LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Detenzione inumana: quando scatta il risarcimento?

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un detenuto che chiedeva un risarcimento per detenzione inumana. Pur in presenza di fattori di disagio come un bagno “alla turca” e una finestra apribile solo dall’esterno, la Corte ha stabilito che, avendo a disposizione uno spazio vitale superiore a 4 mq, non si raggiungeva la soglia minima di gravità per configurare una violazione dell’art. 3 della Convenzione EDU. La decisione sottolinea che non ogni disagio carcerario equivale a trattamento inumano o degradante, ma è necessaria un’afflizione che ecceda la sofferenza inevitabilmente legata alla detenzione.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenzione Inumana: Non Basta il Disagio per Ottenere il Risarcimento

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20699 del 2024, ha fornito importanti chiarimenti sui presupposti per il risarcimento da detenzione inumana ai sensi dell’art. 35-ter dell’Ordinamento Penitenziario. La pronuncia stabilisce che la semplice presenza di condizioni di disagio, come un bagno “alla turca” in cella, non è sufficiente a integrare una violazione dei diritti del detenuto se lo spazio vitale a disposizione è adeguato e non si raggiunge una soglia minima di gravità.

I Fatti del Caso

Un detenuto presentava ricorso avverso la decisione del Tribunale di Sorveglianza che aveva negato il suo reclamo per ottenere i rimedi risarcitori previsti dalla legge per condizioni di detenzione lesive della dignità. Il ricorrente lamentava una serie di fattori negativi, tra cui la presenza in cella singola di un bagno “alla turca” non completamente isolato e una finestra apribile solo dall’esterno, circostanza che, a suo dire, rendeva stagnanti i cattivi odori e configurava un trattamento degradante.

Il Tribunale di Sorveglianza aveva respinto il reclamo, evidenziando due punti principali:
1. Spazio individuale: Il detenuto fruiva di uno spazio personale di 5,4 metri quadrati, quindi superiore alla soglia critica dei 3 metri quadrati e anche a quella dei 4 metri quadrati.
2. Fattori degradanti: La presenza del bagno, separato da un muretto e una tenda e ad uso esclusivo, non era stata ritenuta un fattore di insalubrità tale da costituire una violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).

Il detenuto, tramite il suo difensore, ricorreva in Cassazione, sostenendo che il Tribunale non avesse adeguatamente valutato i fattori negativi diversi dal mero sovraffollamento.

Criteri per la valutazione della detenzione inumana

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. La sentenza si basa su principi consolidati dalla giurisprudenza sia nazionale che europea, in particolare quella della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

I giudici hanno ribadito la distinzione basata sullo spazio a disposizione del detenuto:
Spazio inferiore a 3 mq: Si presume una violazione dell’art. 3 CEDU (presunzione forte).
Spazio tra 3 e 4 mq: La violazione sussiste solo se all’esiguità dello spazio si aggiungono altri fattori negativi (scarsa luce, aria, igiene, etc.).
Spazio superiore a 4 mq: Come nel caso di specie, la violazione dell’art. 3 CEDU può essere riconosciuta solo in presenza di aspetti diversi da quello dello spazio, ma di particolare gravità.

Il concetto di “Soglia Minima di Gravità” nella detenzione inumana

Il punto cruciale della decisione è il riferimento alla cosiddetta “soglia minima di gravità”. La Corte ha specificato che non ogni violazione dei diritti del detenuto o ogni condizione di “mero disagio” è sufficiente per attivare i rimedi risarcitori. È necessario che il trattamento subito provochi un’afflizione che ecceda l’inevitabile sofferenza legata alla privazione della libertà.

Nel caso specifico, pur riconoscendo la presenza di elementi di disagio (il bagno e la finestra), la Corte ha ritenuto che questi non raggiungessero quel livello di gravità tale da configurare un trattamento inumano o degradante. Il bagno, seppur “alla turca”, era ad uso esclusivo e separato dal resto della cella, escludendo una lesione della riservatezza o della salubrità. Il Tribunale aveva correttamente valutato tutti gli elementi, concludendo che non sussisteva un trattamento disumano.

le motivazioni

La Suprema Corte ha motivato il rigetto del ricorso sottolineando che il Tribunale di Sorveglianza ha fatto buon governo dei principi giurisprudenziali in materia. Ha correttamente valutato che lo spazio a disposizione del detenuto era superiore a quattro metri quadrati, soglia oltre la quale la violazione dell’art. 3 CEDU richiede la presenza di fattori negativi di particolare entità. I giudici di merito avevano preso in considerazione le doglianze del ricorrente, come la limitata possibilità di usare le docce, la ridotta permanenza all’aria aperta e la scarsa luminosità, reputandole però smentite dalle informazioni acquisite o comunque non sufficienti a configurare un trattamento disumano e degradante. Anche riguardo al bagno “alla turca”, la Corte ha dato continuità al proprio orientamento, secondo cui la sua presenza può essere un indicatore di trattamento degradante solo se inserito in un contesto complessivo di condizioni detentive negative, cosa che non è stata ravvisata nel caso di specie, data la separazione fisica (muro e tenda) e l’uso esclusivo da parte del detenuto.

le conclusioni

In conclusione, la sentenza n. 20699/2024 rafforza un principio fondamentale: per ottenere un risarcimento per detenzione inumana, non è sufficiente lamentare disagi o condizioni non ottimali. È indispensabile dimostrare che l’insieme delle condizioni detentive ha prodotto una sofferenza di intensità tale da superare la soglia minima di gravità richiesta dall’art. 3 della Convenzione EDU. La disponibilità di uno spazio personale superiore a 4 metri quadrati sposta l’onere della prova sul detenuto, che deve dimostrare la presenza di altri fattori cumulativi di eccezionale gravità. La decisione conferma quindi un approccio rigoroso nella valutazione delle condizioni carcerarie, volto a distinguere il disagio dalla violazione della dignità umana.

Quando le condizioni carcerarie sono considerate “detenzione inumana”?
Le condizioni carcerarie sono considerate “detenzione inumana” quando causano al detenuto un’afflizione che eccede l’inevitabile sofferenza legata alla detenzione, superando una “soglia minima di gravità”. Non ogni disagio o violazione delle norme penitenziarie integra automaticamente questa fattispecie.

Avere più di 4 metri quadri a disposizione esclude sempre il diritto al risarcimento?
No, non lo esclude automaticamente. Tuttavia, se un detenuto dispone di uno spazio personale superiore a quattro metri quadrati, per ottenere il risarcimento deve dimostrare la presenza di altri fattori negativi (diversi dallo spazio) che, cumulativamente, rendono le condizioni detentive disumane e degradanti.

La presenza di un bagno “alla turca” in cella costituisce automaticamente trattamento degradante?
No. Secondo la sentenza, la presenza di un bagno “alla turca” in una cella singola non costituisce di per sé trattamento degradante se questo è separato dal resto dell’ambiente (nel caso specifico, da un muretto e una tenda) e se è ad uso esclusivo del detenuto, in quanto tali accorgimenti sono sufficienti a tutelare la riservatezza e la salubrità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati