Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9618 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9618 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 19/02/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato in Marocco il giorno 1/1/1986 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia avverso la sentenza in data 13/6/2024 della Corte di Appello di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che non e stata richiesta dalle parti la trattazione orale del procedimento;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME COGNOME
letta la requisitoria scritta con la quale il Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso lette le conclusioni scritte datate 14/2/2025 a firma dell’avv. NOME COGNOME con le quali il difensore ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 13 giugno 2024 la Corte di Appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza in data 28 settembre 2023 dal Tribunale di Palmi che in applicazione degli artt. 131-bis cod. pen. e 554-ter cod. proc. pen. aveva dichiarato non luogo a procedere nei confronti di NOME COGNOME in relazione ai contestati reati di detenzione per la vendita e di messa in circolazione di generi abbigliamento con marchi contraffatti ai sensi dell’art. 474, comma 2, cod. pen. (capo A della rubrica delle imputazioni) e di ricettazione dei predetti beni (capo B).
I fatti-reato sono contestati come accertati in data 15 dicembre 2022.
Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell’imputato, deducendo:
2.1. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 63 e 64 cod. proc. pen. (per come richiamato dall’art. 350 cod. proc. pen.), 350, commi 2, 3, 4, 6 e 7, 357, comma 2, lett. b) e 191 cod. proc. pen., nonchØ 125 cod. proc. pen. in relazione all’art. 136 cod. proc. pen.
UP – 19/02/2025
R.G.N. 39573/2024
Eccepisce la difesa del ricorrente l’errato utilizzo delle dichiarazioni rese dall’imputato nel verbale di sequestro perchØ lo stesso doveva godere degli avvertimenti e delle garanzie di cui alle norme richiamate.
Precisa, al riguardo, la difesa del ricorrente:
a) che nel verbale di perquisizione del veicolo dove risultano inserite le dichiarazioni rese dall’odierno imputato non sono riprodotte le domande a lui rivolte il che integrerebbe la violazione del comma 2 dell’art. 136 cod. proc. pen. e che la Corte di appello non ha motivato su tale eccezione difensiva;
b) che non v’Ł alcuna prova in atti che i beni detenuti dall’imputato fossero destinati alla vendita.
2.2. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 63 e 64 cod. proc. pen. (per come richiamato dall’art. 350 cod. proc. pen.), 350, commi 2, 3, 4, 6 e 7, 357, comma 2, lett. b) e 191 cod. proc. pen., nonchØ degli artt. 474 e 648 cod. pen.
Contesta la difesa del ricorrente la ricostruzione in diritto operata dalla Corte di appello in relazione all’elemento soggettivo (dolo specifico) dei reati in capo all’imputato in quanto non desumibile dagli atti e non emergendo, come già evidenziato, che il COGNOME detenesse la merce sequestrata al fine di farne commercio e che, comunque fosse consapevole della natura contraffatta dei beni rinvenuti in suo possesso.
2.3. Violazioni di legge ex art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen. in relazione all’art. 131-bis cod. pen. ed al combinato disposto degli artt. 469 e 554-ter cod. proc. pen. e 24 della Costituzione. Lamenta la difesa del ricorrente l’erronea applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. in assenza di un accertamento dei fatti in quanto detta pronuncia Ł avvenuta in sede di udienza predibattimentale senza che l’imputato sia stato posto nelle condizioni di difendersi. Sostiene, in particolare, la difesa del ricorrente, che nel caso in esame la declaratoria di non doversi procedere non potrebbe essere effettuata senza il consenso dell’imputato ai sensi dell’art. 469 cod. proc. pen. perchØ in caso contrario l’imputato, tratto a giudizio, si troverebbe privato della possibilità di scegliere se aderire a tale pronuncia oppure se continuare nel processo ai fini dell’accertamento dei fatti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Occorre in premessa ricordare che ai sensi dell’art. 554-quater, comma 4, cod. proc. pen. Ł possibile proporre ricorso per cassazione solo per violazioni di legge (artt. 606, comma 1, lett. b, c e d, cod. proc. pen.) con la conseguenza che i motivi di ricorso in esame, nella parte in cui si deducono vizi di motivazione della sentenza impugnata, devono essere dichiarati inammissibili.
