Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 33869 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 3 Num. 33869 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso presentato da:
NOMENOMENOMENOMENOMENOMENOMEXXXXXX
avverso l’ordinanza del 20/06/2025 del Tribunale del riesame di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 20/06/2025, il Tribunale del riesame di Napoli rigettava l’istanza di riesame presentata da NOMENOMENOMEXX avverso l’ordinanza emessa in data 29 maggio 2025 dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Napoli, con la quale era stata disposta l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti del ricorrente in riferimento ai delitti di cui agli articoli 600ter, terzo comma (capo A) , e 600quater , primo e secondo comma (capo B) cod. pen..
Avverso l’ordinanza citata l’imputato propone, tramite il proprio difensore, ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo lamenta violazione dell’art. 600ter , terzo comma, cod. pen. e vizio di motivazione; difetto di autonoma valutazione; omessa specificazione dei files – e del loro numero – inoltrati; detenzione del materiale negli archivi delle applicazioni ‘Telegram’ e ‘RAGIONE_SOCIALE‘; dolo non desumibile dalla mera adozione di un programma di condivisione; impossibilità di stabilire se i files contenessero la riproduzione di immagini di minori di anni diciotto.
2.2. Con il secondo motivo lamenta violazione dell’art. 600quater , commi primo e secondo, cod. pen. e vizio di motivazione; eccepisce il salvataggio automatico e continuo dei files nell’archivio di Telegram, anche durante la partecipazione del NOME al concorso alla Guardia di Finanza; deduce l’insussistenza dell’aggravante ex art. 600quater , comma secondo, cod. pen., non risultando accertato il dato quantitativo.
2.3. Con il terzo motivo lamenta insussistenza del requisito dell’attualità delle esigenze cautelari.
In data 2 ottobre 2025, l’AVV_NOTAIO, per il ricorrente, depositava memoria in cui insisteva per l’accoglimento del ricorso.
Il ricorso Ł inammissibile.
Le doglianze relative alla assenza di gravità indiziaria sono manifestamente infondate.
Come noto, la nozione di «gravi indizi di colpevolezza» non Ł omologa a quella che qualifica lo scenario indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale (Sez. 4, n. 53369 del 09/11/2016, COGNOME, Rv. 268683; Sez. 4, n. 38466 del 12/07/2013, COGNOME, Rv. 257576).
Al fine dell’adozione della misura, invero, Ł sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitati. I detti indizi, pertanto, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192 cod. pen. proc., comma 2 (per questa ragione l’art. 273 cod. proc. pen., comma 1bis richiama l’art. 192 cod. proc. pen., commi 3 e 4, ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale, oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi).
La stessa Corte costituzionale ha del resto chiarito (sentenza n. 121 del 2009) che «la gravità indiziaria richiesta dall’art. 273 cod. proc. pen. si propone come un criterio il cui metro di accertamento Ł eterogeneo rispetto a quello della sostenibilità dell’accusa in giudizio: per certi aspetti anche piø rigoroso, per certi altri piø debole, in ragione sia della possibilità che taluni degli atti di indagine unilateralmente acquisiti dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero e considerati per la misura cautelare risultino inutilizzabili in sede di giudizio, sia per l’eventualità che la loro valenza e il loro significato cedano o si trasformino, in uno o altro senso, attraverso la dialettica dell’assunzione probatoria dibattimentale».
Ne deriva, quindi, che «ai fini delle misure cautelari, Ł sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli, perchØ i necessari ‘gravi indizi di colpevolezza’ non corrispondono agli ‘indizi’ intesi quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. – che, oltre alla gravità, richiede la precisione e la concordanza degli indizi – non richiamato dall’art. 273 comma 1bis , cod. proc. pen.» (Sez. 4, n. 6660 del 24/01/2017, COGNOME, Rv. 269179 – 01; conformi, ex multis : Sez. 2, n. 8948 del 10/11/2022, dep. 2023, Pino, Rv. 284262 – 01; Sez. 2, n. 48276 del 24/11/2022, COGNOME, Rv. 284299 – 02).
Tenuto conto di quanto evidenziato al paragrafo che precede, il Collegio evidenzia come l’ordinanza impugnata, in punto di gravità indiziaria, soddisfi i requisiti minimi di motivazione richiesti dalla normativa anzidetta.
