Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 5852 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 5852 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 30/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a CASAL DI PRINCIPE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 20/06/2023 del TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il difensore AVV_NOTAIO COGNOME NOME, che si è riportata ai motivi di ricorso ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la decisione indicata in epigrafe, il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale del 05/06/2023, che aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME, ritenendolo gravemente indiziato dei delitti ex artt. 110 cod. pen., 2 e 7 legge 02 ottobre 1967, n. 895, come sostituiti dagli artt. 10 e 14 della legge 14 ottobre 1974, n. 497, 1 e 2 legge n. 895 del 1967, come sostituiti dagli artt. 9 e 10 della legge n. 497 del 1974, 23 legge 18 aprile 1975, n. 110 e 648 cod. pen., reati tutti aggravati ai sensi dell’art. 416-bis. cod. pen., per essere stati commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis cod. pen., nonché al fine di favorire il RAGIONE_SOCIALE e accertati in Castel Volturno fino al 20/04/2022.
1.1. Sotto il profilo storico e oggettivo, giova precisare brevemente che stando alla ricostruzione sussunta nel provvedimento impugnato – a seguito di operazioni di scavo compiute con l’ausilio di un escavatore, si è giunti al ritrovamento di due bidoni, che si trovavano interrati a circa mt. 1,70 di profondità, nel fondo sul quale insiste l’azienda bufalina gestita dai NOME NOME, NOME NOME COGNOME; all’interno di uno dei bidoni erano collocate numerose armi comuni e da guerra, con il relativo munizionamento, tutte avvolte singolarmente da materiale plastico. Nel luogo del ritrovamento vi era un palo in ferro, infisso per circa settanta centimetri nel sottosuolo, che l’ordinanza impugnata ritiene esser stato colà apposto allo specifico fine di indicare l’ubicazione delle armi sotterrate e consentirne l’agevole recupero.
1.2. L’ordinanza impugnata ha dato conto di come l’impianto accusatorio abbia tratto alimento, in primo luogo, dalle dichiarazioni rese nell’immediatezza da NOME e NOME COGNOME (questi hanno riferito che, circa quindici anni addietro, appresero dal fratello NOME che quest’ultimo – unitamente al cugino NOME COGNOME – aveva provveduto a interrare alcuni bidoni, all’interno dell’area di pertinenza dell’azienda; più tardi, il fratello aveva rivelato loro che in contenitori si trovavano delle armi). Nuovamente ascoltati con le garanzie difensive, i due NOME NOME – dopo una iniziale oscillazione – hann sostanzialmente confermato la prima ricostruzione. NOME COGNOME, in sede di interrogatorio, ha affermato di esser stato avvicinato – circa venti anni prima del ritrovamento delle armi – da NOME COGNOME, cognato di NOME COGNOME; il COGNOME gli aveva dunque chiesto di poter sotterrare, all’interno del terreno di pertinenza dell’azienda, dei bidoni di ignoto contenuto. Egli aveva prestato consenso perché intimorito, potendo solo intuitivamente immaginare che, all’interno dei contenitori, fossero alloggiate armi, droga, o addirittura parti di cadaveri; non era mai riuscito,
però, ad avere esatta contezza del contenuto dei suddetti bidoni. Militano a carico dell’indagato, infine, le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia NOME COGNOME e, soprattutto, NOME COGNOME. Quest’ultimo ha riferito di essersi personalmente occupato della preparazione delle armi per l’interramento, ricoprendole con uno strato di grasso e avvolgendole nel cellophan; ha altresì affermato di aver agito su indicazione di NOME COGNOME, il quale aveva dato disposizioni di occultarle presso l’azienda bufalina di un suo parente di nome NOME COGNOME, ubicata nella zona di Castelvolturno e già nota al clan, per esser stata utilizzata quale luogo di svolgimento di diverse riunioni organizzative.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, a mezzo degli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, con due distinti ricorsi, rispettivamente articolati in quattro e cinque doglianze, i cui motivi vengono di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo del primo ricorso, viene denunciata violazione di legge e difetto di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b), lett. c) e lett. e) co proc. pen., in relazione agli artt. 199, commi 1 e 3 e 273 cod. proc. pen. È stata ritenuta sussistente la gravità indiziaria sulla scorta delle dichiarazioni rese da NOME dell’indagato, NOME e NOME, adoperate per inferire la mancanza di credibilità della versione resa dal ricorrente, prima al Pubblico ministero e poi al Giudice per le indagini preliminari. L’ordinanza genetica si sofferma sulla sussistenza di un vizio formale, rappresentato dal mancato rispetto delle formalità previste dagli artt. 63 e 64 cod. proc. pen., omettendo però la valutazione del profilo della violazione dell’art. 199, comma 2, cod. proc. pen. Il Pubblico ministero che ha proceduto a sottoporre a interrogatorio i NOME COGNOME il 15/06/2022, ossia due giorni dopo l’interrogatorio del ricorrente (atto risalente al 13/06/2022), all scopo di sanare qualsiasi tipo di vizio formale inerente alla mancata lettura degli avvisi, al momento delle prime dichiarazioni spontanee rese nell’immediatezza del rinvenimento delle armi, ha mancato di rilevare come il rapporto di consanguineità imponesse anche il rispetto di tale ulteriore presidio di garanzia. Pare infatti evidente come NOME COGNOME, sin dal 13/06/2022, fosse già nell’obiettivo degli inquirenti, tanto che fu il primo ad essere sentito. Sono affette dal medesimo vizio, derivante dalla omissione dell’avviso ex art. 199, comma 2, cod. proc. pen., anche le dichiarazioni spontanee rese dai NOME il 20 e 21 aprile 2022.
