Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 21586 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 21586 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 08/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/06/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di L’AQUILA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG, COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila ha respinto il reclamo proposto da NOME GLYPH avverso il provvedimento del Magistrato di Sorveglianza di Pescara del 17 maggio 2023, che aveva respinto l’istanza di riduzione della pena per detenzione degradante ex art. 35 ter ord. pen. in relazione al periodo detentivo trascorso presso la Casa circondariale di Teramo dal 17 luglio 2019 al 31 marzo 2023 e lo ha dichiarato inammissibile in relazione ai periodi di presofferto trascorsi presso l’RAGIONE_SOCIALE dal 08 maggio al 01 giugno 2015 e, presso l’istituto di Vasto, dal 01 giugno 2015 al 21 marzo 2016 e dal 11 al 17 luglio 2019.
A fondamento del provvedimento reiettivo, il Tribunale osservava che: quanto alle condizioni detentive presso l’istituto di Teramo, a fronte della disponibilità di una superficie individuale della cella di mq 3,575, vi era stato il concorso di fattori compensativi idonei a bilanciare la quota spazio, di talchè doveva ritenersi l’offerta trattamentale adeguata; il periodo trascorso presso la Casa Circondariale di Vasto non poteva essere preso in considerazione in quanto inferiore ai quindici giorni indicati come periodo minimo nell’art. 35 ter ord. pen.; quanto ai periodi di presofferto trascorsi tra il 2015 ed il 2016 presso gli Istituti di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e di Vasto, il Tribunale rilevava l’intervenuta decadenza dell’NOME, che non aveva avanzato domanda di ristoro entro il termine decaclenziale di sei mesi dalla cessazione dello stato di detenzione, a nulla rilevando che le pene fossero confluite in un unico provvedimento di unificazione.
Avverso detta ordinanza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, che articola i seguenti motivi.
2.1 Con il primo motivo, lamenta inosservanza’ o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale e intrinseca contraddittorietà ex art. 606, comma 1, lett. b) e illogicità della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.. Si duole la difesa che il Tribunale abbia dichiarato l’inammissibilità dell’istanza con riferimento alle carcerazioni presso gli istituti di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e di Vasto, dal momento che il periodo detentivo sofferto e richiesto nei tre Istituti penitenziari è stato ricompreso nel medesimo cumulo.
2.2. Con il secondo motivo, si lamenta la mancanza assoluta di motivazione dell’ordinanza impugnata, ex art. 606, comma 1, lett. e), come modificato dall’art. 8 della legge 20 febbraio 2006, in relazione agli artt. 13 e 111, comma 6 Cost. Il Tribunale avrebbe dovuto indicare con precisione gli elementi di fatto da quali
desumere i criteri di scelta per la sussistenza o meno della detenzione inumana e degradante e avrebbe altresì dovuto indicare sia la idoneità degli elementi a carico, sia la non rilevanza degli elementi a difesa raccolti dal PM e dal difensore.
2.3. Con il terzo motivo, si deduce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 35 ter ord. penit. e 192 cod. proc. pen.. Il Tribunale di sorveglianza ha omesso di adeguarsi ai principi sanciti dalla Corte Edu e dalla stessa Cassazione che in altro procedimento aveva affermato che nel calcolo dello spazio minimo destinato al singolo occupante andava escluso il letto e che non fosse possibile compensare le carenze interne della cella con la residua offerta di servizi o di spazi esterni alla cella.
2.4. Con il quarto motivo, si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), in relazione all’art. 35 ter ord. pen. e agli artt. 3 e 27 Cost. I giudici hanno rigettato il reclamo proposto da COGNOME, in tema di tutela inibitoria e risarcitoria ex art. 35 ter ord. pen., omettendo completamente di motivare sulla sussistenza o meno degli ulteriori parametri compensativi.
2.5. Con il quinto motivo, si deduce nullità dell’ordinanza impugnata per omessa valutazione degli atti defensionali e i documenti prodotti dalla difesa del detenuto (art. 606, comma 1, lett. c), in relazione all’art. 178, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. e 24 Cost.).
GLYPH Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato con riferimento al primo motivo, e dev’essere respinto nel resto.
Con il primo motivo il ricorrente si duole della mancata valutazione da parte del Tribunale di sorveglianza dei periodi di presofferto trascorsi dal detenuto nel 2015 e 2016 presso gli istituti di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e di Vasto.
Va chiarito come detti periodi siano stati ricompresi nel cumulo relativo all’attuale espiazione, emesso dal P.M. di Vasto il 23/02/2022.
