Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 13309 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 13309 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 23/05/2023 della CORTE APPELLO di SALERNO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO. Proc. Gen. NOME COGNOME per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATI -0
La Corte di Appello di Salerno, con sentenza del 23/5/2023, ha confermato la sentenza di condanna a otto mesi di reclusione e 2.000,00 euro di multa pronunciata dal Tribunale di Vallo della Lucania in data 2/3/202 nei confronti NOME COGNOME in relazione al delitto di cui agli artt. 2 e 7 L. 895/1967 per avere illegalmente detenuto un pistola marca Beretta, completa di caricatore, legittimamente denunciata e detenuta dal padre presso altra abitazione.
1 GLYPH
(
Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato che, a mezzo del difensore, ha dedotto i seguenti motivi.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla dichiarazione di responsabilità e alla qualificazione giuridica attribuita ai fatti. Nella prima parte del p motivo la difesa censura la motivazione della sentenza evidenziando che i secondi giudici, anche incorrendo in un errore in ordine al tempo in cui sarebbe avvenuta l’ultima visita del padre presso l’abitazione dell’imputato, avrebbero reso una motivazione carente e illogica quanto alla ritenuta consapevolezza del ricorrente che il genitore avesse lasciato nella sua abitazione la pistola poi rinvenuta dagli operanti. Nella seconda parte del medesimo motivo la difesa rileva che i fatti, considerato che l’arma era oggetto di regolare denuncia, avrebbero dovuto essere qualificati ai sensi dell’art. 697 cod. pen. e, conseguentemente, avrebbe dovuto essere accolta la richiesta presentata dall’imputato di essere ammesso all’oblazione ex art. 162 bis cod. pen.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 14 L. 497/1974 e alla determinazione della pena.
In data 10 novembre 2023 sono pervenute in cancelleria le conclusioni con le quali il AVV_NOTAIO. Proc. Gen. NOME COGNOMENOME COGNOME chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato.
Nella prima parte del primo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla dichiarazione di responsabilità con riferimento all circostanze indicate nella sentenza impugnata in ordine al tempo in cui sarebbe avvenuta l’ultima visita del padre presso l’abitazione dell’imputato e quanto alla ritenu consapevolezza del ricorrente circa la presenza della pistola del genitore nella sua abitazione.
La doglianza, che afferisce esclusivamente la logicità e completezza della motivazione, è manifestamente infondata.
La Corte territoriale, con motivazione che si salda e integra con quella del primo giudice, ha fornito sul punto adeguata e coerente risposta alla medesima censura sollevata nell’atto di appello.
Alla Corte di cassazione, d’altro canto, è precluso, e quindi i motivi in tal senso formulati non sono consentiti, sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito.
Come più volte evidenziato, infatti, il controllo che la Corte è chiamata ad operare, e le parti a richiedere ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., è esclusivamente quel di verificare e stabilire se i giudici di merito abbiano o meno esaminato tutti gli elementi loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (così Sez. un., n. 930 del 13/12/1995, Rv 203428; per una compiuta e completa enucleazione della deducibilità del vizio di motivazione, da ultimo Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv 280601; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, COGNOME, Rv. 276062: Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217; Sez. 6, n. 47204, del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482); Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, COGNOME, Rv. 284556 – 01).
Nel caso di specie, con il riferimento alle dichiarazioni rese dall’imputato sia in sede di perquisizione che, soprattutto, durante l’udienza di convalida e anche nel corso dell’esame, il giudice di appello ha dato adeguato conto della ragione sulla quale ha fondato la conclusione in ordine alla consapevolezza dell’imputato circa la presenza nella propria abitazione della pistola e del copioso munizionamento rinvenuti nel comodino della sua camera da letto.
Nello specifico nella sentenza impugnata -nella quale pure si dà atto della parziale imprecisione contenuta nella sentenza di primo grado circa il fatto che la visita del padre dell’imputato era avvenuta poco tempo e non sei mesi prima della perquisizione- è coerentemente attribuito rilievo decisivo al fatto che lo stesso imputato, in ben tr occasioni, ha affermato che il padre aveva lasciato l’arma a casa sua.