2.2. Con il secondo motivo del primo ricorso, viene denunciata violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., in relazione ag artt. 273 e 275 cod. proc. pen., nonché 10 e 14 legge n. 497 del 1975, in ragione della non corretta qualificazione giuridica del fatto e del difetto, contraddittorie
e illogicità della motivazione. Non vi sono elementi per ritenere che NOME COGNOME fosse a conoscenza né del contenuto dei bidoni, né del luogo preciso in cui erano stati occultati; gli stessi NOME e NOME COGNOME, infatti, riferiscono non era certamente conscio del contenuto dei bidoni e che conosceva soltanto zona di terreno in cui erano stati interrati gli stessi, ma non il punto preci ciò era avvenuto; il palo interrato, inoltre, aveva una funzione diversa ris quella, ritenuta dall’accusa, di segnalare il punto preciso del sotterrament dati, saldandosi con il fatto che le armi vennero colò interrate certamente della cattura di NOME COGNOME, avvenuta il 02/07/2002 e, da allora, vennero mai più toccate da alcuno, avrebbe dovuto indurre a ritenere che NOME non avesse alcuna signoria sulle armi stesse.
2.4. Con il quarto motivo del primo ricorso, viene denunciata violazione legge ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’ comma 3, cod. proc. pen., nonché difetto, contraddittorietà e illogicità motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. Il provvedime impugnato desume l’operatività della presunzione relativa di sussistenz esigenze cautelari, attraverso il collegamento logico di tre elementi:
2.3. Con il terzo motivo del primo ricorso, viene denunciata violazione legge ex art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., in relazione all’art. 4 cod. pen., nonché difetto, contraddittorietà e illogicità della motivazi Tribunale del riesame si limita ad affermare la sussistenza di tale aggrav senza realmente colmare di contenuto l’asserzione. NOME COGNOME non indica ma l’appartenenza al clan delle armi, affermando invece che vennero consegnate nipote, NOME COGNOME. Questi era al tempo latitante, in quanto ricercat l’omicidio di NOME COGNOME; se le armi fossero state dell’RAGIONE_SOCIALE e, q fossero state destinate all’utilizzo continuo per il raggiungimento degli scop di quest’ultima, il COGNOME – in vista di una sua lunga uscita di sc avrebbe affidate ad altri sodali, piuttosto che lasciarle occultate in un l pertinenza dei suoi familiari. Se le armi fossero state nella dispon dell’organizzazione, inoltre, altri appartenenti alla stessa avrebbero coo nell’occultamento delle stesse; COGNOMECOGNOME invece, rimase libero e operati territorio fino al 2009, per cui è molto strano che – dal 2002 e fino a tal non abbia mai utilizzato tali armi, pur essendo esse, secondo l’accusa, riconduc all’RAGIONE_SOCIALE di appartenenza. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
il fatto di aver messo per anni – stando alla narrazione resa da NOME COGNOME a disposizione del gruppo malavitoso la sede della propria azienda, non offrendo un nascondiglio per le armi, ma consentendo anche che ivi si svolgesse riunioni, nel corso delle quali venivano decise le più opportune stra organizzative del sodalizio;
il fatto di non aver denunciato la presenza delle armi, pur conservandole per un lunghissimo periodo di tempo;
il fatto che, essendosi svolta la condotta ascritta in un luogo di pertinenza dell’indagato, la meno afflittiva misura domiciliare si rivelerebbe inadeguata ad assicurare la recisione dei contatti con quello stesso tessuto criminale, nell’ambito del quale sono maturati gli accadimenti contestati.
Con riferimento alla messa a disposizione della sede dell’azienda, però, militano a carico del COGNOME esclusivamente le dichiarazioni – prive di riscontri rese da NOME COGNOME. Le propalazioni del collaboratore NOME COGNOME, sul punto, non hanno un carattere individualizzante, in quanto fanno riferimento solo a “tre NOME” e ad una non meglio identificata “abitazione paterna”. In ordine a secondo elemento sopra COGNOME, il COGNOME ha chiarito di non aver mai rivelato la presenza dei bidoni, che il cugino NOME COGNOME gli aveva imposto di sotterrare nell’azienda, per timore di eventuali conseguenze a suo carico, piuttosto che per un senso di fedeltà verso il gruppo criminale. Fallace è anche il terzo presupposto, in base al quale si è ritenuta l’inidoneità degli arresti domiciliari: l’azienda bufal dell’indagato è ubicata in Castelvolturno, mentre l’abitazione dello stesso è sita in Casa! di Principe.