Essa, infatti, nel richiamare il provvedimento genetico, evidenzia come le indagini che hanno portato all’identificazione e all’arresto del ricorrente siano state svolte dal Personale della Polizia Postale di XXXXXX, Centro operativo per la sicurezza cibernetica, e hanno avuto ad oggetto un diffuso fenomeno di detenzione e condivisione di materiale pedopornografico da parte di soggetti (residenti in diverse città) che utilizzavano piattaforme quali ‘Telegram’ o ‘RAGIONE_SOCIALE‘.
In particolare, la compiuta identificazione del NOME e il riscontro alle attività investigative svolte Ł stata consacrata negli esiti delle perquisizioni locale, personale e informatica eseguite nel domicilio dell’indagato in data 27 maggio 2025 e culminate nell’arresto in flagranza del prevenuto.
Infatti, l’analisi informatica del dispositivo smartphone rinvenuto nella disponibilità del NOME ha consentito il rinvenimento di oltre mille files contenenti immagini e video a
carattere pedopornografico: materiale ‘detenuto’ sul dispositivo e sul cloud .
Successivamente, l’esame dell’applicazione ‘Telegram’ ha consentito di rinvenire 591 video a carattere pedopornografico nella memoria cache dell’applicazione stessa; 1.885 video e 2 foto a carattere pedopornografico nella sezione ‘messaggi salvati”; nonchØ gruppi e chat tra i quali uno denominato ‘NOMEXX’, nel quale i messaggi vengono eliminati automaticamente dopo 24 ore dall’inoltro; e, ancora, due chat attraverso le quali, il 6 e il 17 settembre 2020, il NOME aveva inviato file a carattere pedopornografico.
L’analisi dell’applicazione ‘RAGIONE_SOCIALE‘ ha consentito il rinvenimento, nella sezione ‘Drive’ di quattro cartelle e l’esame di una di esse, denominata ‘all’, ha rivelato la presenza di 479 video e 14 foto a carattere pedopornografico ritraenti minori in età neonatale e preadolescenziale intenti in atti sessuali con adulti ed atti di autoerotismo, alcuni di essi ritraenti scene particolarmente cruente (cfr. nel dettaglio il contenuto del verbale di perquisizione integralmente riportato dal Gip alle pagine 2-4 del titolo impugnato).
La censura relativa alla mancata “detenzione” di file pedopornografici, oltre ad essere contraddetta dalla motivazione anzidetta, Ł smentita anche dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la disponibilità di file fruibili, senza limiti di tempo e di luogo, mediante accesso ad un archivio virtuale integralmente consultabile con credenziali di autenticazione esclusive o comunque note a chi le utilizzi (Sez. 3, n. 4212 del 19/01/2023, A., Rv. 284134).
Tale principio ha trovato applicazione anche in relazione alle applicazioni Telegram (Sez. 3, n. 23380 del 06/02/2024, NOME., non massimata) e RAGIONE_SOCIALE (Sez. 3, n. 14218 del 12/11/2024, dep. 2025, R., non massimata; Sez. 3, n. 4212 del 2023 cit.).
Quanto alla “app” denominata ‘Telegram’, in dettaglio, questa Corte ha ritenuto che «integra la detenzione penalmente rilevante ai sensi dell’art. 600quater , comma primo, cod. pen. la disponibilità di file di contenuto pedopornografico archiviati sul cloud storage di una chat di gruppo nello spazio “Telegram”, accessibili, per il tramite delle proprie credenziali, da parte di ogni componente del gruppo che abbia consapevolmente preso parte ad esso» (Sez. 3, n. 36572 del 04/04/2023, E., Rv. 284908 – 01).
Si Ł anche affermato che «integra il delitto di detenzione di materiale pedopornografico (art. 600quater cod. pen.) la cancellazione di ‘files’ pedopornografici, ‘scaricati’ da internet, mediante l’allocazione nel ‘cestino’ del sistema operativo del personal computer, in quanto gli stessi restano comunque disponibili mediante la semplice riattivazione dell’accesso al ‘file’. (Sez. 3, n. 639 del 06/10/2010 Rv. 249117). E ciò sul presupposto che solo per i ‘files’ definitivamente cancellati può dirsi cessata la disponibilità e, quindi, la detenzione», cancellazione definitiva che difetta nel caso in esame, circostanza non sussistente nel caso di specie.
