Detenzione Domiciliare: Quando il Rischio di Nuovi Reati Blocca il Beneficio
La concessione della detenzione domiciliare rappresenta un istituto fondamentale nel sistema di esecuzione della pena, finalizzato a bilanciare le esigenze di sicurezza della collettività con il percorso rieducativo del condannato. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che la commissione di reati durante un precedente periodo di arresti domiciliari costituisce un ostacolo quasi insormontabile, poiché dimostra un concreto pericolo di recidiva.
I Fatti del Caso
Un individuo, condannato a una pena detentiva, presentava istanza per poterla espiare in regime di detenzione domiciliare, ai sensi della Legge n. 199/2010. La sua richiesta veniva però respinta prima dal Magistrato di Sorveglianza e poi, in sede di reclamo, dal Tribunale di Sorveglianza di Palermo. La ragione del diniego era duplice: da un lato, il percorso detentivo del soggetto era stato giudicato privo di elementi positivi; dall’altro, e in modo decisivo, era emerso che l’uomo aveva commesso nuovi reati proprio mentre si trovava agli arresti domiciliari, fino a un’epoca molto recente (2023).
Contro questa decisione, il condannato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando una violazione di legge e vizi di motivazione.
La Valutazione sulla Detenzione Domiciliare
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, confermando la correttezza della decisione del Tribunale di Sorveglianza. Gli Ermellini hanno sottolineato che il ricorso del condannato non mirava a denunciare un errore di diritto, ma a sollecitare una nuova e inammissibile valutazione dei fatti, attività preclusa nel giudizio di legittimità.
Il cuore della questione risiede nell’interpretazione dei presupposti per la concessione della detenzione domiciliare disciplinata dalla Legge 199/2010. Questa norma permette di scontare a casa le pene detentive non superiori a diciotto mesi. Tuttavia, la stessa legge prevede specifiche cause di esclusione.
I Limiti alla Concessione del Beneficio
Il provvedimento della Cassazione chiarisce che il beneficio può essere negato non solo per specifiche categorie di reati o di autori (delinquenti abituali, professionali, etc.), ma anche quando esistono elementi concreti che facciano sorgere dubbi sull’affidabilità del condannato. Tra questi, assumono particolare rilievo:
* La concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga.
* La sussistenza di specifiche e motivate ragioni che facciano ritenere esistente il pericolo di commissione di altri delitti.
* L’inidoneità del domicilio, anche in funzione della tutela delle persone offese dal reato.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha stabilito che la motivazione del Tribunale di Sorveglianza era adeguata e non illogica. Il rigetto si basava su un dato di fatto oggettivo e recente: la ripetuta commissione di reati da parte del ricorrente mentre era già sottoposto a una misura restrittiva della libertà personale. Questo comportamento, secondo i giudici, è un indicatore fortissimo del pericolo di recidiva, una delle cause ostative esplicitamente previste dalla legge.
La Cassazione ha inoltre precisato che la valutazione per la detenzione domiciliare ex L. 199/2010 è diversa da quella richiesta per le misure alternative classiche (come l’affidamento in prova). In questo caso, il giudizio non si concentra su una generica “meritevolezza” del condannato, ma sulla verifica dell’assenza di specifiche condizioni negative. La condotta del ricorrente ha integrato pienamente una di queste condizioni, rendendo il rigetto dell’istanza un atto giuridicamente corretto e razionale.
Le Conclusioni
In conclusione, l’ordinanza riafferma un principio cruciale: la detenzione domiciliare non è un diritto incondizionato, ma un beneficio la cui concessione è subordinata a una prognosi favorevole sul comportamento futuro del condannato. Aver violato la fiducia dell’ordinamento commettendo reati durante precedenti arresti domiciliari costituisce una prova concreta di inaffidabilità, sufficiente a giustificare il diniego della misura, poiché evidenzia un elevato e attuale pericolo per la sicurezza pubblica.
Quando può essere negata la detenzione domiciliare anche se la pena è inferiore a 18 mesi?
