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Detenzione merce contraffatta: la Cassazione decide

La Cassazione ha confermato il non luogo a procedere per un imputato per detenzione merce contraffatta e ricettazione. La Corte ha stabilito che la finalità di vendita può essere provata da indizi come la grande quantità di merce e ha chiarito che il proscioglimento per tenuità del fatto in udienza predibattimentale non richiede il consenso dell’imputato.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenzione Merce Contraffatta: Quando la Quantità Diventa Prova

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9618 del 2025, è intervenuta su un caso di detenzione merce contraffatta, fornendo chiarimenti cruciali sulla prova della finalità di vendita e sulla corretta applicazione del proscioglimento per particolare tenuità del fatto. La decisione sottolinea come, in assenza di una confessione, elementi logici e indiziari possano essere sufficienti a dimostrare l’intento commerciale, e delinea i poteri del giudice in fase predibattimentale.

I Fatti del Caso: Un Furgone Pieno di Articoli Griffati

Il caso ha origine dal controllo di un furgone condotto da un uomo, all’interno del quale le forze dell’ordine rinvenivano un ingente quantitativo di capi di abbigliamento e accessori riproducenti noti marchi di lusso e sportivi. La merce, palesemente contraffatta, era assortita per tipo, marca e colore. L’uomo veniva quindi accusato di due reati: ricettazione (art. 648 c.p.), per aver ricevuto beni di provenienza illecita, e introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 c.p.), specificamente per la detenzione finalizzata alla vendita.

L’Iter Giudiziario: Dal Proscioglimento al Ricorso in Cassazione

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano concluso il procedimento con una sentenza di non luogo a procedere per la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131-bis c.p. Nonostante l’esito favorevole, che evitava una condanna, la difesa dell’imputato decideva di ricorrere in Cassazione. I motivi del ricorso erano principalmente tre:

1. Vizi procedurali: L’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’imputato durante il sequestro perché avvenute senza le dovute garanzie difensive.
2. Mancanza di prove: L’assenza di una prova diretta che la merce fosse destinata alla vendita e che l’imputato fosse consapevole della sua natura contraffatta.
3. Errore di diritto: L’errata applicazione del proscioglimento per tenuità del fatto senza aver ottenuto il consenso dell’imputato, privandolo così della possibilità di un processo completo per dimostrare la sua piena innocenza.

La Prova nella Detenzione Merce Contraffatta

La Cassazione ha respinto i primi due motivi di ricorso, ritenendoli infondati. La Corte ha chiarito che la prova nei reati di detenzione merce contraffatta non deve necessariamente basarsi su prove dirette come una confessione, ma può essere validamente desunta da elementi logici e circostanziali.

L’Intento di Vendita: Una Prova Logica

I giudici hanno stabilito che l’elevato numero di capi, il loro assortimento per marca e colore, la presenza di etichette e il fatto che si trovassero a bordo di un veicolo commerciale sono tutti indizi gravi, precisi e concordanti. Questo quadro indiziario, secondo la Corte, conduce univocamente alla conclusione che la detenzione fosse finalizzata al commercio e non a un uso personale. Si tratta di una “prova logica”, un’analisi dei fatti che rientra nella valutazione di merito del giudice e che non può essere messa in discussione in sede di Cassazione, se motivata in modo coerente.

Il Dolo della Ricettazione

Analogamente, per il reato di ricettazione, la Corte ha affermato che il possesso ingiustificato di una grande quantità di beni di evidente provenienza illecita (essendo contraffatti) è sufficiente a integrare l’elemento soggettivo del reato. L’imputato non ha fornito alcuna spiegazione plausibile sulla provenienza della merce, rendendo manifesta la sua consapevolezza e il fine di trarne profitto.

Proscioglimento per Tenuità del Fatto: Il Consenso è Necessario?