Quanto alla “diffusione” del materiale pedopornografico, il Tribunale riesame evidenzia come, nel corso delle operazioni di perquisizione e successivo sviluppo investigativo, la P.G. ha rivenuto «due chat attraverso le quali, il 6 e il 17 settembre 2020, il
NOME aveva inviato file a carattere pedopornografico», circostanza avverso la quale il ricorrente non deduce se non generiche e inammissibili censure.
Nessun dubbio, almeno sotto il profilo della gravità indiziaria, sussiste in ordine al requisito dell’«ingente quantitativo» del materiale detenuto, in relazione al quale questa Corte (Sez. 3, n. 39543 del 27/06/2017, R., Rv. 271461 – 01) ritiene che «la configurabilità della circostanza aggravante della ‘ingente quantità’ nel delitto di detenzione di materiale pedopornografico (previsto dall’art. 600quater , comma secondo, cod. pen.) impone al giudice di tener conto non solo del numero dei supporti informatici detenuti, dato di per sØ indiziante, ma anche del numero di immagini, da considerare come obiettiva unità di misura,
che ciascuno di essi contiene» (in motivazione, la Corte ha precisato che l’aggravante in esame risulta configurabile in ipotesi di detenzione di almeno un centinaio di immagini pedopornografiche; conformi: Sez. 3, n. 35876 del 21/06/2016, B., Rv. 268008 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 17211 del 31/03/2011, R., Rv. 250152 – 01).
Il dato quantitativo, poi, deve essere inteso in senso «assoluto», ossia riferito al numero oggettivo di supporti e file detenuti, e non anche «relativo», ossia posto in rapporto con file di altra natura la cui detenzione non costituisce illecito (in ipotesi: file pornografici).
Tale principio Ł stato espresso da questa Corte anche in riferimento ad altre ipotesi delittuose, quale il delitto di «attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti», in relazione al cui elemento costitutivo rappresentato dagli «ingenti quantitativi» si Ł affermato (Sez. 6, n. 30373 del 18/03/2004, Ostuni, Rv. 229946 – 01) che «nel testo della norma non si rinviene alcun dato che autorizzi a relativizzare il concetto, riportandone la determinazione al rapporto tra il quan›titativo di rifiuti illecitamente gestiti e l’intero quantitativo di rifiuti trattati nella discarica, per cui l’ingente quantità dev’essere accertata e valutata con riferimento al dato oggettivo della mole dei rifiuti non autorizzati abusivamente gestiti»,con la conseguenza che il rapporto tra i rifiuti lecitamente smaltiti e quelli trattati illecita›mente nella discarica può essere valido semmai «(…) per stabilire se l’autorizzazione alla discarica sia un paravento predeterminato per un’attività ontologicamente diversa da quella autorizzata».
Anche sotto tale profilo il ricorso Ł inammissibile.
7. Manifestamente infondata Ł poi la doglianza in cui si lamenta mancanza del requisito della «autonoma valutazione», posto che tale requisito Ł previsto dall’art. 292, comma 2, cod. proc. pen. con riguardo alla sola decisione adottata dal giudice che emette la misura inaudita altera parte , essendo funzionale a garantire l’equidistanza tra l’organo requirente che ha formulato la richiesta e l’organo giudicante (Sez. 1, n. 8518 del 10/09/2020, dep. 2021, Galletta, Rv. 280603).
NØ, del resto, corrisponde al vero, come sostenuto dall’indagato nella memoria difensiva, che il Tribunale campano abbia omesso ogni motivazione in punto di gravità indiziaria a fronte delle deduzioni difensive.
La doglianza relativa alla età dei soggetti ritratti Ł meramente fattuale e non può essere introdotta in sede di legittimità.
Il Tribunale del riesame ha riconosciuto il carattere pedopornografico dei video e delle foto dalle immagini ritraenti minori in età neonatale e preadolescenziale intenti in atti sessuali con adulti ed atti di autoerotismo, alcuni contenenti scene particolarmente cruente, richiamando altresì il contenuto del verbale di perquisizione, integralmente riportato nell’ordinanza genetica.