2.5. Con il primo motivo del secondo ricorso, viene denunciato vizio rilevante ex art. 606, comma 1, lett. b), lett. c) e lett. e) cod. proc. pen., erronea applicazione degli artt. 199 e 351 cod. proc. pen., sostenendosi la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai germani NOME, sia al momento del ritrovamento e sequestro delle armi, sia successivamente, dinanzi al Pubblico ministero. Il provvedimento impugnato non considera il rapporto di parentela esistente, fra le persone escusse e l’indagato ristretto in carcere; il presupposto sul quale si fondano sia l’ordinanza genetica, sia quella confermativa, emessa dal Tribunale del riesame, è quindi da considerarsi inutilizzabile, con conseguente insussistenza dell’intera ricostruzione accusatoria gravante su NOME COGNOME.
2.6. Con il secondo motivo del secondo ricorso, viene denunciato vizio rilevante ex art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., in relazione ag artt. 273 e seguenti cod. proc. pen., per l’esistenza di una motivazione contraddittoria e mancante, in ordine alle dichiarazioni rese da NOME COGNOME, soprattutto in relazione a quelle rese da NOME e NOME COGNOME e a quelle dei collaboratori di giustizia. I NOME COGNOME non affermano mai che l’attuale ricorren fosse a conoscenza di cosa contenessero i bidoni; egli sapeva solo, genericamente, che NOME COGNOME avesse necessità di occultare tali contenitori, dei quali ignorava l’effettivo contenuto. Errato è poi basarsi sulle dichiarazioni, inutilizzabili pe ragioni sopra esposte, rese da NOME COGNOME nell’immediatezza del ritrovamento delle armi (dichiarazioni, peraltro, inevitabilmente condizionate dalla concitazione
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del momento e dalla conoscenza, sicuramente frazionata, dei fatti). Ris illogico, peraltro, ritenere che un soggetto non organico all’RAGIONE_SOCIALE, p detenere le armi di quest’ultima, dunque essere depositario di un segreto vitale. Lo stesso NOME COGNOME, del resto, è stato ritenuto dal Col inattendibile, nella parte inerente alle accuse rivolte nei confronti di NOME COGNOME. NOME COGNOME, inoltre, non ha mai serbato un atteggiamento omertoso o silente, tanto che le dichiarazioni rese dai collaboratori di giusti successive a quelle dell’indagato e dei NOME. Il ricorrente, sin dall’inte del 13/06/2023, ha invece ricostruito i fatti in modo puntiglioso; ha temporaneamente omesso di riferire circa il coinvolgimento del cugino NOME COGNOME. Questi sarà però indicato, quale autore materiale dell’interramento, stesso NOME COGNOME, durante l’interrogatorio di garanzia tenutosi il 09/06/
2.7. Con il terzo motivo del secondo ricorso, viene denunciato viz rilevante ex art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., in rela artt. 2 e 7 legge n. 895 del 1967, 10 e 14 legge n. 497 del 1974 e 648 cod. pen., per mancanza di motivazione e contraddittorietà della stessa, relativamente condotta idonea a integrare la fattispecie di detenzione illegale di armi, circa la asserita sussistenza della prova, in ordine ai profili della consapev della disponibilità. L’assunto accusatorio si fonda sul non avere, il NOME denunciato la presenza delle armi, che sono restate alloggiate in un fondo d pertinenza, per un lunghissimo arco di tempo. Il ricorrente, però, non è mai affiliato al clan ed ha – fin dal primo momento – fornito ogni indicazione uti la ricostruzione dei fatti; egli non ha mai avuto una effettiva disponibili armi, né era a conoscenza del contenuto dei bidoni, avendo spiegato che que vennero sotterrati a seguito di richiesta del cugino NOME COGNOME. La dife subito manifestato perplessità, relativamente al fatto che NOME COGNOME all’indomani dell’inizio della collaborazione con la giustizia, da parte del NOME abbia deciso di spostare le armi. Il provvedimento impugnato cade contraddizione, sul punto, laddove imputa tale circostanza al fatto che la mod stessa di occultamento rendesse particolarmente difficoltoso lo spostamento d armi; tali modalità, però, ne avrebbe reso anche difficile il prelevamento, ad di appartenenti al clan. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.8. Con il quarto motivo del secondo ricorso, viene denunciato viz rilevante ex art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., in all’art. 416-bis.1 cod. pen. L’indagato – con la sua condotta – non intese ag il clan, ma restò solo vittima della intimazione rivoltagli dal cugino COGNOME. Tale considerazione si riflette sulla ritenuta sussistenza della circ aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen., nella declinazione della agevolaz Quando nell’anno 2000 NOME COGNOME gli chiese di utilizzare il fondo
interrarvi alcuni bidoni, NOME COGNOME era ben conscio della notevole cara criminale del cugino, ma – nonostante il suo assenso – non divenne intra all’organizzazione; lo stesso NOME COGNOME, che pure partecipò alle operazion interramento, non recuperò né pretese mai la restituzione delle armi, pur esse rimasto in libertà fino all’anno 2009. Questo avrebbe dovuto indurre il Tribu del riesame a ritenere che le armi fossero di esclusiva pertinenza del COGNOME