Il punto più interessante della sentenza riguarda la procedura con cui è stato dichiarato il non luogo a procedere. La difesa sosteneva che, per applicare l’art. 131-bis c.p., fosse necessario il consenso dell’imputato. La Cassazione ha respinto anche questa tesi, spiegando la differenza fondamentale tra due diverse fasi processuali:

* Art. 469 c.p.p. (Atti preliminari al dibattimento): In questa fase, che precede l’instaurazione di un vero contraddittorio, il proscioglimento è una sorta di accordo processuale e richiede la “non opposizione” delle parti.
* Art. 554-ter c.p.p. (Udienza predibattimentale): Questa udienza è già considerata la fase iniziale del dibattimento. Il contraddittorio tra le parti è pienamente instaurato, e il giudice ha il potere di decidere, applicando anche cause di non punibilità come la tenuità del fatto, senza necessità del consenso dell’imputato. Il diritto di difesa è comunque garantito dalla possibilità di impugnare la sentenza, come effettivamente è avvenuto.

Le Motivazioni della Corte

La Corte Suprema ha motivato la sua decisione ribadendo principi consolidati. In primo luogo, ha sottolineato che il ricorso per Cassazione per sentenze emesse ai sensi dell’art. 554-ter c.p.p. è limitato alle violazioni di legge, escludendo la possibilità di riesaminare la valutazione dei fatti compiuta dai giudici di merito. La Corte d’Appello aveva logicamente dedotto l’intento di vendita dalla quantità e varietà della merce, una valutazione insindacabile in sede di legittimità.
In secondo luogo, ha chiarito che le dichiarazioni rese dall’imputato alla polizia giudiziaria erano irrilevanti, poiché le prove a suo carico erano già schiaccianti e basate su elementi oggettivi. Infine, sul piano procedurale, ha tracciato una netta linea di demarcazione tra le diverse tipologie di proscioglimento anticipato, confermando che nell’udienza predibattimentale il giudice esercita pieni poteri decisionali, inclusa l’applicazione dell’art. 131-bis c.p., senza essere vincolato dal consenso dell’imputato. Tale potere è bilanciato dal diritto delle parti di appellare la decisione, garantendo così il pieno rispetto del diritto di difesa.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza rafforza due importanti principi. Sul piano sostanziale, conferma che nel reato di detenzione merce contraffatta, la finalità di vendita può essere provata attraverso presunzioni basate su elementi oggettivi e quantitativi, senza bisogno di prove dirette. Sul piano processuale, chiarisce che il proscioglimento per particolare tenuità del fatto può essere disposto dal giudice nell’udienza predibattimentale anche contro la volontà dell’imputato, il cui diritto di difesa è salvaguardato dalla facoltà di impugnare la sentenza per far valere le proprie ragioni in un grado di giudizio superiore.

Per il reato di detenzione merce contraffatta, come si prova l’intento di vendita se non c’è una confessione?
Secondo la sentenza, l’intento di vendita può essere provato attraverso una “prova logica” basata su indizi, quali l’elevato numero di capi detenuti, il loro assortimento per marchio e colore, e il fatto che si trovino in un veicolo commerciale. Questi elementi, nel loro insieme, possono dimostrare univocamente che la merce era destinata al commercio e non all’uso personale.

Un giudice può prosciogliere un imputato per “particolare tenuità del fatto” senza il suo consenso?
Sì, ma dipende dalla fase processuale. La sentenza chiarisce che durante l’udienza predibattimentale (art. 554-bis e 554-ter c.p.p.), che è considerata la fase iniziale del dibattimento, il giudice può emettere una sentenza di non luogo a procedere per tenuità del fatto anche senza il consenso dell’imputato. Il diritto di difesa è garantito dalla possibilità di impugnare tale sentenza.

Il possesso di numerosi capi contraffatti è sufficiente per essere accusati anche di ricettazione?
Sì. La Corte ha stabilito che il possesso di una grande quantità di beni di evidente provenienza illecita, come sono i prodotti contraffatti, unito alla mancata fornitura di una spiegazione plausibile sulla loro origine, è sufficiente a configurare il reato di ricettazione (art. 648 c.p.), poiché dimostra la consapevolezza della provenienza delittuosa e il fine di trarne profitto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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