La detenzione domiciliare può essere negata quando, tra le altre ragioni, esistono specifiche e motivate ragioni per ritenere sussistente il pericolo che il condannato commetta altri delitti, come dimostrato nel caso di specie dalla precedente commissione di reati durante gli arresti domiciliari.
Commettere reati durante un precedente periodo di arresti domiciliari influisce sulla richiesta di detenzione domiciliare?
Sì, influisce in modo decisivo. Secondo la Corte di Cassazione, tale comportamento è una prova evidente e non irrazionale di un concreto pericolo di recidiva, che costituisce una delle cause ostative previste dalla legge per la concessione del beneficio.
La valutazione per la detenzione domiciliare è identica a quella per le altre misure alternative?
No. La Corte chiarisce che per la detenzione domiciliare disciplinata dalla L. 199/2010, il giudizio si concentra sull’assenza di cause di esclusione specifiche (come il pericolo di fuga o di commissione di altri reati), piuttosto che su una valutazione complessiva della “meritevolezza” del condannato, tipica di altre misure alternative alla detenzione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 24373 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 24373 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MESSINA il 05/10/1972
avverso l’ordinanza del 12/02/2025 del TRIB. SORVEGLIANZA di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e la ordinanza impugnata.
Rilevato che il ricorso di NOME COGNOME sollecita apprezzamenti di merito estranei al giudizio di legittimità e, laddove denuncia violazione di legge e vizi motivazionali, è comunque manifestamente infondato;
Considerato, infatti, che il Tribunale di sorveglianza di Palermo, con motivazione adeguata e non manifestamente illogica, ha respinto il reclamo presentato dal predetto avverso il provvedimento con il quale il magistrato di sorveglianza aveva respinto l’istanza di applicazione della detenzione domiciliare ai sensi della I. 199/2010 a causa della commissione di reati nel corso degli arresti domiciliare sino al 2023 e per il percorso detentivo privo di elementi positivi;
Ritenuto che, nel caso di specie, si verte in tema di applicazione della esecuzione della pena a domicilio disciplinata dall’art. 1 legge 26 novembre 2010, n. 199 in base al quale, nell’attuale formulazione, è previsto che «la pena detentiva non superiore a diciotto mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena, è eseguita presso l’abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza (…)». Le cause di esclusione da tale particolare modalità esecutiva della pena riguardano: i condannati a taluno dei delitti indicati dall’art. 4-bis Ord. peri., i delinquenti abituali, professionali o per tendenza, ai sensi degli artt. 102, 105 e 108 cod. pen., i detenuti sottoposti al regime di sorveglianza particolare ex art. 14-bis Ord. pen., salvo il caso di accoglimento del reclamo previsto dall’art. 14-ter Ord. pen., il caso in cui vi sia la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga, o ricorrano specifiche e motivate ragioni per ritenere sussistente il pericolo di commissione di altri delitti ovvero quando non vi sia l’idoneità e l’effettività del domicilio, anche in funzione della tutela delle persone offese dal reato. Così ricostruita la ratio dell’istituto in esame ed i rapporti con la misura alternativa alla detenzione di cui all’art. 47-ter Ord. pen., è evidente la infondatezza del ricorso poiché il rigetto è stato fondato, in modo non irrazionale, sulla ripetuta commissione di reati da parte dell’odierno ricorrente nel corso degli arresti domiciliari sino ad epoca recente e quindi non su una valutazione di meritevolezza tipica, invece, nella ipotesi delle misure alternative alla detenzione;
Rilevato che il condannato, a fronte di tale compiuto e logico ragionamento svolto dal Tribunale di sorveglianza, pur lamentando la violazione di legge ed il vizio di motivazione, sollecita in realtà una differente (ed inammissibile) valutazione degli elementi di merito coerentemente esaminati dal giudice a quo per respingere la sua richiesta;
Ritenuto, pertanto, che deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso,
con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della
Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 19 giugno 2025.