Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 27563 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 27563 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a GIOIA TAURO il 02/07/1980
avverso l’ordinanza del 10/04/2025 del TRIB. SORVEGLIANZA’di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e l’ordinanza impugnata.
Ritenuto che le censure articolate da NOME COGNOME nell’unico motivo di impugnazione non superano il vaglio preliminare di ammissibilità in quanto, pur strutturate come denuncia del vizio di violazione di legge, finiscono per sollecitare il controllo della tenuta logica della motivazione e, comunque, laddove pongono, in termini per di più astratti, questioni giuridiche sono manifestamente infondate.
Preliminarmente, è opportuno ricordare che l’art. 35-ter Ord. pen. riconosce il rimedio risarcitorio conseguente alla violazione dell’art. 3 CEDU nelle ipotesi previste dall’art. 69, comma 6, lett. b), del medesimo testo normativo, ovvero quando il detenuto subisca un attuale grave pregiudizio all’esercizio dei suoi diritti in ragione della «inosservanza da parte dell’amministrazione di disposizioni previste dalla presente legge e dal relativo regolamento».
I provvedimenti emessi in tale materia dal Tribunale di sorveglianza sono ricorribili per cassazione soltanto per violazione di legge a norma dell’art. 35-bis, comma 4-bis (aggiunto dall’art. 3, comma 1, lett. b), d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla I. 21 febbraio 2014, n. 10), richiamato dall’art. 35-ter cit.
Discutendosi nel caso in esame della conformità ai canoni previsti dall’art. 3 CEDU delle condizioni della detenzione patita da persona assoggettata al regime differenziato previsto dall’art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354 – va ribadito, in ossequio all’orientamento della, giurisprudenza di legittimità (cfr., in particolare Sez. 1, n. 16116 del 27/01/2021, COGNOME, Rv. 281356 – 01; Sez. 1, n. 30030 del 11/09/2020, COGNOME, Rv. 279793 – 01), peraltro opportunamente richiamato dal ricorrente, che la violazione dell’art. 3 CEDU può discendere, qualora la cella abbia dimensioni superiori a quattro mq, dalle ulteriori condizioni che rendano degradante il trattamento detentivo, quali, tra le altre, la mancanza di illuminazione ed aerazione dei locali o di servizi igienici. In tal caso, la violazio può essere apprezzata sia con riguardo a un particolare, determinato accadimento, sia con riferimento alla complessiva valutazione di più circostanze incidenti sul complessivo trattamento detentivo, avuto riguardo, vieppiù, alle condizioni direttamente conseguenti all’applicazione dello speciale regime detentivo (come, ad esempio, la permanenza in cella per ventuno ore), che, pur non rilevando direttamente ai fini che interessano, possono, ciò nonostante, influire sulla valutazione in ordine alla rilevanza di altre concorrenti situazioni di fatto.
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Tanto, in ragione del rilievo secondo cui ad una maggiore severità del regime detentivo corrisponde la necessità, al fine di escludere il carattere inumano e degradante della detenzione, di tutte le ulteriori condizioni di restrizione.
Il Tribunale di sorveglianza, nel provvedimento impugnato, ha dato atto delle doglianze articolate con il reclamo avverso la decisione del Magistrato di sorveglianza ed ispirate al richiamato principio della valutazione multifattoriale e complessiva delle condizioni di detenzione – specificamente evocando le censure afferenti alle condizioni del locale docce, alla qualità dell’acqua erogata dal rubinetto in dotazione alla sezione 41-bis, alla fatiscenza dei cortili adibiti al passeggio, alle lacune dell’assistenza sanitaria con riguardo a due interventi chirurgici – ma le ha, tuttavia, ritenute non idonee, singolarmente e nel loro insieme, a comprovare la fondatezza dell’iniziativa risarcitoria, considerandole come riferite a disagi transeunti ed occasionali, comuni a tutti i detenuti ed in via di progressiva eliminazione o attenuazione.
La difesa di COGNOME preso atto di siffatta motivazione, plausibile e completa, ancorché sintetica, ne ha censurato, inammissibilmente per quanto chiarito in premessa, la tenuta logica, per di più in termini generici, dolendosi dell’assenza di un esame, sufficientemente analitico, finalizzato all’accertamento dell’eventuale violazione dell’art. 3 CEDU.
In questa prospettiva ha richiamato pertinenti indirizzi ermeneutici, sia della Corte di cassazione che della Corte EDU, senza, però, spiegare come ed in quale misura gli evocati profili critici abbiano reso, da soli e nel loro complesso, la sua detenzione inumana e degradante, determinando in ragione della loro protrazione nel tempo e della pozione assunta, al riguardo, dall’istituto penitenziario deteriori conseguenze sul piano fisico e psicologico.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso, in Roma 10 luglio 2025
Il Consigliere estensore
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Il Presidente