Elemento questo coerentemente ritenuto determinante in termini di prova della consapevolezza e della stabilità dell’illecita detenzione e che, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, non può essere efficacemente smentito dalla generica dichiarazione resa dalla compagna dell’imputato secondo la quale lei e il ricorrente sarebbero rimasti sopresi allorché la polizia giudiziaria ha rinvenuto l’arma.
2.1 Per le ragioni esposte, in conclusione, le critiche ora sollevate, in parte anche tese a sollecitare un’alternativa e non consentita lettura delle prove acquisite, sono inconferenti e risultano comunque manifestamente infondate.
Nella seconda parte del medesimo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla qualificazione giuridica attribuita ai fatti ril che questi, considerato che l’arma era oggetto di regolare denuncia da parte del padre nel frattempo deceduto, avrebbero dovuto essere qualificati ai sensi dell’art. 697 cod. pen. e, conseguentemente, avrebbe dovuto essere accolta la richiesta presentata dall’imputato di essere ammesso all’oblazione ex art. 162 bis cod. pen.
La doglianza è infondata.
A fronte della ritenuta consapevolezza in ordine alla detenzione dell’arma i giudici di merito, infatti, si sono conformati sul punto alla pacifica giurisprudenza di questa Cort per la quale “ai fini della sussistenza del delitto di detenzione abusiva di arma comune da sparo, sono irrilevanti il titolo dell’acquisto e le modalità attraverso cui si pervien possesso dell’arma, poiché è in ogni caso necessario che il detentore, una volta acquisita la disponibilità di questa, ne faccia denuncia alla competente autorità” (Sez. 1, n. 20896 del 28/04/2015, Ardolino, Rv. 263607 – 01 con riferimento a un caso sovrapponibile a quello di specie).
3.1. La corretta qualificazione giuridica attribuita al fatto, come evidenziato nell sentenza impugnata, esclude la possibilità di prendere in considerazione la richiesta di oblazione.
Nel secondo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla mancata applicazione dell’art. 14 L. 497/1974 in quanto i giudici di merito avrebbero calcolato la sola riduzione per le attenuanti generiche.
La doglianza è infondata.
La Corte territoriale, sebbene in termini estremamente sintetici, ha risposto alla medesima censura già esposta nei motivi di appello.
L’art. 7 della L. n. 895 del 1967 (come modificato dalla L. n. 497 del 1974, art. 14), infatti, non prevede una circostanza attenuante rispetto ai delitti di cui ai precedenti artic da 1 a 4, ma configura altrettanti autonomi reati, caratterizzati dalla diversità dell’ogget (arma comune da sparo, anziché arma da guerra), e cioè di un elemento essenziale e non circostanziale (Sez. 1, n. 49127 del 21/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 274551 – 01).
All’autonomia della previsione normativa, pertanto, corrisponde l’autonomia della relativa sanzione, la quale, per le armi comuni, è determinata “per relationem” con la diminuzione fissa di un terzo rispetto alle pene previste per le armi da guerra (Sez. 1, n. 49127 del 21/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 274551 – 01; Sez. 1, n. 38626 del 21/10/2010, COGNOME, Rv. 248664 – 01; Sez. 1, n. 9731 del 12/05/1998, COGNOME, Rv. 211324 – 01;).
Sotto tale profilo nel caso di specie, come evidenziato nella sentenza impugnata, il giudice di primo grado, allorché ha quantificato la pena base in un anno non ha fatto riferimento alla pena minima di cui all’art. 2 L. 895/1967 (così come modificato da art. 10 L. 497/1974) ma, correttamente, ha implicitamente determinato la pena base unitaria tenendo già conto della riduzione prevista dall’art. 7 L. 895/1967 (come modificato da art. 14 L 497/1974) per l’autonoma figura di reato. Pena questa alla quale, infine, ha coerentemente applicato la riduzione per le riconosciute circostanze attenuanti generiche.
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 28 novembre 2023.