Detenzione domiciliare negata: quando la pericolosità sociale prevale
La detenzione domiciliare rappresenta uno strumento fondamentale nel nostro ordinamento penitenziario, volto a favorire il reinserimento sociale del condannato attraverso una modalità di esecuzione della pena meno afflittiva del carcere. Tuttavia, la sua concessione non è un diritto automatico, ma è subordinata a una rigorosa valutazione da parte del giudice, che deve bilanciare le esigenze rieducative con quelle di tutela della collettività. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un chiaro esempio dei criteri che guidano questa valutazione, confermando come un’elevata caratura criminale e un concreto rischio di recidiva possano precludere l’accesso a tale beneficio.
I fatti del caso
Un soggetto, condannato in via definitiva, presentava un’istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere la concessione della detenzione domiciliare, ai sensi dell’art. 47-ter della legge sull’ordinamento penitenziario. Il Tribunale rigettava la richiesta, spingendo il condannato a proporre ricorso per Cassazione.
Nel suo ricorso, l’interessato non contestava specifiche violazioni di legge, ma tentava di sollecitare una nuova e diversa valutazione dei presupposti per l’applicazione della misura, un’operazione non consentita in sede di legittimità.
La decisione della Corte di Cassazione sulla detenzione domiciliare
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione del Tribunale di Sorveglianza. I giudici hanno sottolineato come il ricorso fosse generico e mirasse a una rivalutazione del merito, estranea al giudizio di cassazione, che è limitato al controllo della corretta applicazione della legge.
Di conseguenza, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale in caso di inammissibilità.
Le motivazioni
Il cuore della decisione risiede nelle motivazioni con cui il Tribunale di Sorveglianza, con un giudizio ritenuto congruo e corretto dalla Cassazione, aveva negato il beneficio. L’analisi del giudice di merito si era concentrata su elementi oggettivi che delineavano un quadro di elevata pericolosità sociale del soggetto. In particolare, sono stati evidenziati tre fattori determinanti:
1. L’elevata caratura criminale: La personalità del ricorrente era stata giudicata di notevole spessore delinquenziale.
2. Le pendenze giudiziarie: A carico del soggetto risultavano procedimenti per reati gravi presso diverse Procure della Repubblica, a testimonianza di una persistente inclinazione a delinquere.
3. La continuità dell’attività criminale: Elemento decisivo è stato il fatto che il condannato avesse continuato a commettere reati non solo dopo la commissione dei delitti per cui era stato condannato, ma anche a seguito della fruizione di precedenti benefici penitenziari. Questo comportamento dimostrava una totale refrattarietà al percorso rieducativo e un concreto rischio di recidiva, rendendo la detenzione domiciliare una misura inadeguata a contenere la sua pericolosità.
Le conclusioni
La pronuncia in esame ribadisce un principio cardine dell’esecuzione penale: i benefici come la detenzione domiciliare sono concessi solo a seguito di un’attenta e approfondita valutazione della personalità del condannato e della sua effettiva volontà di reinserimento sociale. La presenza di un profilo criminale significativo, corroborato da procedimenti in corso e, soprattutto, da una condotta che dimostra la persistenza nel crimine nonostante le opportunità rieducative offerte, costituisce un ostacolo insormontabile alla concessione di misure alternative. La decisione serve da monito: la fiducia dello Stato va meritata attraverso un cambiamento reale e tangibile, non potendo prescindere dalle primarie esigenze di sicurezza della collettività.
È possibile ottenere la detenzione domiciliare se si hanno altri procedimenti penali in corso?
La decisione dimostra che avere procedimenti penali in corso per reati gravi è un elemento fortemente negativo. Il giudice valuta la “caratura criminale” complessiva, e le pendenze giudiziarie, unite a informazioni negative delle forze dell’ordine, possono portare al rigetto della richiesta.
Un ricorso in Cassazione può riesaminare i fatti che hanno portato a negare la detenzione domiciliare?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il suo ruolo non è quello di effettuare una nuova valutazione del merito. Il ricorso è ammissibile solo se contesta errori di diritto nell’applicazione della legge, non se mira a una riconsiderazione dei presupposti fattuali già valutati correttamente dal giudice precedente.
Quali sono le conseguenze se un ricorso viene dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Come stabilito nel provvedimento, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, che in questo specifico caso è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19903 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19903 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a ANDRIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 10/10/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
EsamiNOME il ricorso avverso l’ordinanza del 10 ottobre 2023, con cui il Tribunale di sorveglianza di Bari, per quanto di interesse ai presenti fini, rigettava l’istanza di concessione della detenzione domiciliare presentata da NOME COGNOME, ai sensi dell’art. 47-ter legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.).
Ritenuto che il ricorso di COGNOME, articolato in un’unica doglianza, non individua singoli aspetti del provvedimento impugNOME da sottoporre a censura, ma tende in realtà a provocare una nuova e non consentita valutazione del merito dei presupposti per la concessione della misura della detenzione domiciliare, così come previsti dall’art. 47-ter Ord. pen., correttamente vagliati dal Tribunale di sorveglianza di Bari.
Ritenuto che il Tribunale di sorveglianza di Bari ha correttamente valutato gli elementi risultanti agli atti, formulando un giudizio congruo e privo di erronea applicazione della legge penitenziaria, evidenziando che l’elevata caratura criminale di COGNOME, attestata dalle pendenze giudiziarie per gravi reati – per i quali procedono le Procure della Repubblica presso i Tribunali di Lecce e di Bari e le informazioni negative trasmesse dalle Forze dell’ordine competenti, che rendevano evidente che il ricorrente ha continuato a delinquere «sia dopo la commissione dei reati di cui al titolo in epigrafe indicato, sia a seguito della fruizione di benefici penitenziari».
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18 aprile 2024.