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Detenzione inumana: ricorso senza limiti temporali

Un detenuto ha richiesto una riduzione di pena per detenzione inumana subita in diversi periodi, inclusa la custodia cautelare. La Corte di Cassazione ha stabilito che la domanda di risarcimento per il periodo di custodia cautelare non è soggetta al termine di decadenza di sei mesi, se tale periodo è computabile nella pena finale in esecuzione. La Corte ha quindi annullato la decisione del Tribunale di Sorveglianza su questo punto, rinviando per un nuovo giudizio. Ha invece respinto le censure relative a un altro periodo detentivo, confermando la valutazione dei giudici di merito sui fattori compensativi che escludevano il trattamento degradante.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenzione Inumana: la Cassazione Rimuove i Limiti Temporali per il Ricorso

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito un principio fondamentale in materia di detenzione inumana, chiarendo che il diritto a richiedere un risarcimento per i periodi di custodia cautelare non è soggetto a termini di decadenza. Questa decisione rafforza la tutela dei diritti dei detenuti, garantendo che il pregiudizio subito a causa di condizioni carcerarie degradanti possa essere sempre fatto valere quando connesso alla pena in esecuzione.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un detenuto che aveva presentato un reclamo per ottenere una riduzione di pena ai sensi dell’art. 35 ter dell’ordinamento penitenziario, a causa delle condizioni di detenzione subite in tre diversi istituti. In particolare, il ricorrente lamentava il trattamento degradante patito in un periodo di detenzione recente e in periodi di presofferto risalenti al 2015 e 2016.

Il Tribunale di Sorveglianza aveva respinto la richiesta per il periodo più recente, ritenendo che, nonostante uno spazio individuale di poco superiore ai tre metri quadrati, la presenza di ‘fattori compensativi’ (come un regime a celle aperte e la possibilità di svolgere attività) rendesse l’offerta trattamentale adeguata. Per i periodi di presofferto più datati, invece, aveva dichiarato l’istanza inammissibile, sostenendo che il detenuto fosse decaduto dal suo diritto per non aver presentato la domanda entro sei mesi dalla cessazione di quei periodi di detenzione.

L’Analisi della Corte sulla detenzione inumana

La Corte di Cassazione, investita del ricorso, ha operato una distinzione netta tra le diverse censure mosse dal detenuto, accogliendone una e rigettando le altre.

La Questione Decisiva: Nessuna Decadenza per il Presofferto

Il punto cruciale della sentenza riguarda l’erronea dichiarazione di inammissibilità per i periodi di custodia cautelare del 2015-2016. La Corte ha affermato un principio di diritto di grande importanza: quando la custodia cautelare, pur già cessata e seguita da un periodo di libertà, è stata sofferta nello stesso procedimento penale che ha portato alla condanna attualmente in esecuzione, il rimedio della riduzione di pena è sempre proponibile.

In una situazione del genere, non opera alcun termine di decadenza. La ragione è che quel periodo di presofferto è direttamente computabile ai fini dell’esecuzione della pena principale. Non si tratta quindi di un’esecuzione passata e non unificata a quella attuale, ma di una fase dello stesso percorso esecutivo. Pertanto, finché la detenzione permane, il condannato può chiedere il rimedio compensativo per il pregiudizio subito durante la custodia cautelare, senza essere vincolato al termine di sei mesi.

La Valutazione dei Fattori Compensativi

Per quanto riguarda il periodo di detenzione più recente, la Cassazione ha ritenuto infondate le lamentele del ricorrente. Il Tribunale di Sorveglianza aveva correttamente motivato la sua decisione, evidenziando che lo spazio individuale disponibile (3,575 mq) era superiore alla soglia minima di 3 mq. In questi casi, la giurisprudenza consente di valutare la presenza di fattori compensativi che possono bilanciare la limitatezza dello spazio. Nel caso specifico, il giudice di merito aveva adeguatamente considerato elementi come le ampie finestre, la disponibilità di acqua calda, l’accesso a spazi ricreativi e il regime a ‘celle aperte’ per gran parte della giornata. Secondo la Cassazione, tale valutazione, essendo logica e completa, non è sindacabile in sede di legittimità.

Le Motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione su una consolidata giurisprudenza, distinguendo nettamente i casi in cui vi è una cesura temporale tra diverse esecuzioni di pena e il caso, come quello in esame, in cui la custodia cautelare è parte integrante del titolo esecutivo attuale. L’assenza di soluzione di continuità giuridica, data dal fatto che il presofferto confluisce nel medesimo ‘cumulo di pene’, rende il rimedio riparativo sempre azionabile. La motivazione della Cassazione ha quindi corretto un errore di diritto del giudice di merito, riaffermando che la tutela contro la detenzione inumana non può essere vanificata da ostacoli procedurali quando il pregiudizio si riferisce a una fase della stessa vicenda esecutiva.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza annulla parzialmente l’ordinanza impugnata e rinvia il caso al Tribunale di Sorveglianza per una nuova valutazione dei periodi di presofferto del 2015-2016. La decisione ha un’implicazione pratica rilevante: i detenuti possono chiedere il ristoro per condizioni degradanti subite in custodia cautelare senza il timore di vedersi opporre la decadenza, a patto che quel periodo sia giuridicamente collegato alla pena che stanno scontando. Viene così rafforzato uno strumento fondamentale per la salvaguardia della dignità umana all’interno degli istituti penitenziari.

Esiste un termine per chiedere il risarcimento per detenzione inumana subita durante la custodia cautelare?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non opera alcun termine di decadenza se il periodo di custodia cautelare, anche se seguito da un periodo di libertà, è stato sofferto nello stesso procedimento che ha portato alla pena attualmente in esecuzione e vi è computabile.

Uno spazio in cella di poco superiore ai 3 metri quadrati è sempre considerato detenzione inumana?
Non necessariamente. Se lo spazio individuale è compreso tra i 3 e i 4 metri quadrati, la presunzione di violazione può essere superata dalla presenza di adeguati ‘fattori compensativi’, come la sufficiente libertà di movimento fuori dalla cella, lo svolgimento di attività, e dignitose condizioni carcerarie generali.

Cosa succede quando la Corte di Cassazione accoglie solo in parte un ricorso?
La Corte annulla la decisione impugnata limitatamente alla parte in cui ha riscontrato un errore di diritto, disponendo un rinvio al giudice precedente affinché riesamini solo quel punto specifico. Per le altre parti del ricorso, che sono state respinte, la decisione impugnata rimane valida.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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