2.1. Questa Corte, con giurisprudenza uniforme (da ultimo, Sez. 1, n. 54862 del 17/01/2018, Molluso, Rv. 274971-01), ritiene che la discontinuità tra le fasi esecutive sia preclusiva della richiesta, ex art. 35 ter Ord. pen., di decurtazione della pena da imputare al titolo in esecuzione, quale rimedio al pregiudizio riferibile all’espiazione,
già cessata, di un titolo diverso. Ammettere, infatti, che l’interessato possa ottenere una riduzione di pena imputabile al trattamento degradante subito nel corso di una precedente esecuzione, ormai esaurita e temporalmente non unificata a quella attuale, contrasta con la correlazione che deve esistere tra esecuzione e titolo di riferimento, e interferisce inoltre con la disciplina della fungibilità, che non ammette crediti di pena spendibili in relazione a condotte di rilevanza penale non ancora poste in essere.
Diverso è il caso del detenuto, che richieda il rimedio risarcitorio di cui all’art. 35 ter Ord. pen. per la restrizione degradante subita in esecuzione di un titolo diverso da quello in espiazione al tempo della domanda, ma che espia la pena del nuovo titolo senza soluzione di continuità con quella precedente, nell’ambito di una esecuzione unificata in un provvedimento di cumulo di pene. Costui potrà certamente, finché la detenzione permane, adire il magistrato di sorveglianza, per ottenere il rimedio compensativo della riduzione della pena cumulata.
Nel caso in cui l’espiazione del nuovo titolo non avvenga in continuità con il precedente, sussistendo cesura temporale tra la precedente esecuzione, in cui si assume essersi verificata la violazione, e quella in corso al momento della domanda, l’interessato potrà altrimenti azionare il rimedio avente ad oggetto il solo ristoro monetario.
Diverso ancora è il caso, come quello che ci occupa, in cui la custodia cautelare, pur già cessata e seguita da un periodo di libertà, sia stata sofferta nel medesimo procedimento in cui risulta irrogata la pena in esecuzione al momento della domanda da parte del condannato detenuto’. In una situazione siffatta è proponibile la richiesta riparativa in forma specifica ai sensi del comma 1 dell’art. 35 ter Ord. pen. e non opera alcun termine di decadenza, poiché non si rientra nell’ipotesi della custodia cautelare non computabile considerata dal comma 3 dello stesso articolo, in presenza della quale è azionabile il solo ristoro patrimoniale.
Deve quindi ritenersi che, in caso di custodia cautelare cessata, ma sempre computabile ai fini dell’esecuzione della pena per lo stesso titolo in esecuzione all’atto della domanda formulata ai sensi dell’art. 35 ter ord. pen, sia sempre azionabile, senza termini di decadenza, il rimedio in forma specifica. (così 1 sez., n. 4992 del 01/12/2021).
2.2. Alla luce di tali principi, si appalesa pertanto erronea la decisione del Tribunale di sorveglianza di dichiarare inammissibile l’istanza formulata dal detenuto ex art. 35 ter ord. pen. con riferimento ai periodi di presofferto trascorsi tra il 2015 ed il 2016 presso gli Istituti di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e di Vasto, sul presupposto dell’intervenuta decadenza dell’NOME, che non aveva avanzato domanda di ristoro entro il termine decadenziale di sei mesi dalla cessazione dello stato di detenzione.
is”)
2.3. Deve conseguentemente disporsi l’annullamento dell’ordinanza impugnata limitatamente all’omessa valutazione dei periodi di presofferto trascorsi tra il 2015 ed il 2016 presso gli Istituti di RAGIONE_SOCIALE e di Vasto, con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di sorveglianza de L’Aquila.
I restanti motivi, con i quali il ricorrente censura il provvedimento impugnato nella parte in cui ha respinto, nel merito, l’istanza, e quindi con riferimento al periodo detentivo trascorso dal detenuto presso l’istituto di Teramo, possono essere trattati congiuntamente stante la stretta connessione degli argomenti trattati. Detti motivi, che presentano tratti di inammissibilità, sono nel complesso infondati.
Va premesso che in materia di rimedi risarcitori ex art. 35 ter Ord. pen., il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, nozione nella quale va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo prospettato da una parte che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio. Nel giudizio di cassazione, pertanto, è esclusa la sindacabilità del vizio di manifesta illogicità mentre il ricorrente ha la possibilità di denunciare un vizio di motivazione apparente, atteso che, in tal caso (e solo in tal caso), si prospetta la violazione dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., che impone sempre l’obbligo della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali. Questo vizio è ravvisabile solo quando la motivazione sia completamente priva dei requisiti minimi di coerenza e di completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito, oppure quando le linee argomentative siano talmente scoordinate da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento.
