

La decisione della Corte sulla detenzione per spaccio

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici dei gradi precedenti. La motivazione della Corte si concentra sulla logicità e coerenza del ragionamento seguito per dedurre l’intento di spaccio da una serie di elementi fattuali. I giudici hanno sottolineato che, sebbene nessun singolo elemento fosse di per sé risolutivo, la loro combinazione forniva un quadro probatorio solido e convincente.

Le motivazioni

La Corte ha ritenuto che la motivazione della sentenza impugnata non fosse né manifestamente illogica né contraddittoria. L’intenzione di spacciare era stata correttamente desunta da una pluralità di indizi gravi, precisi e concordanti. In particolare, sono stati considerati rilevanti:

* Il frazionamento della sostanza: La cannabis era suddivisa in diverse buste di cellophane, una modalità tipica di chi prepara dosi per la vendita.
* La presenza di un bilancino di precisione: Il ritrovamento di fogliame sulla bilancia elettrica è stato interpretato come prova del suo utilizzo per pesare la sostanza da vendere.
* L’atteggiamento dell’imputato: Il comportamento tenuto dall’uomo durante il controllo delle forze dell’ordine è stato un ulteriore elemento a suo sfavore.
* Le condizioni economiche precarie: Essendo il ricorrente un percettore di reddito di cittadinanza, i giudici hanno ritenuto che la sua situazione economica rendesse plausibile l’ipotesi che cercasse di integrare le sue entrate attraverso un’attività illecita come lo spaccio.

Anche la pena è stata giudicata congrua, in quanto i giudici avevano correttamente bilanciato le attenuanti generiche con la recidiva e tenuto conto della personalità negativa dell’imputato, già gravato da due precedenti penali.

Le conclusioni

In conclusione, con la declaratoria di inammissibilità del ricorso, la condanna è diventata definitiva. Il ricorrente è stato inoltre condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di tremila euro alla Cassa delle ammende. Questa ordinanza rafforza il principio secondo cui la prova della detenzione per spaccio può essere raggiunta anche per via indiziaria, attraverso una valutazione logica e complessiva di tutti gli elementi a disposizione, senza che sia necessario cogliere in flagrante l’autore del reato nell’atto di cedere la sostanza.

Quali elementi possono dimostrare l’intento di spaccio distinguendolo dall’uso personale?
Secondo la Corte, l’intento di spaccio può essere provato da un insieme di indizi, tra cui il frazionamento della sostanza in dosi, il possesso di strumenti come un bilancino di precisione, il comportamento dell’imputato e la sua condizione economica precaria.

La situazione economica di una persona, come percepire il reddito di cittadinanza, può essere usata come prova in un processo per spaccio?
Sì, in questo caso i giudici hanno considerato le precarie condizioni di vita e la percezione del reddito di cittadinanza come un elemento indiziario che, unito agli altri, rendeva più credibile l’ipotesi della vendita di droga come fonte di reddito illecita.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la Corte non esamina il merito della questione. La conseguenza diretta per il ricorrente, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, è la condanna al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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