2.9. Con il quinto motivo del secondo ricorso, viene denunciato viz rilevante ex art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., in all’art. 275 cod. proc. pen. e all’art. 416-bis.1 cod. pen., sostenendosi la m di esigenze cautelari e la omessa valutazione degli elementi favorevoli all’inda Il Tribunale del riesame si trincera, in maniera apodittica, dietro la presunz pericolosità dettata dal contesto mafioso, per ritenere sussistenti le e cautelari custodiali. Non viene considerato, però, che i fatti – pur in presen contestazione di un reato permanente – sono in concreto molto risalenti tempo; il NOME, inoltre, è privo di pendenze o precedenti penali. Anche a v ritenere che egli, tramite la sua condotta, abbia agevolato il clan, la pres di pericolosità deve ritenersi eliminata, risultando palese l’avvenuta resciss ogni legame dell’indagato con l’organizzazione criminosa (in particolare, co fazione capeggiata da NOME COGNOMECOGNOME COGNOME COGNOME“); il NOME, anzi fin dall’inizio offerto la massima disponibilità alla ricostruzione dei dichiarazioni del COGNOMECOGNOME secondo il quale il COGNOME poneva a disposizione del l’azienda di famiglia per le riunioni, sono restate prive di riscontri; quelle COGNOME sono riferite all’intera famiglia COGNOME e sono legate ad uno spec episodio, accaduto nel 1990 (il cd. blitz di Santa Lucia). Infine, il COGNOME anche chiesto la concessione di misura meno afflittiva, ossia degli ar domiciliari presso un convento di suore ubicato sulla costa della Campania, dimostrando la volontà di segnare una distanza geografica e culturale, risp all’ambiente rurale malavitoso nel quale alligna il sudCOGNOME clan. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso. La doglia natura processuale, concernente la violazione della disposizione di cui all’art comma 2, cod. proc. pen., per omesso avviso della facoltà di astensione rendere testimonianza, nei confronti di un prossimo congiunto, è insussisten NOME COGNOME, tra cui l’odierno ricorrente, vennero infatti interrogati in indagati nel procedimento relativo al ritrovamento delle armi, all’interno del ove insisteva l’azienda di famiglia. Per quanto attiene alla sussistenza de indizi, le censure sono infondate, sia sotto il profilo dell’elemento oggettivo quello soggettivo del reato. Parimenti infondate sono le censure inerenti sussistenza di gravi indizi, con riferimento all’aggravante dell’agevola
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mafiosa. Da disattendere, infine, è anche la doglianza attinente alle esi cautelari e alla scelta della misura custodiale, dal momento che la contesta dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa giustifica la presunzione relati necessità ed adeguatezza della misura carceraria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Posta la base descrittiva e argomentativa del provvedimento impugnato, come richiamata in narrativa, la disamina delle censure articolate deve e compiuta seguendo il solco tracciato da diversi principi di diritto, così rapid riassumibili:
a) in tema di misure cautelari personali, il giudizio di legittimità relativo all della sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza (ex art. 273 cod. pen.), oltre che delle esigenze cautelari (ex art. 274 cod. proc. pen. riscontrare – entro il perimetro circoscritto dalla devoluzione – la viola specifiche norme di legge o la mancanza o manifesta illogicità della motivazi risultante dal testo del provvedimento impugnato. Essa, dunque, non p intervenire nella ricostruzione dei fatti, né sostituire l’apprezzamento del di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori, dirigersi a controllare se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle che l’hanno convinto della sussistenza o meno della gravità del quadro indizia carico dell’indagato e a verificare la congruenza della motivazione riguardan scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai pr diritto che devono governare l’apprezzamento delle risultanze analizzat vedano, sull’argomento, Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828 – Ol le successive, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01; 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460 – 01).
Quanto ai limiti del sindacato consentito in sede di legittimità, qui possibile richiamare il dictum di Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628, secondo cui: «In tema di misure cautelari personali, il ricors cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o ass delle esigenze cautelari, è ammissibile solo se denuncia la violazione di spec norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudi merito».
b) Occorre rifarsi, inoltre, alla regola di giudizio secondo la quale: «In tema di procedimento COGNOME di riesame di COGNOME misure cautelari personali, COGNOME sussiste COGNOME l’obbligo del tribunale di esaminare compiutamente ogni censura difensiva sollevata all’udienza ex art. 309 cod. proc. pen., con la conseguenza che è da ritenersi affetta da vizio di motivazione l’ordinanza che, a fronte di un’eccezione ritualmente proposta, non contenga una compiuta disamina della stessa» (Sez. 4, n. 21374 del 11/06/2020, COGNOME, Rv. 279297 – 01).
Pare utile, allora, precisare quale sia la relazione intercorrente, fra l deduzioni difensive svolte in sede di riesame e la motivazione che il Tribunale è tenuto a fornire in ordine ai temi posti dalla difesa stessa, ribadendosi come l’obbligo di motivazione possa reputarsi adempiuto anche nel caso in cui il provvedimento emesso dal Tribunale del riesame effettui un rinvio per relationem alle argomentazioni contenute nel provvedimento genetico, rinvio che sia incastonato in una più ampia valutazione, atta a contrastare – anche per implicito – le deduzioni difensive. Il tutto postula, però, che le questioni poste dalla difes non siano idonee a disarticolare il ragionamento probatorio proposto nell’ordinanza applicativa della misura cautelare, non potendo, in tal caso, la motivazione per relationem fornire una risposta implicita alle censure formulate.
