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Detenzione inumana: ricorso inammissibile

Un detenuto ha richiesto un risarcimento per detenzione inumana, lamentando le condizioni di un istituto penitenziario. La sua richiesta è stata respinta sia dal Magistrato di Sorveglianza sia in sede di reclamo. La Corte di Cassazione ha dichiarato il successivo ricorso inammissibile, poiché il ricorrente si è limitato a ripetere le stesse argomentazioni senza contestare specificamente le motivazioni della decisione precedente, la quale aveva escluso la violazione sulla base dello spazio pro capite superiore a 3 mq e degli interventi di manutenzione effettuati.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenzione Inumana: Quando il Ricorso in Cassazione è Destinato all’Inammissibilità

Il tema della detenzione inumana e dei relativi rimedi compensativi è centrale nel nostro ordinamento. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre spunti fondamentali sui requisiti di ammissibilità di un ricorso, sottolineando come la genericità delle argomentazioni porti inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, con conseguente condanna alle spese e al pagamento di una sanzione pecuniaria.

I Fatti del Caso

Un detenuto aveva presentato un reclamo per ottenere il risarcimento previsto dall’art. 35-ter dell’ordinamento penitenziario. Sosteneva di aver subito un trattamento contrario all’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) durante la sua permanenza in un istituto penitenziario di Firenze, in un arco temporale di circa tre anni e mezzo.

La sua istanza era già stata respinta in prima istanza dal Magistrato di Sorveglianza e, successivamente, il reclamo era stato rigettato anche dal Tribunale di Sorveglianza. Quest’ultimo aveva motivato la sua decisione evidenziando che lo spazio pro capite a disposizione del detenuto era sempre stato superiore alla soglia minima di 3 metri quadri e che l’amministrazione penitenziaria aveva fornito prova di periodici interventi di disinfestazione, imbiancatura e manutenzione ordinaria. Non ravvisando, quindi, le condizioni per una detenzione inumana, il Tribunale aveva confermato il rigetto.

La Decisione sul ricorso per detenzione inumana

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso del detenuto inammissibile. La Suprema Corte ha rilevato che il ricorso non superava il vaglio preliminare di ammissibilità perché non si confrontava adeguatamente con le motivazioni del provvedimento impugnato. Invece di contestare specificamente le ragioni poste a base della decisione del Tribunale di Sorveglianza, il ricorrente si era limitato a “reiterare pedissequamente le medesime argomentazioni già dedotte in sede di reclamo”.

Le Motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione su principi consolidati. In primo luogo, ha ribadito che un ricorso per cassazione, consentito solo per violazione di legge, deve essere specifico. Non può essere una generica riproposizione delle proprie lamentele, ma deve “aggredire” il ragionamento logico-giuridico della decisione impugnata, evidenziandone gli errori di diritto. Nel caso di specie, il ricorso è stato giudicato “generico ed assertivo”, e quindi sostanzialmente aspecifico.

In secondo luogo, la Cassazione ha ricordato un importante principio giurisprudenziale: non ogni lesione o disagio patito in carcere può automaticamente dar luogo a un risarcimento. Lo speciale rimedio compensativo per la detenzione inumana è previsto solo per quelle condizioni che provocano “uno sconforto e un’afflizione di intensità tale da eccedere l’inevitabile sofferenza legata alla detenzione”. Poiché il Tribunale di Sorveglianza aveva adeguatamente motivato l’assenza di tali condizioni (spazio sufficiente e manutenzione), e il ricorso non aveva mosso critiche specifiche a tale motivazione, l’impugnazione non poteva che essere dichiarata inammissibile.

Le Conclusioni

Questa ordinanza è un monito importante per chi intende agire in giudizio per far valere i propri diritti. Dimostra che, specialmente nel giudizio di legittimità dinanzi alla Cassazione, la precisione e la specificità delle censure sono requisiti imprescindibili. Non è sufficiente sentirsi vittime di un’ingiustizia; è necessario articolare le proprie ragioni in modo tecnicamente ineccepibile, contestando punto per punto la decisione che si ritiene errata. In caso contrario, il rischio concreto non è solo quello di vedere la propria richiesta respinta, ma anche di essere condannati al pagamento delle spese processuali e di una sanzione a favore della Cassa delle ammende.

Quando le condizioni di detenzione danno diritto a un risarcimento?
Non ogni disagio o sofferenza legata allo stato detentivo dà diritto a un risarcimento. Secondo la Corte, il rimedio compensativo scatta solo quando le condizioni provocano uno sconforto e un’afflizione di intensità tale da eccedere l’inevitabile sofferenza della detenzione. Nel caso esaminato, lo spazio superiore a 3 mq e la manutenzione ordinaria sono stati ritenuti sufficienti a escludere tale violazione.

Perché il ricorso del detenuto è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto aspecifico. Invece di contestare con precise argomentazioni giuridiche le motivazioni della decisione del Tribunale di Sorveglianza, il ricorrente si è limitato a ripetere le stesse lamentele già presentate nei gradi precedenti, senza un reale confronto con la decisione impugnata.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
Oltre al rigetto della propria domanda, la parte il cui ricorso viene dichiarato inammissibile per sua colpa viene condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (in questo caso, 3.000 euro) in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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