Detenzione Materiale Esplosivo: Quando un Artifizio è Reato Grave?
La qualificazione giuridica di un oggetto può cambiare radicalmente le sorti di un processo penale. Questo è particolarmente vero in casi di detenzione materiale esplosivo, dove la linea di confine tra una semplice contravvenzione e un grave delitto dipende dalla sua effettiva pericolosità. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo punto, chiarendo i criteri per distinguere le “materie esplodenti” dai ben più pericolosi “esplosivi”.
I Fatti del Processo: dall’Appello alla Cassazione
Il caso nasce dal ricorso di un individuo condannato nei primi due gradi di giudizio per detenzione di materiale esplosivo e ricettazione. L’imputato, attraverso la sua difesa, contestava la qualificazione del materiale sequestrato. Secondo il ricorrente, si sarebbe dovuto parlare di “materie esplodenti” ai sensi dell’articolo 678 del codice penale, una contravvenzione punita in modo meno severo, e non di “esplosivi”, la cui detenzione illegale costituisce un delitto secondo la legge n. 497 del 1974.
La Corte d’Appello aveva però confermato la condanna, ritenendo provata la natura altamente pericolosa e distruttiva del materiale. Il caso è quindi approdato dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione.
La cruciale distinzione nella detenzione materiale esplosivo
Il fulcro della decisione della Cassazione risiede nella distinzione tra due categorie di materiali, apparentemente simili ma giuridicamente molto diverse.
“Materie Esplodenti” secondo l’art. 678 c.p.
In questa categoria rientrano tutte quelle sostanze che, pur essendo in grado di generare un’esplosione, sono prive di “potenzialità micidiale”. Ciò può dipendere dalla loro composizione chimica o dalle modalità di fabbricazione. Si tratta, in sostanza, di materiali la cui esplosione non ha un rilevante effetto distruttivo, come certi tipi di fuochi d’artificio di libera vendita.
“Esplosivi” e il reato previsto dalla Legge 497/1974
Al contrario, la categoria degli “esplosivi” comprende sostanze caratterizzate da un’elevata potenzialità e da una spiccata “micidialità”. Questi materiali sono idonei a provocare esplosioni con un effetto distruttivo significativo. La Corte richiama un precedente in cui la micidialità di un ordigno artigianale era stata provata dal fatto che la sua accensione aveva creato un cratere di 11 centimetri nel terreno.
Le motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno osservato che la Corte d’Appello aveva correttamente applicato i principi giuridici citati. La sentenza di secondo grado aveva infatti ritenuto dimostrata la natura micidiale dell’esplosivo basandosi su elementi concreti, come il luogo in cui era custodito e gli accertamenti tecnici svolti dai consulenti.
Il ricorrente, secondo la Cassazione, si è limitato a riproporre la propria tesi senza però confrontarsi adeguatamente con la ratio decidendi, ovvero il nucleo centrale del ragionamento dei giudici d’appello. Non è sufficiente contestare genericamente una sentenza; è necessario smontare punto per punto le argomentazioni che la sorreggono. In mancanza di questa specifica contestazione, il ricorso non può essere esaminato nel merito e deve essere dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le conclusioni: Implicazioni della Sentenza
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: nel valutare la gravità della detenzione materiale esplosivo, il criterio determinante è la prova scientifica della sua capacità distruttiva. Non basta la mera classificazione nominale del prodotto, ma è necessario un accertamento fattuale della sua potenzialità offensiva. Per gli operatori del diritto e per i cittadini, emerge chiaramente che la detenzione di ordigni artigianali o di materiali esplosivi con elevato potenziale distruttivo integra un grave delitto e non una semplice contravvenzione, con conseguenze penali molto più severe. La decisione sottolinea inoltre l’importanza di strutturare un ricorso in Cassazione in modo rigoroso, attaccando specificamente le fondamenta logico-giuridiche della decisione che si intende impugnare.
Qual è la differenza legale tra “materie esplodenti” e “esplosivi”?
La differenza si basa sulla “potenzialità micidiale”. Le “materie esplodenti” (reato meno grave, art. 678 c.p.) ne sono prive, mentre gli “esplosivi” (reato più grave, L. 497/1974) sono caratterizzati da elevata potenzialità e sono idonei a provocare un’esplosione con rilevante effetto distruttivo.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il ricorrente non si è confrontato compiutamente con la motivazione della sentenza impugnata. La Corte d’Appello aveva già dimostrato la natura micidiale dell’esplosivo, e il ricorso non ha contestato efficacemente questa specifica ragione della decisione (ratio decidendi).
Quali elementi hanno usato i giudici per determinare la natura “micidiale” dell’esplosivo?
I giudici di merito hanno ritenuto dimostrata la natura micidiale dell’esplosivo sulla base del luogo di custodia e degli accertamenti tecnici effettuati dai consulenti.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13433 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13433 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a TORINO il 05/01/1985
avverso la sentenza del 17/10/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Visti gli atti e la sentenza impugnata;
letto il ricorso;
rilevato che:
NOME COGNOME ha riportato condanna per detenzione di materiale esplosivo e ricettazione;
l’unico motivo di ricorso contesta carenze motivazionali in punto di qualificazione del materiale esplosivo come tale, piuttosto che come sostanza esplodente la cui detenzione comporta la configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 678 cod. pen.;
ritenuto che:
«nella categoria delle “materie esplodenti” indicata nell’art. 678 cod. pen. rientrano quelle sostanze prive di potenzialità micidiale sia per la struttura chimica, sia per le modalità di fabbricazione, dovendo invece essere annoverate nella diversa categoria degli “esplosivi” – la cui illegale detenzione è sanzionata dall’art. 10 della legge n. 497 del 1974 – quelle sostanze caratterizzate da elevata potenzialità, le quali, per la loro micidialità, sono idonee a provocare un’esplosione con rilevante effetto distruttivo. (Fattispecie relativa alla detenzione, da parte dell’indagato, di quattordici manufatti, realizzati artigianalmente, contenenti ciascuno materiale esplosivo, di uno dei quali, a seguito di prova di accensione, gli artificieri avevano accertato la micidialità, avendo provocato la creazione di un cratere di 11 centimetri)» (Sez. 1, n. 12767 del 16/02/2021, COGNOME, Rv. 280857);
i giudici di merito si sono conformati a tale principio, avendo ritenuto dimostrata la natura micidiale dell’esplosivo in ragione del luogo di custodia e degli accertamenti dei consulenti;
a fronte di tali argomentazioni, il ricorrente omette di confrontarsi compiutamente non considerando l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata;
considerato che, pertanto, deve essere dichiarata la inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20/02/2025