c) All’esito del riesame dell’ordinanza applicativa di una misura cautelare, è legittima la motivazione che richiami (o riproduca) le argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato, ove siano mancate specifiche deduzioni difensive, formulate con l’istanza originaria o con successiva memoria, ovvero articolate oralmente in udienza, tali da rendere funzionalmente inadeguata la relatio su cui il richiamo si è basato (Sez. 1, n. 8676 del 15/01/2018, Falduto, Rv. 272628 – 01; Sez. 6, n. 566 del 29/10/2015, dep. 2016, Nappello, Rv. 265765 – 01). In questa prospettiva, si può ritenere senz’altro legittima la riproposizione anche di parti del provvedimento applicativo nell’ordinanza resa all’esito del riesame; a patto, però, che tale tecnica espositiva sia affiancata dalla dovuta analisi dei contenuti e dall’esplicitazione delle ragioni alla base del convincimento espresso in sede decisoria (Sez. 2, n. 13604 del 28/10/2020, dep. 2021, Torcasio, Rv. 281127 01).
Vero, in sostanza, che è pienamente consentita la motivazione per relationem, rispetto all’ordinanza impugnata, ma a patto che l’ordinanza del Tribunale del riesame contenga una motivazione che dimostri un vaglio critico e che non si risolva quindi nel mero richiamo alle argomentazioni svolte nel provvedimento restrittivo della libertà personale, omettendo la valutazione delle doglianze contenute nella richiesta di riesame (Sez. 6, n. 9752 del 29/01/2014, Ferrante, Rv. 259111). E nemmeno è consentito – sempre in tema di misure cautelari personali – assolvere all’obbligo
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di COGNOME offrire COGNOME un COGNOME adeguato COGNOME e COGNOME congruo COGNOME apparato COGNOME motivazionale COGNOME (sia dell’ordinanza applicativa di misure coercitive, sia di quella di conferma in sede di riesame), attraverso la mera riedizione del compendio raccolto in sede di indagini preliminari, facendo affidamento sul requisito dell’autoevidenza dello stesso (Sez. 6, n. 27928 del 14/06/2013, Ferrara, Rv. 256262 – 01)
Tanto chiarito – al solo fine di inquadrare, sotto il profilo tecnico, questione devoluta – giova esporre le seguenti considerazioni.
3.1. Presentano una matrice tra loro comune e ben si prestano, pertanto, ad una agevole trattazione unitaria il primo motivo del primo ricorso (sopra enumerato sub 2.1.) e il primo motivo del secondo ricorso (sopra enumerato sub 2.5.); le doglianze attengono sempre, in tali casi, al tema della utilizzabilità del dichiarazioni accusatorie rese dai due NOME NOME (NOME NOME NOMENOME nell’immediatezza del ritrovamento delle armi, nonché dei successivi interrogatori resi dagli stessi, con le garanzie difensive, ma senza gli avvisi ex art. 199 cod. proc. pen.
3.2. Quanto alla prima parte della censura, l’ordinanza impugnata si confronta compiutamente con la proposta eccezione di inutilizzabilità (cfr. pagina numero 6 del provvedimento impugnato), sottolineando come tali dichiarazioni, sebbene non utilizzabili contra se, lo siano certamente contra alios; trattasi, comunque, di dichiarazioni che sono state reiterate, durante l’interrogatorio reso con l’assistenza del difensore. Il principio di diritto vigente nella materia, dunque è stato correttamente richiamato dal Tribunale del riesame; trattasi di insegnamento della giurisprudenza di legittimità che, ormai, può essere reputato sostanzialmente pacifico e risalente (fra tante, si veda Sez. 4, n. 2124 del 27/10/2020, dep. 2021, Minauro, Rv. 280242, a mente della quale: «Sono utilizzabili nella fase procedimentale, e dunque nell’incidente cautelare e negli eventuali riti a prova contratta, le dichiarazioni spontanee che l’indagato abbia reso – in assenza di difensore ed in difetto degli avvisi di cui ag artt. 63, comma 1 e 64 cod. proc. pen. – alla polizia giudiziaria ai sensi dell’ar 350, comma 7, cod. proc. pen., anche se non nell’immediatezza dei fatti, purché emerga con chiarezza che egli abbia scelto di renderle liberamente, ossia senza alcuna coercizione o sollecitazione»; sulla medesima direttrice interpretativa si sono poste sia Sez. 2, n. 22962 del 31/05/2022 COGNOME, Rv. 283409, sia Sez. 2, n. 5823 del 26/11/2020, dep. 2021, Santoro, Rv. 280640, che ha così statuito: «Le dichiarazioni rese innanzi alla polizia giudiziaria da una persona non sottoposta ad indagini, ed aventi carattere autoindiziante, non sono utilizzabili contro chi le ha rese ma sono pienamente utilizzabili contro i terzi, in relazione ai quali non opera la sanzione processuale di cui all’art. 63, comma 1, cod. proc.
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pen.»; in tal senso, infine, anche Sez. 2, n. 28583 del 18/06/2021, Costantino, Rv. 281807).
