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Detenzione domiciliare umanitaria: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza che negava la detenzione domiciliare umanitaria a un detenuto con gravi patologie psichiche. La Corte ha stabilito che il semplice trasferimento in un carcere attrezzato non è sufficiente. È necessaria una valutazione concreta e individuale per verificare se la detenzione, anche in una struttura specializzata, sia compatibile con il diritto alla salute e il senso di umanità, come richiesto dalla Costituzione.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenzione Domiciliare Umanitaria: La Cassazione Sottolinea il Primato della Salute

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 28892/2025 riafferma un principio cruciale nel diritto penitenziario: la dignità e la salute del detenuto prevalgono sulle soluzioni meramente logistiche. Il caso riguarda la concessione della detenzione domiciliare umanitaria a un soggetto affetto da grave infermità psichica, un tema delicato che mette a confronto le esigenze di sicurezza pubblica con il rispetto dei diritti fondamentali della persona. Questa decisione chiarisce che il giudice non può limitarsi a una valutazione astratta, ma deve scendere nel concreto della situazione individuale.

I Fatti del Caso

Un uomo, detenuto per reati di grave allarme sociale e con fine pena previsto per il 2026, presentava un’istanza per ottenere il differimento della pena, o in subordine la detenzione domiciliare, a causa di gravi patologie psichiatriche. Una relazione sanitaria del febbraio 2025 aveva attestato l’incompatibilità delle sue condizioni di salute con il regime carcerario ordinario, evidenziando un serio aggravamento del suo stato. Nonostante ciò, il Tribunale di sorveglianza di Catania respingeva la richiesta. La motivazione del rigetto si basava sulla notizia che per il detenuto era stato disposto il trasferimento presso il carcere di Torino, una struttura dotata di un reparto psichiatrico e considerata idonea a fornire cure adeguate. Secondo il Tribunale, questa soluzione logistica superava di per sé il problema dell’incompatibilità. Il difensore del detenuto ha quindi presentato ricorso in Cassazione, lamentando la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando con rinvio l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza. Questo significa che il Tribunale dovrà riesaminare il caso, attenendosi ai principi di diritto stabiliti dalla Cassazione. La decisione dei giudici di legittimità si fonda sull’inadeguatezza del ragionamento del giudice di merito, ritenuto carente e contraddittorio.

Le motivazioni: Detenzione domiciliare umanitaria e la necessità di una valutazione concreta

Il cuore della sentenza risiede nella critica al ragionamento del Tribunale di sorveglianza. La Cassazione ha evidenziato come i giudici di merito si siano fermati a un dato puramente formale e logistico – l’esistenza di un carcere attrezzato – senza compiere il passo successivo e fondamentale: verificare in concreto se tale soluzione fosse realmente compatibile con le specifiche e gravi condizioni di salute del detenuto.

I giudici hanno chiarito che, una volta accertata l’incompatibilità con il regime carcerario ordinario, il Tribunale non poteva dare per scontato che il semplice trasferimento risolvesse la questione. Era invece necessario un accertamento medico specifico, all’interno della nuova struttura, per valutare se le condizioni di detenzione, seppur migliorate, fossero ancora tali da costituire un trattamento contrario al senso di umanità e lesivo del diritto alla salute, tutelati dagli articoli 27 e 32 della Costituzione.

La Corte ha ribadito che la valutazione della compatibilità deve essere effettuata ‘comparativamente e in concreto’, ponderando la situazione soggettiva del detenuto con l’offerta terapeutica del regime intramurario. Non basta l’astratta idoneità di una struttura; occorre verificare l’adeguatezza del trattamento terapeutico che è possibile assicurare a quel soggetto, in quella specifica condizione clinica.

Questo approccio è in linea con la storica sentenza della Corte Costituzionale n. 99 del 2019, che ha esteso l’applicazione della detenzione domiciliare umanitaria anche alle ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta, colmando un vuoto normativo e garantendo che nessuno debba subire una pena che si traduca in una sofferenza inumana.

Le conclusioni: Implicazioni pratiche della sentenza

La pronuncia ha importanti implicazioni pratiche. Essa stabilisce che il diritto alla salute del detenuto non può essere liquidato con soluzioni organizzative che non siano state verificate nella loro efficacia concreta. Per i Tribunali di sorveglianza, ciò significa un onere di motivazione più stringente: non è sufficiente indicare una struttura alternativa, ma è indispensabile accertare, anche attraverso perizie mediche, che questa sia effettivamente in grado di garantire cure adeguate e condizioni di vita compatibili con la dignità umana.

In definitiva, la Cassazione rafforza il principio secondo cui la pena detentiva, pur mantenendo la sua funzione, non può mai degradare in un trattamento contrario al senso di umanità. La valutazione del giudice deve sempre bilanciare le esigenze di sicurezza della collettività con l’irrinunciabile tutela dei diritti fondamentali della persona, primo fra tutti il diritto alla salute.

Il trasferimento di un detenuto in un carcere con un reparto psichiatrico è sufficiente per negare la detenzione domiciliare per grave infermità mentale?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il semplice trasferimento non è una soluzione automatica. È indispensabile una valutazione medica concreta e individualizzata per verificare se le nuove condizioni di detenzione siano effettivamente compatibili con lo stato di salute del detenuto e con il senso di umanità della pena.

Cosa deve valutare il Tribunale di sorveglianza in casi di grave infermità psichica?
Il Tribunale deve compiere una ponderazione comparativa tra la gravità delle condizioni di salute del condannato e l’offerta terapeutica concreta del regime carcerario. Deve verificare se, nonostante le cure disponibili, la detenzione provochi una sofferenza sproporzionata e contraria al senso di umanità, tenendo conto anche della dignità della persona.

Qual è l’importanza della sentenza della Corte Costituzionale n. 99 del 2019 citata nel provvedimento?
Questa sentenza è fondamentale perché ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-ter, comma 1-ter, dell’Ordinamento Penitenziario nella parte in cui non prevedeva la possibilità di concedere la detenzione domiciliare anche in caso di grave infermità psichica. Ha quindi esteso questa misura alternativa per evitare che i detenuti con patologie mentali gravi subissero trattamenti contrari al senso di umanità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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