Ancora, è utile premettere che, come già chiarito dalla giurisprudenza di queta Corte, che lo spazio individuale minimo intramurario, pari o superiore a tre metri quadrati, da assicurare a ogni detenuto affinché lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti ogni mani o degradanti, stabilito dall’art. 3 della Convenzione dei diritti dell’uomo delle libertà fondamentali, così come interpretato dalla conforme giurisprudenza della Corte Edu in data 8 gennaio 2013 nel caso COGNOME c. Italia, deve essere inteso come superficie disponibile tale da assicurare, affinché le modalità di restrizione siano rispettose della sua dignità, il normale movimento nella cella. Vanno, dunque, detratti, il letto (Sez. 1, n. 52819 del 09/09/2016, COGNOME, Rv. 268231; Sez. 1, n. 40520 del 16/11/2016, dep. 2017, Triki, e, se a castello, Sez. 1, n. 16418 del 17/11/2016, dep. 2017, COGNOME; già,in precedenza, Sez. 7, n. 3202 del 18 novembre 2015, COGNOME,; in senso conforme
anche: Sez. 3 civ., n. 29323 del 07/12/2017, COGNOME R., Rv. 646714) e gli arredi stabilmente infissi.
Non sono tali, al contrario, quelli rimuovibilli o che, essendo mobili, risultano anche serventi all’esplicazione di attività quotidiane (sgabelli o tavolini) che non sono invece detraibili (Sez. 1, n. 13124 del 17/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269514; Sez. 1, n. 12338 de117/11/2016, dep. 2017, COGNOME; Sez. 1, n. 39245 del 16/5/2017, COGNOME; Sez. F., n. 39207 del 17/8/2017, COGNOME; Sez. 1, n. 41211 del 26/05/2017, COGNOME, Rv. 271087). In questa logica, la giurisprudenza più recente ha avuto modo di sottolineare che, in tema di rimedi risarcitori nei confronti di soggetti detenuti o internati previsti dall’art. 35 ter Ord. pen, i fattori compensativi – costituiti dalla breve durata della detenzione, dalle dignitose condizioni carcerarie, dalla sufficiente libertà di movimento al di fuori della cella mediante lo svolgimento di adeguate attività – se congiuntamente ricorrenti, possono permettere di superare la presunzione di violazione dell’art. 3 della CEDU derivante dalla disponibilità nella cella collettiva di uno spazio minimo individuale inferiore a tre metri quadrati, mentre, nel caso di disponibilità di uno spazio individuale compreso fra i tre e i quattro metri quadrati come verificatosi nel caso di specie -, i predetti fattori compensativi concorrono, unitamente ad altri di carattere negativo, alla valutazione unitaria delle condizioni complessive di detenzione.
Nel caso di specie, le doglianze formulate dal ricorrente esulano dal novero delle censure deducibili in sede di legittimità, essendo inerenti a vizi di motivazione del provvedimento impugnato. La motivazione del provvedimento impugnato, infatti, lungi dal potersi considerare apparente, si sostanzia in un apparato esplicativo puntuale, coerente, privo di discrasie logiche e del tutto idoneo a rendere intelligibile l’iter logico-giuridico esperito dal giudice.
4.1. Il Tribunale di sorveglianza, infatti, ha evidenziato che nell’istituto di pena di Teramo, NOME risultava allocato in una cella in cui fruiva di uno spazio individuale di mq 3,575, correttamente calcolato al netto del bagno, e sottratti gli ingombri determinati dal letto a castello e dal mobilio fisso’ e che vi era stato il concorso di fattori idonei a bilanciare la quota spazio, e precisamente: due ampie finestre, nella camera di pernottamento e nel bagno, per un totale di superficie aperta di 2 mq; l’acqua corrente nel bagno e l’acqua calda nel locale doccia, servizio di cui era possibile fruire quotidianamente in determinate fasce orarie; la possibilità di accedere ai passaggi, alla saletta ricreativa presente nella sezione o al campo da calcio, due volte a settimana, e, su richiesta, alla palestra; il c.d. regime “aperto” per cui i detenuti possono girare all’interno della semisezione dalle ore 08:30 alle ore 19,00.
Il Tribunale, con motivazione coerente e scevra da aporie logiche ha quindi concluso di non poter ravvisare alcun pregiudizio in relazione al periodo detentivo trascorso dall’NOME presso l’istituto di Teramo dal 17/07/2019 al :31/03/2023.
4.2. Del tutto generica ed aspecifica risulta infine la doglianza inerente la mancata valutazione di documentazione prodotta dalla Difesa, non essendo stato specificato in ricorso in che termini tale asserita omissione avrebbe inciso sulla valutazione condotta dal Tribunale.
4.3. In definitiva, pare a questo Collegio che i motivi di ricorso in esame non riescano a formulare una fondata critica alla decisione, in punto di tenuta logica, coerenza o contraddittorietà, arrestandosi alla mera critica confutativa.
Sulla base delle considerazioni che precedono l’ordinanza va pertanto annullata con rinvio al Tribunale di sorveglianza de L’Aquila per nuovo giudizio, limitatamente alla omessa valutazione dei periodi di detenzione cautelare trascorsi dal ricorrente presso gli istituti di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e di Vasto. Il ricorso va respinto nel resto.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla omessa valutazione dei periodi di detenzione cautelare, con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Sorveglianza di L’Aquila. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 08/02/2024