3.3. Con riferimento alla ulteriore parte della eccezione, come COGNOME incentrata sulla pretesa violazione dell’art. 199 cod. proc. pen., per non esser stati dati i relativi avvisi nel corso dell’interrogatorio, la tesi difensiva n minimamente condivisibile. Dal momento che la ratio della facoltà attribuita al prossimo congiunto dall’art. 199 cod. proc. pen., risolventesi nella possibilità di astenersi dal deporre, si sostanzia nella finalità di prevenire situazioni nelle qua l’eventuale falsa testimonianza risulterebbe scriminata ex art. 384 cod. proc. pen., tale facoltà di astensione non può riguardare i soggetti che – sebbene prossimi congiunti del soggetto attinto dalle dichiarazioni eteroaccusatorie – risultino a lor volta coimputati, o coindagati, nel medesimo procedimento. In conclusione, il motivo è da disattendere.
Possono essere trattati congiuntamente il secondo motivo del primo ricorso (sopra enumerato sub 2.2.), nonché il secondo e il terzo motivo del secondo ricorso (sopra enumerati, rispettivamente, sub 2.6. e 2.7); trattasi di doglianze che attengono al tema della consapevolezza, da parte di NOME COGNOME, del contenuto dei bidoni interrati.
4.1. La censura afferisce direttamente alla motivazione dell’ordinanza impugnata, criticando – anche in maniera espressa e diretta – i criteri utilizzati le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito, nella valutazione degli elementi posti a fondamento della ritenuta gravità indiziaria. Giova allora precisare come nell’apprezzamento delle fonti di prova – il compito del giudice di legittimità non consista nel sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito; la Corte di cassazione ha il diverso compito, infatti, di stabilire se ques ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica, nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni, a preferenza di altre (così Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, Clarke, Rv 203428; si vedano anche Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv 235507; Sez. 6, n. 47204, del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217). Dall’affermazione di questo principio, ormai costante nel panorama giurisprudenziale, discende un necessario corollario: esula dai poteri della Corte di cassazione, nell’ambito del controllo dell motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione, in ordine agli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo
riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica dell’iter argomentativ da tale giudice, accertando se quest’ultimo abbia, o meno, dato c adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione .
4.3. L’apparato motivazionale adottato dal Tribunale del riesame è coeren e lineare, dotato di ferrea logica e privo di spunti di contraddittorietà; ess pertanto, di rimanere esente da qualsivoglia stigma, in sede di legittimit resto, le censure difensive non dialogano con il contenuto sostanziale dell’at aggrediscono, arrestandosi allo stadio della critica meramente reiterativa di già analiticamente esaminati, nel provvedimento impugnato, oltre c interamente versata in punto di fatto. I motivi di ricorso, quindi, sono da r infondati.
Sono tra loro sovrapponibili il terzo motivo del primo ricorso (s enumerato sub 2.3.) e il quarto motivo del secondo ricorso (sopra enumerato s 2.8.); essi ineriscono alla sussistenza dell’aggravante ex art. 416-bis.1 c
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La difesa, dunque, deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine alla ritenuta sussistenza di tale circostanza, con riferimento tanto all’assenza della volontà di apportare vantaggi al sodalizio, quanto alla carenza di comportamenti connotati da modalità mafiose, riconducibili all’indagato. La doglianza è infondata.
5.1. Circa tale aspetto – di certo deducibile in sede di legittimità, data l qualità degli effetti correlati, anche nel subprocedimento cautelare, al riconoscimento di tale aggravante a effetto speciale – vanno operate talune premesse. Il particolare incremento sanzionatorio, previsto in relazione a tale forma di manifestazione del reato, pone l’interprete nella necessità di individuare non tanto il fondamento politico-criminale della scelta legislativa (compito che può definirsi solo di ausilio nell’opera applicativa), quanto la concreta dimensione fenomenica delle condotte descritte nella norma, allo scopo di evitare la maggior punizione di condotte in realtà estranee al modello tipizzato, oppure già altrove incriminate. Sul punto, è ormai pacifica la considerazione della esistenza nell’ambito della disposizione normativa in parola – di una duplice «direzione» dei contenuti precettivi, nel senso che:
– da un lato si valorizza – in negativo – una particolare modalità commissiva del delitto, rappresentata dall’essersi gli agenti avvalsi delle condizioni di cui all’art. 416 bis cod. pen. Tali condizioni sono, per dettato normativo, rappresentate dalla forza di intimidazione del vincolo associativo e dalla condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva tra i consociati. Si è ritenuto, sul punto che tale ‘corno’ dell’aggravante incrimini essenzialmente le condotte degli associati, espressive in concreto di una maggior valenza intimidatoria, o anche dei soggetti non associati (o comunque del cui inserimento nel gruppo non vi sia prova, si veda Sez. 1 n. 33245 del 9.5.2013, COGNOME, rv 256990 nonché Sez. 2 n. 38094 del 5.6.2013, COGNOME, rv 257065) laddove venga espressamente evocata – o comunque, sfruttata in modo evidente, quale fattore di semplificazione della condotta illecita (per la correlata riduzione dei poteri di reazione della vittim – la capacità intimidatoria di un gruppo criminoso. In particolare, si condivisibilmente affermato che, per ritenere integrata la fattispecie in parola (l’avvalersi delle condizioni) non è sufficiente il mero collegamento con contesti di criminalità organizzata, o la mera ‘caratura mafiosa’ degli autori del fatto, occorrendo invece l’effettivo utilizzo del metodo mafioso e, dunque, l’impiego della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo (in tal senso, tra le altre Sez. 2 n. 28861 del 14.6.2013, Orobello, rv 256740 e Sez. 6 n. 27666 del 4.7.2011,COGNOME, rv 250357; ritiene tuttavia possibile l’utilizzo implicito de forza di intimidazione Sez. 2 n. 37516 del 11.06.2013, COGNOME, rv 256659);
– dall’altro lato, la previsione di legge incrementa la connotazione di gravità dell condotta, laddove la stessa sia stata commessa al fine di agevolare l’attività delle
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associazioni previste nel medesimo art. 416-bis cod. pen. Si richiedono, pertanto, sia una particolare consistenza e direzione dell’elemento volitivo (cosciente e univoca finalizzazione agevolatrice de/sodalizio, come ritenuto da Sez. 6, n. 31437 del 12/07/2012, Messina, rv. 253218), sia una concreta strumentalità del reato commesso, rispetto alle finalità perseguite dal gruppo criminoso di riferimento (che deve, in tal caso, risultare specificamente individuato, secondo quanto precisato da Sez. 2, n. 41003 del 20/09/2013, COGNOME, rv 257240). L’aggravante della c.d. modalità mafiosa prescinde dalla consapevolezza, o meno, di agevolare un’RAGIONE_SOCIALE o un clan; anzi, essa neanche presuppone che l’RAGIONE_SOCIALE in effetti esista (Sez. 2, n. 36431 del 02/07/2019, COGNOME, Rv. 277033; Sez. 2, n. 27548 del 17/05/2019, COGNOME, Rv. 276109).