Ciò doverosamente premesso, osserva l’odierno Collegio che i primi due motivi di ricorso per la loro stretta interconnessione appaiono meritevoli di trattazione congiunta e sono entrambi da ritenersi non fondati.
Le questioni in fatto ed in diritto ivi proposte sono già state sottoposte alla Corte di appello che vi ha dato una risposta congrua, logica e rispondente ai principi di diritto che regolano la materia.
Pacifico e non contestato Ł, innanzitutto, il fatto che l’imputato Ł stato trovato in possesso, a bordo di un autocarro sul quale si trovava da solo, di una serie di capi di abbigliamento da ritenersi tutti contraffatti in quanto riproducenti noti marchi (Adidas, Giorgio Armani, Gucci Nike e Ralph Lauren). elemento per ricostruire con certezza la provenienza degli stessi Ł pacifica la configurabilità a carico dello stesso del reato di cui all’art. 648 cod. pen. e ciò indipendentemente dall’utilizzazione o meno
Trattandosi di beni di evidente provenienza illecita e non avendo fornito il COGNOME alcun delle dichiarazioni rese dall’imputato al personale di P.G. operante in occasione della perquisizione
e del contestuale sequestro.
Quanto, poi, all’ulteriore reato di cui all’art. 474, comma 2, cod. pen. la Corte di appello ha evidenziato (v. pag. 8 dell’impugnata sentenza) che risulta acclarato che il COGNOME detenesse a bordo del veicolo in suo possesso i prodotti con i segni falsi, ritenendo indubbia la destinazione alla vendita dei prodotti stessi «in considerazione dell’elevato numero di capi, del loro assortimento per marchio e, anche, di colore, nonchØ della commistione con altri numerosi capi, a bordo di un veicolo commerciale evidentemente impiegato dallo stesso per lo svolgimento di attività di venditore ambulante, non potendosi altrimenti spiegare la detenzione di un elevato e variegato assortimento di capi di abbigliamento e biancheria ancora con relative etichettature».
Quella utilizzata al riguardo dalla Corte di appello per assumere la propria decisione Ł una prova logica frutto di una valutazione di merito come tale insindacabile in sede di legittimità.
Quanto appena detto rende infondata la doglianza difensiva circa il fatto che non risulterebbero configurabili gli elementi oggettivi del reato di cui all’art. 474 cod. pen. non essendo provata la detenzione per la vendita o, comunque, per la messa in circolazione dei prodotti contraffatti.
La decisione della Corte di appello risulta altresì adottata in conformità del principio enunciato da questa Corte di legittimità secondo il quale «L’affermazione di responsabilità per il caso di mera detenzione di prodotti con marchi contraffatti, implica che la finalità di vendita sia provata, sulla base dei piø disparati indizi, purchØ essi siano univocamente conducenti alla conclusione che il possesso sia diretto alla attività del successivo commercio o messa in circolazione del corpo di reato» (Sez. 2, n. 142 del 28/09/2011, COGNOME, Rv. 251764 – 01).
In sostanza, risulta pacifico che l’articolo 474 del codice penale sanziona una serie di condotte connesse al possesso di prodotti con segni distintivi e marchi contraffatti elencando le ipotesi di: a) introduzione nel territorio dello Stato con finalità di commercio;
la detenzione per la vendita;
la vendita;
la messa comunque in circolazione dei beni;
La norma, pertanto, distingue, elevandole a rango di pari rilevanza penale, tanto le ipotesi dell’atto della vendita o messa in circolazione (in atto) quanto quello della semplice detenzione che sia finalizzata alla realizzazione di una successiva vendita.
Trattasi in quest’ultima ipotesi, di un caso ove l’interesse giuridico protetto dalla norma, viene tutelato in via anticipata.
Ciò nondimeno, attesa la lettera della disposizione, per l’affermazione della penale responsabilità per il solo possesso di prodotti con marchi contraffatti, occorre che sia provata detta finalità di vendita.
Trattasi tuttavia, di una circostanza di fatto che, come detto, può essere provata sulla base dei piø disparati indizi, liberamente apprezzabili dal giudice di merito, purchØ essi siano univocamente conducenti alla conclusione che il possesso sanzionato dall’articolo 474 cod. pen. sia univocamente diretto all’attività di successivo commercio o messa in circolazione del colpo di reato.
