Detenzione Domiciliare Negata: L’Importanza della Dissociazione dal Clan
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso emblematico riguardante la concessione della detenzione domiciliare a un soggetto condannato per reati di stampo mafioso. La decisione sottolinea come l’effettiva dissociazione dall’ambiente criminale e la valutazione del contesto sociale e familiare siano elementi imprescindibili per accedere a misure alternative al carcere. L’analisi della Suprema Corte offre spunti fondamentali per comprendere i criteri rigorosi applicati in materia di criminalità organizzata.
Il Caso: La Richiesta di un Esponente di Clan
Un individuo, condannato per essere stato capo e promotore di una nota consorteria camorristica insieme ai suoi familiari, ha presentato ricorso in Cassazione contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Napoli. Quest’ultimo aveva respinto la sua istanza di ammissione alla detenzione domiciliare, basando il diniego su una serie di elementi fattuali e giuridici ben precisi.
Il Tribunale aveva evidenziato che la difesa non aveva fornito alcuna prova dell’allontanamento del condannato dal clan di appartenenza. Al contrario, l’organizzazione criminale risultava ancora pienamente operativa e coinvolta in una faida con clan rivali, un chiaro segnale di pericolosità sociale attuale e concreta.
La Decisione della Cassazione: Criteri per la detenzione domiciliare
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato e generico. Gli Ermellini hanno confermato la validità dell’analisi svolta dal Tribunale di Sorveglianza, le cui argomentazioni sono state giudicate solide e conformi alla legge, in particolare all’articolo 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario, che regola l’accesso ai benefici per i condannati per reati di particolare gravità.
Il ricorrente, secondo la Corte, non ha saputo contrapporre argomenti specifici e pertinenti alle motivazioni del diniego, limitandosi a una contestazione generica che non è entrata nel merito delle questioni sollevate.
Le Motivazioni: Perché il Ricorso è Stato Dichiarato Inammissibile
La decisione della Cassazione si fonda su tre pilastri argomentativi che hanno reso inevitabile la declaratoria di inammissibilità.
Il Pericolo di Recidiva e i Legami Attuali
Il primo punto cruciale è la persistenza dei legami con l’ambiente criminale. Il Tribunale di Sorveglianza aveva sottolineato come il clan fosse ancora vitale e attivo. La mancata collaborazione del condannato con la giustizia, unita all’assenza di qualsiasi segnale di dissociazione, è stata interpretata come un indicatore di un elevato rischio di recidiva. In casi come questo, la concessione della detenzione domiciliare sarebbe in contrasto con le esigenze di sicurezza pubblica.
L’Inidoneità del Domicilio Proposto
Un altro elemento determinante è stata la valutazione del luogo indicato per scontare la misura. Il domicilio proposto era l’abitazione in cui vivevano i familiari del ricorrente, tutti pluripregiudicati per il medesimo reato associativo. Un simile contesto è stato giudicato palesemente inidoneo a favorire un percorso di reinserimento sociale, potendo, al contrario, rafforzare i legami criminali e agevolare la prosecuzione delle attività illecite.
La Genericità del Ricorso
Infine, la Corte ha sanzionato la modalità con cui è stato formulato il ricorso. Anziché contestare punto per punto le argomentazioni del Tribunale, la difesa si è limitata a una critica generica, senza affrontare in modo specifico né la questione dell’attualità dei legami con il clan, né quella dell’inidoneità del domicilio. Questa carenza argomentativa ha reso l’impugnazione inefficace e, di conseguenza, inammissibile.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
L’ordinanza ribadisce un principio cardine nell’esecuzione penale per i reati di mafia: l’accesso a benefici come la detenzione domiciliare non è automatico ma richiede una rigorosa verifica della cessazione di ogni legame con la criminalità organizzata. La decisione non deve essere solo formale, ma sostanziale e provata. Inoltre, il contesto familiare e sociale in cui la misura alternativa dovrebbe svolgersi assume un’importanza decisiva. Un ambiente che non garantisce un allontanamento effettivo dal circuito criminale preclude la concessione del beneficio, a tutela della collettività. Per i condannati, questa pronuncia è un monito chiaro: solo una netta e verificabile rottura con il passato criminale può aprire le porte a un percorso di pena alternativo al carcere.
Quando può essere negata la detenzione domiciliare a un condannato per reati associativi?
La detenzione domiciliare può essere negata quando il condannato non dimostra un effettivo allontanamento dal clan di appartenenza, soprattutto se questo è ancora attivo e operativo. La mancanza di collaborazione con la giustizia e l’assenza di segnali di dissociazione sono considerati indicatori di un elevato rischio di recidiva.
Perché il domicilio indicato per la detenzione domiciliare è stato considerato inidoneo?
Il domicilio è stato ritenuto inidoneo perché era l’abitazione in cui risiedevano altri familiari del richiedente, tutti condannati per lo stesso reato associativo. Un simile contesto è stato valutato come non idoneo a garantire un percorso di reinserimento, potendo anzi favorire la persistenza dei legami criminali.
Cosa significa che un ricorso è “generico” e “non correlato” alla motivazione?
Significa che l’atto di impugnazione non contesta in modo specifico e puntuale le ragioni di fatto e di diritto esposte nel provvedimento impugnato. Nel caso di specie, il ricorso non ha affrontato adeguatamente le argomentazioni del tribunale relative alla vitalità del clan e all’inidoneità del domicilio, rendendolo così inammissibile.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5311 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5311 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 28/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a NAPOLI il 16/03/1974
avverso l’ordinanza del 29/05/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Considerato che NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso l’ordinanza in preambolo, con la quale il Tribunale di sorveglianza di Napoli, ha dichiarato inammissibilkristanza di detenzione domiciliare;
ritenuto che il ricorso risulta manifestamente infondato, in quanto generico e non correlato con la motivazione posta a fondamento del provvedimento di diniego;
rilevato, invero, che il Giudice specializzato ha fondato la decisione osservando come la difesa non avesse argomentato alcunché sull’allontanamento del prevenuto dalla omonima consorteria camorristica di cui è risultato capo e promotore unitamente al padre ed ai fratelli; che il clan di appartenenza è attualmente vitale, essendo in atto un faida tra sodalizi rivali; che non ricorre nel caso di specie i né l’ipot si della avvenuta collaborazione da parte dell’istante, né quelle delle c.d. collaborazione impossibile o collaborazione inesigibile; che il domicilio indicato nell’istanza, ove vivono i famigliari tutti pluripregiudicati per il medesimo reato associativo, è inidoneo;
ritenuto dunque che, a cospetto delle argomentazioni del Tribunale di sorveglianza – rispettose del tenore letterale della disposizione di cui all’art. 4- bis Ord. pen., – c cui il ricorrente non si confronta in modo adeguatamente specifico, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e che a detta declaratoria segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – per i profili di colpa connessi all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in euro tremila;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28/11/2024