Come correttamente evidenziato dal Procuratore generale, la difesa contesta genericamente e in via esplorativa tali indicazioni, limitandosi a prospettare dubbi su tale qualificazione e sull’età delle vittime, senza tuttavia confrontarsi con l’apparato argomentativo sopra sintetizzato, chiaramente indicativo del contenuto esplicito dei file e dell’età minore dei soggetti passivi.
Inammissibile Ł anche la terza censura, relativa all’insussistenza del periculum in mora .
Il Tribunale condivide le conclusioni cui perviene il giudice di prime cure «sia in ordine alla sussistenza del pericolo di recidiva – peraltro ‘presunto’ con riferimento all’art. 600ter c.p. – non potendosi trascurare che il giovane NOME non ha eliminato il materiale dal proprio telefono potendo, in tal modo, accedervi in ogni momento; sia in ordine al presidio autocustodiale applicato. Su tale ultimo aspetto si rileva che la presunzione di adeguatezza
della misura cautelare della custodia in carcere in relazione all’art. 600ter c.p. di cui all’art. 275 co. 3 c.p.p. Ł stata già superata dal AVV_NOTAIO e non emergono ragioni per le quali possa essere ritenuto adeguato un presidio non custodiale. Invero, Ł certo che i delitti in argomento si consumano anche nel domicilio ma la scelta del Gip Ł condivisibile in quanto l’indagato Ł inserito in un contesto familiare che, tenuto conto di quanto emerso, potrà vigilare sul rispetto delle prescrizioni connesse al presidio autocustodiale applicato e supportare il giovane figlio in un percorso di acquisizione di consapevolezza della gravità dei fatti e di superamento delle problematiche che lo hanno indotto ad apprezzare il cruento materiale pedopornografico di cui disponeva e che non ha neanche esitato a condividere. Diversamente, un presidio non custodiale legittimerebbe il ricorrente – che non ha mostrato alcuna forma di resipiscenza in occasione del suo arresto in flagranza nØ successivamente a fare uso di telefoni e dispositivi che gli permetteranno di entrare nuovamente in contatto con il perverso ambiente della pedopornografia».
Avverso tale motivazione, che dà anche conto del ritenuto affievolimento dell’esigenza cautelare rispetto al regime presuntivo di cui all’articolo 275, comma 3, cod. proc. pen., nulla osserva il ricorrente.
Va infatti rammentato che, per i reati inclusi nel catalogo di cui all’articolo 51, comma 3bis , cod proc. pen. l’articolo 275 c.p.p., relativo ai «criteri di scelta delle misure», al comma 3 stabilisce che «quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all’articolo 51, commi 3bis del presente codice … Ł applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure».
La giurisprudenza della Corte ha chiarito che la norma in questione introduce un «giudizio semplificato» quanto alle esigenze cautelari in relazione a tali reati, determinando un’inversione dell’onere dalla prova: si presumono la sussistenza, l’idoneità e la proporzionalità della misura custodiale «a meno che», in concreto, non si rinvengano elementi, da indicare in modo chiaro e preciso, che facciano ritenere sufficienti misure di minor rigore (Sez. 3, n. 14248 del 14/01/2021, COGNOME, n.m.;Sez. 3^, n. 30629 del 22/09/2020, COGNOME, n.m.; Sez. 6, n. 12669 del 2/03/2016, COGNOME, RV. 266784: «la presunzione di esistenza di ragioni cautelari viene vanificata solo qualora sia dimostrata l’inattualità di situazioni di pericolo cautelare)».
Sez. 1, n. 21900, del 7/5/2021, Rv. 282004 ha poi precisato che «la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., Ł prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norma generale stabilita dall’art. 274 cod. proc. pen.; ne consegue che se il titolo cautelare riguarda i reati previsti dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. detta presunzione fa ritenere sussistente, salvo prova contraria, non desumibile dalla sola circostanza relativa al mero decorso del tempo, i caratteri di attualità e concretezza del pericolo».
La doglianza risulta, pertanto, inammissibile.
Il ricorso non può quindi che essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della
Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così Ł deciso, 09/10/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME
IN CASO DI DIFFUSIONE DEL PRESENTE PROVVEDIMENTO OMETTERE LE GENERALITA’ E GLI ALTRI DATI IDENTIFICATIVI A NORMA DELL’ART. 52 D.LGS. 196/03 E SS.MM.