Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 28889 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 28889 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
Sent. n. sez. 1641/2025
CC – 13/05/2025
– Relatore –
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente sul ricorso proposto da:
avverso l’ordinanza del 21/01/2025 del TRIB. SORVEGLIANZA di Palermo lette le conclusioni del PG, COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
1.Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Palermo ha rigettato l’istanza finalizzata alla concessione della detenzione domiciliare speciale ex art. 47-quinquies Legge 26 luglio 1975, n. 354, presentata da XXXXXXXXXXXX, soggetto in espiazione della pena di anni otto, mesi uno e giorni ventitrØ, inflittale per il reato di omicidio della suocera, commesso nel febbraio 2023.
L’istanza era motivata dalla necessità di ricongiungersi con il figlio sedicenne, portatore di grave handicap, e con l’altro figlio, di anni sei; si sottolineava la positiva fruizione dei permessi di necessità concessi dall’autorità giudiziaria ex art. 21 ter ord. pen; si rilevava inoltre come i figli vivessero con il padre, che aveva abbandonato il lavoro per poterli seguire, e che si era manifestata una concreta possibilità, per l’uomo, di una nuova occupazione, qualora la moglie fosse potuta tornare ad occuparsi dei figli; dalla relazione dell’ASP di Piazza Armerina del 13/10/2024, emergeva che il figlio portatore di handicap aveva bisogno di supporto continuo in tutte le sue attività, «meglio se mediate dalla figura materna a cuiŁ particolarmente legato poichØ si Ł sempre fatta carico di ogni suo bisogno».
Evidenziava il Tribunale come alla ricorrente fosse stato riconosciuto, nel corso del giudizio sfociato nella condanna in esecuzione, il vizio parziale di mente; in particolare, la perizia disposta in cognizione aveva ritenuto la donna affetta da «disturbo delirante o follia discordante», nonchØ socialmente pericolosa, tanto che era stata disposta anche la misura di sicurezza di ricovero in REMS per anni tre, a pena espiata.
Il Tribunale di sorveglianza riteneva, in conclusione, inidonea la misura invocata, in ragione della gravità del delitto posto in essere e della condizione psicopatologica della detenuta, come accertata in fase di cognizione, non confutata dall’osservazione intramuraria, che non evidenziava neppure un inizio di rivisitazione critica in relazione all’efferato delitto, peraltro commesso in ambiente domestico.
2.Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso il difensore dell’imputata, articolando un unico motivo con il quale deduce violazione di legge, inparticolare dell’art. 47
quinquies comma 1 bis ord. pen.
Il Tribunale ha irragionevolmente valorizzato la perizia disposta in sede di cognizione, senza considerare il comportamento successivo e l’inizio di resipiscenza mostrata dalla detenuta; il provvedimento impugnato Ł stato emesso in violazione degli artt. 30 e 31 Cost., atteso il grave pregiudizio che da esso potrebbe derivare al minore ed al rapporto parentale; del pari sono state violate le fonti sovranazionali (art. 3, paragrafo 1 Convenzione dei diritti del fanciullo, e art. 24 paragrafo 2 Carta di Nizza), che affermano la preminenza dell’interesse del minore, come anche affermato dalla Corte di legittimità. La stessa Corte Costituzionale, con la sentenza n. 30 del 2020, ha allargato la tutela del minore, estendendo entrambe le specie di detenzione domiciliare in presenza di figlio ultradecenne portatore di grave handicap.
Il Procuratore generale, NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta, con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł infondato.
La giurisprudenza di legittimità ha stabilito che, ai fini dell’applicazione della detenzione domiciliare speciale di cui all’art. 47-quinquies ord. pen., il giudice, dopo aver accertato la sussistenza dei presupposti formali ed escluso il concreto pericolo di commissione di ulteriori reati, deve verificare la possibilità per il condannato sia di reinserimento sociale sia di effettivo esercizio delle cure parentali nei confronti di prole di età non superiore ai dieci anni, costituendo il primo un requisito necessario per l’ammissione al regime alternativo e la seconda la circostanza che giustifica il maggior ambito applicativo della misura alternativa (Sez. 1, Sentenza n. 47092 del 19/07/2018, Rv. 274481-01).
Secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 239 del 2014, l’istituto risponde all’esigenza di soddisfare il «prioritario l’interesse del minore» a crescere con la madre in un ambiente normale, esterno al carcere; l’interesse del soggetto minore in tenera età, o affetto da grave handicap, a fruire in modo continuativo dell’affetto e delle cure genitoriali, non forma oggetto di protezione assoluta, tale da sottrarlo ad ogni possibile bilanciamento con esigenze contrapposte, pure di rilievo costituzionale, quali quelle di difesa sociale, sottese alla necessaria esecuzione della pena inflitta al genitore, in seguito allacommissione di un reato, e alle condizioni che la regolano. Proprio a una simile logica di bilanciamento risponde, in effetti (v. Corte cost. nn. 76 del 2017, 239 del 2014 e 177 del 2009), la disciplina delle condizioni di accesso alla detenzione domiciliare «speciale», stabilita dall’art. 47-quinquies, comma 1, Ord. pen.; condizioni tra le quali figura anche quella della insussistenza di un reale ed effettivo pericolo di commissione di ulteriori delitti da parte del condannato.
Il Tribunale di sorveglianza ha dunque giustamente preso in esame tale aspetto pregiudiziale e ha ineccepibilmente rilevato, con riferimento al caso di specie, come si appalesasse inadeguata la misura alternativa richiesta, in considerazione della condizione psicopatologica della condannata accertata in sede di giudizio di cognizione, dell’elevata pericolosità sociale rilevata sempre in sede di perizia disposta in cognizione, e dell’incapacità della detenuta di elaborare il gravissimo e recente vissuto deviante, oltre all’impossibilità di scorgere finanche l’inizio di un processo di revisione critico.
L’ordinanza impugnata, ancorando il diniego di accesso alla misura alternativa a tali corretti e argomentati presupposti, si sottrae palesemente alle critiche della ricorrente.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali.
Sussistono le condizioni per disporre che, ai sensi dell’art. 52, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di diffusione del provvedimento, siano obliterati nella riproduzione le generalità e i dati identificativi.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. IN CASO DI DIFFUSIONE DEL PRESENTE PROVVEDIMENTO OMETTERE LE GENERALITA’ E GLI ALTRI DATI IDENTIFICATIVI A NORMA DELL’ART. 52 D.LGS. 196/03 E SS.MM.
Così Ł deciso, 13/05/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME