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Detenzione domiciliare per salute: quando è negata?

La Corte di Cassazione ha confermato il rigetto di un’istanza di detenzione domiciliare per salute presentata da un detenuto affetto da gravi patologie. La decisione si fonda sul comportamento non collaborativo del richiedente, che rifiutava sistematicamente le terapie offerte in carcere. La sentenza sottolinea che il diritto alla salute non può essere strumentalizzato per ottenere benefici penitenziari attraverso il volontario aggravamento delle proprie condizioni.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenzione Domiciliare per Salute: Il Rifiuto delle Cure Può Costare il Beneficio

Il delicato equilibrio tra l’esecuzione della pena e la tutela del diritto alla salute del detenuto è un tema centrale nel nostro ordinamento. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: la detenzione domiciliare per salute non può essere concessa se il detenuto stesso, con il suo comportamento non collaborativo, ostacola le cure offerte dall’istituto penitenziario. Analizziamo insieme questa importante decisione per comprenderne le implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso

Un detenuto, affetto da diverse patologie tra cui diabete insulino-dipendente, pregressa prostatite e sindrome bipolare, presentava un’istanza al Tribunale di sorveglianza per ottenere la detenzione domiciliare per gravi motivi di salute. La richiesta era stata avanzata ai sensi degli artt. 147 del codice penale e 47-ter dell’ordinamento penitenziario.

Il Tribunale, tuttavia, rigettava l’istanza, così come aveva già fatto in diverse occasioni precedenti. La decisione si basava su una recente relazione sanitaria che, pur confermando le patologie, evidenziava come l’istituto penitenziario di Sulmona fosse dotato dei presidi necessari per la gestione del paziente. Elemento cruciale, emerso dalle relazioni, era il comportamento costantemente non collaborativo del detenuto, il quale si rifiutava di seguire le terapie prescritte, assumendo dosi di insulina inferiori a quelle indicate o rifiutando del tutto la somministrazione.

Contro questa decisione, il difensore del detenuto proponeva ricorso in Cassazione, lamentando, tra le altre cose, una violazione di legge e un vizio di motivazione per non aver adeguatamente valutato l’incompatibilità delle sue condizioni di salute con il regime carcerario.

Le ragioni del rigetto della detenzione domiciliare per salute

La difesa ha articolato il ricorso su sette motivi, sostenendo che il Tribunale di sorveglianza non avesse effettuato una corretta comparazione tra le patologie e la reale possibilità di cura in carcere. Si contestava una valutazione distorta della condotta del detenuto e la violazione del diritto alla salute, tutelato sia dalla Costituzione (art. 32) che dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (art. 3), fino a configurare un trattamento inumano e degradante.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, respingendo tutte le censure della difesa. I giudici hanno chiarito che il Tribunale di sorveglianza aveva compiuto una valutazione approfondita e non astratta della situazione.

Il punto centrale della motivazione risiede nel comportamento del detenuto. La Corte ha evidenziato come dalle relazioni sanitarie e del personale di polizia penitenziaria emergesse un reiterato atteggiamento di rifiuto e di arbitraria gestione delle terapie. Questo comportamento non collaborativo è stato considerato un fattore decisivo. La giurisprudenza, richiamata dalla Corte, è chiara sul punto: il detenuto non può ostacolare le iniziative di cura di cui necessita per poi lamentare un’incompatibilità con il carcere. In altre parole, non è consentito “creare” le condizioni per ottenere una misura alternativa attraverso un deliberato peggioramento del proprio stato di salute.

La Corte ha inoltre stabilito che, al di là dei rischi astratti legati alle patologie, non sussistevano condizioni di invalidità tali da non poter essere gestite in regime detentivo, né pericoli di vita imminenti. L’istituto penitenziario era stato ritenuto adeguato a fornire il monitoraggio e le cure necessarie, ma l’efficacia di tali cure era minata proprio dalla mancata adesione del paziente. Di conseguenza, non è stata ravvisata alcuna violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti.

Le Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio di auto-responsabilità del detenuto nel percorso di cura. Il diritto alla salute è sacrosanto e deve essere tutelato anche in carcere, ma richiede una collaborazione attiva da parte dell’interessato. La detenzione domiciliare per salute rimane uno strumento fondamentale per garantire la dignità della persona quando le condizioni sanitarie sono oggettivamente incompatibili con la detenzione. Tuttavia, non può diventare un mezzo per eludere l’esecuzione della pena attraverso condotte ostruzionistiche. La decisione della Cassazione serve da monito: la valutazione del giudice terrà sempre conto non solo del quadro clinico, ma anche del comportamento complessivo del detenuto rispetto al suo percorso terapeutico.

Un detenuto con gravi patologie ha sempre diritto alla detenzione domiciliare per salute?
No, la sola presenza di gravi patologie non è sufficiente. La decisione dipende dalla compatibilità delle cure con il regime carcerario, dall’assenza di trattamenti inumani e, come sottolineato in questa sentenza, dal comportamento collaborativo del detenuto rispetto alle terapie offerte.

Il rifiuto delle cure da parte del detenuto può influenzare la decisione sulla detenzione domiciliare?
Sì, in modo decisivo. La Corte di Cassazione ha stabilito che la mancata accettazione dei trattamenti sanitari offerti in carcere costituisce una condizione ostativa alla concessione della misura, poiché il detenuto non può, con la sua condotta, determinare le condizioni per un presunto aggravamento che giustifichi la scarcerazione.

Cosa si intende per condizioni di salute incompatibili con la detenzione?
Si intendono quelle condizioni così gravi da non poter essere adeguatamente curate all’interno dell’istituto penitenziario o tali da causare sofferenze e un’afflizione che superano la soglia della dignità umana. In questo caso, nonostante le patologie, la Corte ha ritenuto che non sussistessero tali condizioni, anche in virtù dell’adeguatezza delle strutture sanitarie del carcere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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