In questo caso, l’aggravante ha natura oggettiva e sussiste per il solo fatto che l’agente abbia fatto ricorso a modalità riferibili alla criminalità organizzat Modalità che, anche per il contesto sociale e geografico nel quale si collochino i fatti, possa essere significativa di un modo di agire e operare che è tipico delle associazioni mafiose e, per la riferibilità ad affiliati, abbia una forza intimidato eccezionale, ossia proprio ciò che l’aggravante ha lo scopo di sanzionare.
5.2. Il Tribunale del riesame motiva in ordine alla sussistenza della contestata aggravante, richiamando le dichiarazioni rese tanto dai collaboratori di giustizia, quanto dai NOME COGNOME. Tali fonti – con voci tra loro perfettamen collimanti – riconducono la disponibilità delle armi all’organizzazione RAGIONE_SOCIALE denominata RAGIONE_SOCIALE.
Inoltre, il Tribunale del riesame tratteggia in modo complessivamente molto accurato l’intero contesto storico e ambientale, nel quale si vanno a inserire le condotte sussunte in contestazione; trattasi di una situazione oggettiva di inequivocabile natura RAGIONE_SOCIALE. Dalla lettura del provvedimento impugnato nel suo complesso, quindi, si trae la pacifica conclusione della sussistenza di una finalità agevolatrice, nei confronti del sodalizio malavitoso sudCOGNOME.
5.3. A difformi lumi conduce l’analisi della ulteriore declinazione che può assumere la contestata aggravante, inerente al profilo dell’utilizzo di un metodo mafioso. Attenendosi all’inquadramento teorico sopra riassunto, non pare potersi evincere – dalla lettura dell’avversata ordinanza – la sussistenza di un metodo operativo qualificabile in termini di mafiosità. Limitatamente a tale punto, quindi, si appalesano fondate le critiche difensive.
5.4. Giova richiamare, però, la nozione di interesse ad ottenere una determinata pronuncia favorevole, che va inteso quale specifica finalità perseguita dal soggetto legittimato – di rimozione di un determinato svantaggio processuale e, consequenzialmente, di elisione del pregiudizio connesso a una determinata decisione giudiziale. Combaciante con tale nozione è quella che si
fonda sulla sussistenza dell’elemento positivo della utilità, concretamente derivante alla parte, in virtù dell’esercizio del diritto di proporre impugnazione. G elementi che qualificano – sotto il profilo ontologico e funzionale – l’interesse a impugnare, vanno quindi riguardati tanto in negativo (da intendere come aspettativa di rimuovere un pregiudizio), quanto in positivo (da leggersi come fine di conseguire una utilità concretamente apprezzabile); in tema di interesse a impugnare, infine, potrà vedersi il dictum di Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 17/02/2012, COGNOME, Rv. 251693, a mente della quale: «Nel sistema processuale penale, la nozione di interesse ad impugnare non può essere basata sul concetto di soccombenza – a differenza delle impugnazioni civili che presuppongono un processo di tipo contenzioso, quindi una lite intesa come conflitto di interessi contrapposti – ma va piuttosto individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un’utilità, ossia di un decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo». La conclusione, quanto al caso di specie, è nel senso che sicuramente fondate sono le doglianze difensive concernenti la ritenuta sussistenza dell’aggravante mafiosa, limitatamente alla declinazione dell’utilizzo del metodo mafioso; che una riforma del provvedimento impugnato sul solo punto specifico, però, sarebbe improduttiva di effetti – e quindi, priva di concreti effetti positivi, per il ricorrente – in ragione della sussist dell’ulteriore modalità attuativa della medesima forma di manifestazione del reato, consistente nella finalità agevolativa.
Possono essere trattati unitariamente il quarto motivo del primo ricorso (sopra enumerato sub 2.4.) e il quinto motivo del secondo ricorso (sopra enumerato sub 2.9.), attenendo entrambi al profilo delle esigenze cautelari.
