Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22313 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22313 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/03/2025
SENTENZA
sul ricorso di COGNOME NOMECOGNOME nata a Vibo Valentia il 26/01/1979, avverso l’ordinanza in data 19/11/2024 del Tribunale di Catanzaro, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito per l’indagata l’avv, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza in data 19 novembre 2024 il Tribunale del riesame di Catanzaro ha confermato l’ordinanza in data 14 ottobre 2024 del G.i.p. del Tribunale di Catanzaro che aveva applicato a NOME COGNOME la misura della custodia cautelare in carcere per violazione della legge armi aggravata dall’art. 416-bis. 1 cod. pen. (capo 16), annullando invece per il reato del capo 1), relativo alla partecipazione all’associazione del ‘art. 416-bis.1 cod. pen.
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La ricorrente denuncia con il primo motivo la violazione della legge penale e processuale in relazione agli art. 2′ 4, 7 legge n. 895 del 1967, e 273
cod. proc. pen., nonché il vizio di motivazione in relazione al reato del capo 16). Osserva che non le era stata contestata la detenzione dell’arma da fuoco, fatto invece contestato al coindagato NOME COGNOME ma solo la condotta successiva dello spostamento e dell’occultamento dell’arma. Sennonché, l’ordinanza, dopo aver escluso tale condotta di spostamento e occultamento, aveva confermato la misura sulla base della detenzione apoditticamente desunta dall’intercettazione del 17 giugno 2022.
Contesta poi la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine all’aggravante dell’agevolazione mafiosa (secondo motivo) e in ordine alle esigenze cautelari (terzo motivo).
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Il Tribunale del riesame ha ricostruito in fatto che l’indagata ha detenuto armi per conto del clan mafioso dei Cracolici, capeggiato dal fratello NOME, classe ’71. Dall’intercettazione di cui al progressivo 468, intervenuta a mezz’ora di distanza della perquisizione dei Carabinieri, che aveva dato esito positivo per il rinvenimento di una pistola semiautomatica Beretta con matricola abrasa, era evidente che il fratello aveva impartito alla sorella le istruzioni per il miglio occultamento di altra arma non rinvenuta dagli inquirenti. Il Tribunale ha escluso che tale intercettazione fosse da sola sufficiente a configurare il concorso esterno nel reato di associazione mafiosa e ha escluso anche il “porto” d’arma, in assenza della prova del suo spostamento, ma ha confermato la misura custodiale per la detenzione in concorso con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa perché la donna era contigua ai vertici del sodalizio, aveva piena consapevolezza dei traffici illeciti e della disponibilità di armi, come desumibile da numerose intercettazioni.
Come correttamente rilevato nell’ordinanza impugnata, ai fini della configurabilità del concorso in detenzione o porto illegale di armi, è necessario che ciascuno dei compartecipi abbia la disponibilità materiale di esse e si trovi, pertanto, in una situazione di fatto tale per cui possa, comunque, in qualsiasi momento, disporne (Sez. 1, n. 6796 del 22/01/2019, Susino, Rv. 274806 – 01). Nel caso in esame, la ricorrente aveva certamente la detenzione e quindi la disponibilità dell’arma, per essere stata investita della sua “gestione” dal fratello.
Il motivo, nella parte in cui lamenta la modifica del capo d’incolpazione provvisorio da “porto” a “detenzione”, è inconsistente perché la diversa qualificazione giuridica del fatto era stata effettuata nel rispetto della condotta descritta e contestata nell’editto accusatorio; nella parte in cui sostiene l’insufficienza della intercettazione è generico e rivalutativo perché non tiene conto
del complesso degli elementi sia inerenti alla condotta che di contesto evidenziati dall’ordinanza.
Del pari inammissibile è il secondo motivo per difetto di interesse ad agire.
La giurisprudenza ammette il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale del riesame che abbia ritenuto sussistente una circostanza aggravante a
effetto speciale, sempre che da questa conseguano immediati riflessi sull’an o sul quomodo
della misura (Sez. 2, n. 17366 del 21/12/2022, dep. 2023, COGNOME Rv.
284489 – 01; Sez. 6, n. 5213 del 11/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275028 –
01). Nel caso in esame, l’unico effetto che l’aggravante può dispiegare è relativo alla presunzione, sia pure relativa, prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc.
pen., ma, e si viene al terzo motivo, le esigenze cautelari che hanno giustificato l’applicazione della misura di massimo rigore sono state ravvisate dal Tribunale, a
ben vedere, a prescindere dalla presunzione collegata all’aggravante contestata, pur se menzionata nell’ordinanza, perché i Giudici hanno valorizzato la gravità
della condotta, la spiccata spregiudicatezza, la propensione a favorire contesti criminali di elevata pericolosità a dispetto della sua incensuratezza, gli intensi
rapporti di parentela per la parziale sovrapponibilità soggettiva tra la consorteria mafiosa e il contesto familiare.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata, in ragione della consistenza della causa di inammissibilità del ricorso, in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso, il 27 marzo 2025
Il Consigiiere estensore
Il Presidente