Detta situazione, come si Ł già evidenziato nel caso qui in esame Ł stata oggetto di specifica e puntuale motivazione dalla parte della Corte di merito avendo la stessa indicato i concreti indizi deponenti nel senso della dimostrazione degli elementi costitutivi della fattispecie di reato de quo .
2.1. Quanto appena osservato incide anche sulla prova dell’elemento soggettivo dei reati in contestazione in relazione al quale la Corte di appello (v. sempre pag. 8 della sentenza impugnata) ha adeguatamente chiarito, da un lato, che, Ł evidente, in caso di concorso tra le fattispecie di cui agli articoli 474, comma 2, e 648 cod. pen., come essendosi ritenuto provato l’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 474 cod. pen. (dolo specifico della condotta di detenzione finalizzata alla
vendita di prodotti con segni falsi), la prova dell’elemento della ricettazione Ł strettamente correlata al primo profilo e, dall’altro, che l’accertamento di detenzione di siffatti prodotti in vista della loro vendita manifesta la ricorrenza della loro ricezione a monte al fine di trarne profitto.
Quanto, poi, al ‘profitto’ del reato di ricettazione appare sufficiente ricordare che questa Corte di legittimità ha già avuto modo di chiarire che «Ai fini della configurabilità del dolo specifico che connota il delitto di ricettazione, non Ł necessaria l’ingiustizia del profitto perseguito dall’agente» (Sez. 2, n. 21596 del 18/02/2016, COGNOME, Rv. 267165 – 01).
Deve solo aggiungersi che, sempre come ha già avuto modo di precisare già in tempi remoti questa Corte Suprema, «ai fini dell’accertamento dell’elemento psicologico del soggetto agente, essendo la volontà ed i moti dell’anima interni al soggetto, essi non sono dall’interprete desumibili che attraverso le loro manifestazioni, ossia attraverso gli elementi esteriorizzati e sintomatici della condotta. … Ne deriva che i singoli elementi e quindi anche quelli soggettivi attraverso cui si estrinseca l’azione, inerenti al fatto storico oggetto del giudizio, impongono una loro analisi la quale, essendo pertinente ad elementi di fatto, costituiscono appannaggio del giudizio di merito, non di quello della legittimità che può solo verificare la inesistenza di vizi logici, la correttezza e la compiutezza della motivazione, l’assenza di errori sul piano del diritto, così escludendosi in tale sede un terzo riapprezzamento del merito» (Sez. 1, n. 12726 del 28/09/1988, dep. 1989, Alberto, Rv. 182105).
2.2. Le osservazioni rendono di fatto superato il motivo di ricorso nel quale si lamenta l’utilizzazione delle dichiarazioni rese dal COGNOME al personale di P.G. in occasione della perquisizione e sequestro dei beni.
Fermo restando che:
a) Ł del tutto inconferente il richiamo fatto dalla difesa del ricorrente al disposto dell’art. 136 cod. proc. pen. nella parte in cui si lamenta la mancata indicazione delle domande rivolte dal personale di P.G. all’interessato atteso questa Corte ha già avuto modo di precisare, in via generale, che «In tema di indagini preliminari, l’omessa indicazione, nel verbale di sommarie informazioni testimoniali, delle domande rivolte al dichiarante dalla polizia giudiziaria, non costituisce nØ causa di nullità, nØ causa di inutilizzabilità delle dichiarazioni contenute» (Sez. 3, n. 11450 del 06/11/2018, dep. 2019, A., Rv. 275156 – 01) ciò in quanto la sanzione di nullità Ł comminata, ai sensi dell’art. 142 cod. proc. pen., solo in caso di incertezza assoluta sulle persone intervenute;
b) Ł altresì pacifico che per effetto del combinato disposto dei commi 5 e 6 dell’art. 350 cod. proc. pen. delle notizie ed indicazioni assunte dalla polizia giudiziaria sul luogo e nell’immediatezza dei fatti dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini Ł vietata ogni documentazione e utilizzazione;
deve rilevarsi che nel caso in esame anche espungendo qualsivoglia riferimento a tali dichiarazioni peraltro utilizzate, come correttamente rilevato dalla Corte di appello, solo a favore dell’interessato gli elementi probatori sui quali si Ł configurata la sussistenza dei reati di cui agli artt. 474 e 648 cod. pen., come sopra evidenziato, sono ben altri.