6.1. Giova allora premettere un sintetico richiamo al consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui – in tema di misure cautelari personali – il ricorso per cassazione che deduca insussistenza delle esigenze cautelari è ammissibile esclusivamente laddove denunci la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento; non sono proponibili, al contrario, censure che attengano alla ricostruzione dei fatti, o che si risolvano in una differente valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628; Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998, COGNOME, Rv. 210019; Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, COGNOME, Rv. 265244; Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, COGNOME, Rv. 199391). In ordine ai profili di attualità e concretezza delle esigenze cautelari, inoltre, de
rilevarsi che, ai fini della valutazione del pericolo che l’imputato commetta ulterior reati della stessa specie, il requisito della “concretezza”, cui si richiama l’art. 27 comma primo, lett. c), cod. proc. pen., riguarda l’indicazione di elementi non meramente congetturali sulla base dei quali possa affermarsi che l’imputato, verificandosi l’occasione, possa facilmente commettere reati che offendono lo stesso bene giuridico di quello per cui si procede (Sez. 3, n. 49318 del 27/10/2015, COGNOME, Rv. 265623).
Con riferimento al requisito dell’attualità, pare sufficiente rifar all’orientamento espresso da Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, Gizzi, Rv. 282891, a mente della quale: «In tema di misure cautelari personali, il requisito dell’attualità del pericolo previsto dall’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pe non è equiparabile all’imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata del fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza» (cfr. Sez. 5, n. 1154 del 11/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282769; Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, COGNOME, Rv. 282991; Sez. 2, n. 6593 del 25/01/2022, COGNOME, Rv. 282767).
6.2. Tanto chiarito, al fine di delineare il quadro dogmatico entro cui si colloca la tematica dedotta, può precisarsi come la decisione impugnata non meriti – nella sede di legittimità – alcuna rivisitazione. La motivazione adottata da Tribunale del riesame, infatti, si presenta articolata e convincente, risultando congruamente analizzati gli aspetti inerenti al pericolo concreto di reiterazione di condotte delinquenziali di analoga natura, nonché i relativi profili dell’attualità della concretezza. Il provvedimento impugnato, dunque, valorizza la gravità della allarmante condotta serbata, ritenendo che NOME COGNOME abbia mostrato una personalità negativa, nascondendo le armi per lungo tempo e offrendo ospitalità per le riunioni del clan, alle quali non prendeva parte proprio in quanto non affiliato. Prosegue il Tribunale del riesame, inoltre, sottolineando come il ricorrente abbia mantenuto in deposito le armi per un lunghissimo arco temporale e fino al sequestro delle stesse, senza mai mostrare alcuna forma di resipiscenza.
6.3. A fronte della argomentazione difensiva che, intendendo trarne la conclusione della inconsapevolezza del contenuto dei bidoni, mira a esaltare positivamente come il NOME non abbia ritenuto opportuno condurre altrove le armi interrate – e ciò, pure all’indomani dell’inizio della collaborazione con la giustiz da parte di NOME COGNOME – il Tribunale del riesame perviene a conclusioni di
segno diametralmente opposto. Evidenzia l’ordinanza impugnata, infatti, come non si presentasse certamente agevole procedere allo spostamento delle armi, viste le particolari modalità secondo le quali esse erano conservate e sotterrate; la conduzione in altro luogo, quindi, ne avrebbe reso maggiormente difficoltoso il recupero, da parte degli esponenti del clan.
Del resto, prosegue il Tribunale del riesame, NOME ben avrebbe potuto non conoscere, nel dettaglio, il tenore delle dichiarazioni rese da COGNOME.
6.4. Infine, il Tribunale del riesame si sofferma anche sulla invocata possibilità di porre COGNOME in regime di arresti domiciliari, ma in un diverso contesto geografico; coerentemente, ricorda l’ordinanza impugnata come le condotte incriminate siano state perpetrate in un ambito “domestico” (sarebbe a dire, che teatro dei fatti è stato un fondo di pertinenza dell’azienda di famiglia), cos dimostrandosi la insufficienza di un qualsiasi presidio detentivo di tipo domiciliare (in quanto esso non reciderebbe i contatti con l’organizzazione malavitosa, dato che si finirebbe per riprodurre, in pratica, la medesima situazione preesistente).
6.5. Il provvedimento impugnato, ribadendo il giudizio di sussistenza delle già ravvisate esigenze cautelari, ha poi fatto esplicito riferimento – oltre che all gravità dei fatti, in ordine ai quali il ricorrente risulta gravemente indiziato – an al complessivo contesto criminale, all’interno del quale egli risulta inserito evidenziando altresì la spregiudicatezza e la trasgressività che ne hanno connotato la condotta, sostanziatasi nel porsi – per un considerevole periodo di tempo – a disposizione dell’RAGIONE_SOCIALE. Si è sostanzialmente in presenza, anche sul punto, di un apparato argomentativo che si presenta privo di vizi logici e che, quindi, è in grado di resistere a qualsiasi censura prospettabile in questa sede.
7. Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone il rigetto del ricorso; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Non comportando – la presente decisione – la rimessione in libertà del ricorrente, segue altresì la disposizione di trasmissione, a cura della cancelleria, di copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 9 comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 30 novembre 2023.