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Detenzione domiciliare: no per reati ostativi

Un soggetto condannato per associazione di tipo mafioso si è visto negare la detenzione domiciliare. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, chiarendo che tale misura alternativa è assolutamente preclusa per i cosiddetti reati ostativi, come previsto dall’art. 47-ter dell’Ordinamento Penitenziario. La Corte ha specificato che le recenti riforme normative in materia non hanno modificato questo specifico divieto.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenzione Domiciliare e Reati Ostativi: La Cassazione Conferma il Divieto

L’accesso alla detenzione domiciliare rappresenta una delle questioni più dibattute nell’ambito dell’esecuzione penale, specialmente quando si tratta di condannati per reati di particolare gravità. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: per i cosiddetti ‘reati ostativi’, come l’associazione di tipo mafioso, questa misura alternativa è preclusa in modo assoluto, e le recenti riforme non hanno scalfito tale divieto. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni.

Il Caso: La Richiesta di Detenzione Domiciliare

Un uomo, condannato per il reato di associazione di tipo mafioso previsto dall’art. 416-bis del codice penale, ha presentato un’istanza per ottenere la concessione della detenzione domiciliare. Il Tribunale di Sorveglianza competente ha dichiarato la richiesta inammissibile, ritenendo la condanna per tale delitto un ostacolo insormontabile.

L’interessato ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo una violazione di legge. A suo avviso, la recente riforma dell’art. 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario (tramite il D.L. n. 162/2022) avrebbe esteso la possibilità di accedere ai benefici anche ai condannati per reati associativi. Egli ha inoltre sottolineato di possedere i requisiti soggettivi necessari: l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni risarcitorie per indigenza, una condotta carceraria corretta e l’assenza di un pericolo attuale di collegamento con la criminalità organizzata.

La Questione Giuridica e il Diniego della Detenzione Domiciliare

Il nucleo della questione giuridica risiedeva nel coordinamento tra due norme: l’art. 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario, che elenca i reati ostativi, e l’art. 47-ter dello stesso ordinamento, che disciplina la detenzione domiciliare. Il ricorrente interpretava la novella del 2022 come un’apertura generalizzata, ma la Corte di Cassazione ha fornito una lettura ben diversa e rigorosa.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, basando la sua decisione su un’argomentazione netta e inequivocabile. Il punto centrale è il comma 1-bis dell’art. 47-ter dell’Ordinamento Penitenziario. Questa disposizione stabilisce esplicitamente che la detenzione domiciliare «non si applica ai condannati per i reati di cui all’articolo 4-bis».

Secondo i giudici, questa è una norma di divieto specifico che prevale su qualsiasi interpretazione estensiva della riforma generale. La modifica apportata dal D.L. n. 162/2022 all’art. 4-bis ha riguardato le condizioni per l’accesso ad altri benefici penitenziari, ma non ha in alcun modo abrogato o modificato la preclusione assoluta prevista per la detenzione domiciliare dall’art. 47-ter.

La Corte ha inoltre richiamato la propria giurisprudenza consolidata (tra cui Cass. n. 13751/2019 e Cass. n. 16321/2024), la quale ha costantemente affermato che la condanna per uno dei reati inclusi nell’art. 4-bis impedisce la concessione della detenzione domiciliare. Il rinvio normativo è ‘secco’: si riferisce all’intero elenco dei reati contemplati, senza distinguere tra diverse ‘fasce’ di pericolosità o consentire valutazioni discrezionali sulla base della condotta del detenuto o della sua attuale pericolosità sociale.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame conferma con forza un principio cardine del sistema penitenziario italiano: la detenzione domiciliare non è una misura accessibile per chi è stato condannato per i reati più gravi che destano maggiore allarme sociale, come quelli di mafia. La volontà del legislatore, cristallizzata nell’art. 47-ter, è quella di mantenere una linea di rigore per tali fattispecie, escludendole a priori da questa specifica misura alternativa. La decisione sottolinea che le riforme, anche quelle di ampio respiro, devono essere lette in armonia con le disposizioni specifiche non abrogate, che in questo caso mantengono la loro piena efficacia preclusiva.

Una persona condannata per un reato associativo di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.) può ottenere la detenzione domiciliare?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che la detenzione domiciliare è esplicitamente esclusa per i condannati per i reati di cui all’articolo 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario, tra cui rientra l’art. 416-bis c.p., in base al divieto specifico contenuto nell’art. 47-ter, comma 1-bis, dello stesso ordinamento.

La riforma dell’art. 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario (D.L. n. 162/2022) ha cambiato le regole per l’accesso alla detenzione domiciliare?
No, per quanto riguarda la detenzione domiciliare, la riforma non ha modificato il divieto specifico. L’art. 47-ter dell’Ord. Pen., che esclude tale misura per i reati ostativi, non è stato toccato dalla novella legislativa e mantiene la sua piena efficacia.

La buona condotta in carcere e l’assenza di legami attuali con la criminalità organizzata sono sufficienti per ottenere la detenzione domiciliare per un reato ostativo?
No, secondo la decisione, questi elementi non sono rilevanti ai fini della concessione della detenzione domiciliare quando la condanna riguarda un reato per cui tale misura è assolutamente preclusa dalla legge, come nel caso dei delitti previsti dall’art. 4-bis Ord. Pen.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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