3. Non fondato Ł anche il terzo motivo di ricorso.
Occorre, innanzitutto, evidenziare come non corretto Ł il richiamo contenuto nel ricorso all’art. 469 cod. proc. pen. dato che il procedimento in primo grado Ł stato definito all’esito dell’udienza di cui all’art. 554-bis cod. proc. pen. che ha portato all’emissione di sentenza ex art. 554-ter cod. proc. pen.
Come correttamente osservato dalla Corte di appello sebbene il tradizionale impiego della locuzione ‘predibattimentale’ per indicare la sentenza di proscioglimento ai sensi dell’articolo 469 cod. proc. pen. possa indurre in errore circa la sua sovrapponibilità alla pronuncia emessa dall’articolo 554-ter,
comma 1, cod. proc. pen., invero il dato normativo non consente alcuna sovrapposizione o interferenza tra le richiamate disposizioni, contemplanti differenti presupposti applicativi, poteri del giudice, facoltà delle parti e regimi di impugnazione.
Come Ł noto, l’art. 469 cod. proc. pen. nel prevedere la possibilità di procedere al proscioglimento prima del dibattimento che, nel testo inserito dall’art. 3, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 28/2015 contempla al comma 1-bis, la possibilità di emettere sentenza anche quando l’imputato non Ł punibile ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., indica che tale pronuncia può essere emessa «sentiti il Pubblico Ministero e l’imputato …» – oltre alla persona offesa dal reato, se compare – «se questi non si oppongono». Tuttavia una analoga previsione di ‘opposizione’ non Ł prevista al comma 1, dell’art. 554-ter cod. proc. pen. qualora il Giudice ritenga di pronunciare sentenza di non luogo a procedere se risulta che l’imputato «non Ł punibile per qualsiasi causa» (quindi anche ex art. 131-bis cod. proc. pen.).
La differenza tra le due norme Ł caratterizzata da assoluta razionalità.
Innanzitutto, Ł evidente come la collocazione dell’art. 469 nel Titolo I del Libro VII del codice di rito, Ł da considerarsi indicativa della volontà del legislatore di confinarne, per l’appunto, l’applicazione esclusivamente nella fase degli atti preliminari al dibattimento, da ritenersi costituita come fase autonoma e distinta da quella degli atti introduttivi del dibattimento. Ed Ł proprio in ragione della sua collocazione nella fase degli atti preliminari, in cui non Ł contemplata alcuna sede deputata all’interlocuzione dialettica tra il giudice e le parti del processo, che l’art. 469 impone al giudice l’obbligo di instaurare il contraddittorio camerale al fine di interpellare le seconde sul progetto di proscioglimento anticipato ed acquisire il loro eventuale assenso al medesimo nella forma minima della ‘non opposizione’.
Tanto Ł vero che, come corollario alla procedura di cui all’art. 469 cod. proc. pen., questa Corte di legittimità, nel suo massimo consesso (Sez. U, Ord. n. 3512 del 28/10/2021 dep. 2022, Lafleur, Rv. 282473 – 01 in motivazione) ha ricordato che dalla configurazione del proscioglimento predibattimentale come decisione a base sostanzialmente “negoziale” (ancorchØ vincolata nei contenuti) il legislatore ha poi fatto discendere la previsione della sua inappellabilità, quale logico corollario della implicita rinuncia delle parti alla valutazione del merito dell’accusa.
Non altrettanto Ł, invece, a dirsi per l’udienza di comparizione predibattimentale a seguito di citazione diretta innanzi al Tribunale in composizione monocratica disciplinata dagli artt. 554-bis e 554-ter cod. proc. pen. la cui sentenza di non luogo a procedere Ł appellabile per espresso disposto di legge.
