Detenzione Monete Contraffatte: La Prova del Dolo Specifico e il Silenzio dell’Imputato
La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata su un caso di detenzione monete contraffatte, offrendo importanti chiarimenti su come la giustizia valuta l’intenzione criminale dell’imputato. Con l’ordinanza in esame, i giudici hanno confermato che il ‘dolo specifico’ – ovvero la precisa volontà di spendere il denaro falso – può essere provato anche attraverso il comportamento dell’accusato, in particolare la sua incapacità di fornire una spiegazione plausibile sul possesso delle banconote.
I Fatti del Caso
Il caso ha origine dalla condanna di una donna da parte del Tribunale e, successivamente, della Corte di Appello di Roma per i reati di detenzione di monete contraffatte (art. 455 c.p.) e truffa (art. 640 c.p.). La pena inflitta era di un anno e sette mesi di reclusione e 280 euro di multa, con il beneficio della pena sospesa. L’imputata ha presentato ricorso per Cassazione, contestando la valutazione dei giudici di merito riguardo alla sua colpevolezza.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le motivazioni addotte manifestamente infondate. Secondo gli Ermellini, la Corte di Appello ha correttamente applicato i principi consolidati della giurisprudenza di legittimità in materia.
Le Motivazioni: Il Ruolo del Dolo Specifico nella Detenzione di Monete Contraffatte
Il cuore della decisione risiede nell’analisi del dolo specifico richiesto per il reato di cui all’art. 455 c.p. Per essere condannati, non è sufficiente essere trovati in possesso di denaro falso; è necessario dimostrare che l’agente avesse l’intenzione di metterlo in circolazione, pur avendolo ricevuto in malafede (cioè, sapendo che era falso).
La Corte chiarisce che questa intenzione non necessita di una confessione o di prove dirette. Può essere liberamente desunta, purché in modo logico, da qualsiasi elemento sintomatico. Nel caso specifico, due fattori sono stati considerati decisivi:
1. L’assenza di qualsiasi indicazione sulla provenienza delle banconote: L’imputata non ha fornito alcuna spiegazione su come fosse entrata in possesso del denaro contraffatto.
2. La mancanza di un fine lecito per la detenzione: Non è stato indicato alcun motivo legittimo per cui la donna tenesse con sé quelle banconote.
Questi elementi, definiti ‘sintomatici e convergenti’, diventano indizi gravi, precisi e concordanti che, valutati insieme ad altri fattori, permettono al giudice di ritenere provato il dolo specifico di voler mettere in circolazione il denaro.
Le Conseguenze dell’Inammissibilità del Ricorso
A seguito della dichiarazione di inammissibilità, la ricorrente è stata condannata, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, al pagamento delle spese processuali. Inoltre, è stata condannata a versare una somma di 3.000,00 euro alla Cassa delle ammende, una sanzione pecuniaria che si aggiunge quando un ricorso viene respinto per manifesta infondatezza.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: nel processo penale, anche il silenzio o l’incapacità di fornire una giustificazione credibile possono avere un peso significativo. Per il reato di detenzione monete contraffatte, non fornire una spiegazione logica sulla loro origine equivale a un forte indizio della volontà di utilizzarle illegalmente. La decisione sottolinea come la prova del dolo possa essere raggiunta per via indiziaria, valorizzando elementi logici e comportamentali che, messi insieme, creano un quadro accusatorio solido e coerente.
Quando si configura il reato di detenzione di monete contraffatte per metterle in circolazione?
Il reato si configura quando un soggetto, dopo aver ricevuto banconote false in malafede, le detiene con l’intenzione specifica di metterle in circolazione.
Come può essere provata l’intenzione (dolo specifico) di mettere in circolazione banconote false?
L’intenzione può essere provata attraverso qualsiasi elemento sintomatico, purché valutato logicamente. Secondo la Corte, il silenzio dell’imputato sull’origine delle banconote e l’assenza di un fine lecito per la loro detenzione sono elementi rilevanti per dimostrare il dolo.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver presentato un ricorso palesemente infondato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 36199 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36199 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/03/2025 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
che con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Roma ha riformato parzialmente la sentenza del Tribunale di Roma del 18 dicembre 2023, che aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per i reati di cui agli artt 455 e 640 cod. pen. in continuazione tra loro e l’aveva condannata alla pena di anni uno e mesi sette ed euro 280,00 di multa con pena sospesa, revocando la sospensione condizionale della pena e confermando nel resto;
che i motivi di ricorso risultano essere manifestamente infondati in quanto il Giudice di appello ha fornito adeguata motivazione in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, ai fini della configurabilità de reato di detenzione di monete contraffatte, per metterle in circolazione, è necessario il dolo specifico sub specie di intenzione del soggetto agente di mettere in circolazione le banconote contraffatte, ricevute in malafede – che può essere liberamente, purché logicamente, desunto da qualsiasi elemento sintomatico; pertanto, è, a tal fine, rilevante il difetto di qualsiasi indicazione, parte dell’imputato, in ordine alla provenienza delle dette banconote nonché di un qualunque diverso lecito fine della detenzione, trattandosi di elementi sintomatici e convergenti, e, quindi, valutabili, in concorso di altri elementi, ne riconoscimento del dolo (Sez. 5, n. 10539 del 31/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262684; Sez. 5, n. 40994 del 19/05/2014, COGNOME, Rv. 261246);
che all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 24/09/2025.