Ciò perchØ l’udienza di cui all’art. 554-bis cod. proc. pen. rappresenta una fase iniziale del dibattimento nel pieno contraddittorio tra le parti tanto Ł vero che in tale fase deve necessariamente procedersi alla verifica della regolare costituzione delle parti con la possibilità di declaratoria di assenza dell’imputato (comma 2), sono proponibili le questioni preliminari di cui all’art. 491, commi 1 e 2 cod. proc. pen. (comma 3) ed Ł altresì previsto un controllo sulla corretta formulazione dell’imputazione (commi 5 e 6).
Proprio l’assimilazione della sentenza di cui all’art. 554-ter cod. proc. pen. a quella di cui all’art. 425 cod. proc. pen. operata anche attraverso il richiamo contenuto nel comma 1, della prima delle due norme, rende possibile che il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale può legittimamente applicare la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen. a prescindere dalla non opposizione dell’imputato.
NØ potrebbe prospettarsi nel caso in esame, attraverso la procedura di cui agli artt. 554-bis e 554-ter cod. proc. pen. che ha portato all’emissione di una sentenza di non luogo a procedere per particolare tenuità del fatto una violazione del diritto di difesa essendo garantita all’imputato – così come alle altre parti – l’interlocuzione in ordine a tutti a tutti i possibili provvedimenti emettibili dal
Giudici e, in particolare la possibilità di presentare (come Ł avvenuto nel caso in esame) appello e ricorso per cassazione al fine di far valere l’insussistenza delle condizioni per l’emissione della sentenza ex art. 131-bis cod. pen. rappresentando le ragioni – nel caso in esame insussistenti – per ottenere una pronuncia con formula piø favorevole.
Manifestamente infondate sono, infine, le doglianze difensive nelle quali si sostiene che l’emissione di una sentenza di non luogo a procedere implica necessariamente il definito accertamento di un fatto di reato atteso che – come anche in questo caso correttamente evidenziato dalla Corte di appello nella sentenza impugnata – il vigente sistema processuale prevede anche l’iscrizione di provvedimenti non definitivi (ad esempio il decreto di archiviazione o la sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 cod. proc. pen.) avendo questa Corte di legittimità (v. Sez. U, n. 38954 del 30/05/2019, COGNOME, Rv. 276463 – 01) già avuto modo di chiarire la perfetta compatibilità anche delle iscrizioni delle decisioni ex art. 131-bis cod. proc. pen. adottate in sede di archiviazione ai sensi dell’art. 411, comma 1, cod. proc. pen. – principio certamente estensibile anche nel caso in cui la sentenza sia stata emessa all’esito della procedura ex artt. 554-bis e 554-ter cod. proc. pen. – con la conseguenza che alcuna lesione dell’art. 24 Cost. Ł prospettabile, nella misura in cui la speciale disciplina prevista dal comma 1-bis dell’art. 411 cod. proc. pen. consente all’indagato di dispiegare le proprie difese dinanzi al giudice investito della richiesta di archiviazione per tenuità del fatto.
Le stesse Sezioni Unite ‘COGNOME‘ hanno, infine, anche chiarito che l’iscrizione delle sentenze ex art. 131-bis cod. proc. pen. Ł anche compatibile con l’art. 2 del Protocollo n. 7 alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, anche osservando che la valutazione pregiudiziale sulla sussistenza del fatto e sulla sua attribuibilità all’indagato compiuta in sede di archiviazione (ma, come di Ł detto il principio non può non valere anche in caso di sentenza ex art. 554-ter cod. proc. pen.) costituisca un accertamento assimilabile ad una dichiarazione di colpevolezza nel senso inteso da tale disposizione, avvenendo in una fase anteriore al giudizio.
NØ, infine, l’iscrizione in sØ considerata può essere ritenuta un effettivo pregiudizio che l’indagato ha un reale interesse ad evitare. La piø volte ricordata esclusione dei provvedimenti che dichiarano la non punibilità ex art. 131-bis cod. pen. dalle certificazioni del casellario, rende infatti evidente come l’iscrizione assolva esclusivamente a quella funzione di memorizzazione della loro adozione destinata ad esplicare i suoi effetti soltanto nell’ambito del sottosistema definito dalla disposizione all’interno del circuito giudiziario.
Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 19/02/2025
Il Consigliere estensore
NOME
Il Presidente NOME COGNOME