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Detenzione domiciliare: no con reati ostativi

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20266/2024, ha stabilito che la detenzione domiciliare non può essere concessa per i condannati per reati ostativi, anche se è stata riconosciuta la loro collaborazione con la giustizia. La Corte ha chiarito che il divieto non deriva dall’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario (che prevede eccezioni per i collaboratori), ma dall’art. 47-ter, che crea una preclusione assoluta facendo riferimento solo all’elenco dei reati di cui all’art. 4-bis, senza recepirne le eccezioni.

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Pubblicato il 17 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenzione Domiciliare e Reati Ostativi: La Collaborazione Non Sempre Basta

La concessione della detenzione domiciliare rappresenta un tema cruciale nell’esecuzione della pena, bilanciando esigenze di sicurezza sociale e finalità rieducative. Tuttavia, per i condannati per reati di particolare gravità, i cosiddetti ‘reati ostativi’, l’accesso a questa misura è fortemente limitato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 20266/2024) ha ribadito un principio fondamentale: anche quando viene riconosciuta la collaborazione con la giustizia, la detenzione domiciliare rimane preclusa. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

Il Fatto e la Decisione del Tribunale di Sorveglianza

Il caso riguarda un condannato che aveva presentato istanza al Tribunale di sorveglianza per ottenere la semilibertà e la detenzione domiciliare. Il Tribunale, pur riconoscendo l’avvenuta collaborazione con la giustizia ai sensi dell’art. 58-ter dell’ordinamento penitenziario, aveva respinto entrambe le richieste.

In particolare, per quanto concerne la detenzione domiciliare, l’istanza era stata dichiarata inammissibile. La motivazione del Tribunale si basava sul fatto che la condanna in esecuzione riguardava reati previsti dall’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, ostativi alla concessione della misura. Secondo i giudici di sorveglianza, il riconoscimento della collaborazione non era sufficiente a superare questa specifica preclusione normativa.

Il Ricorso in Cassazione e le argomentazioni della difesa

Contro questa decisione, il condannato ha proposto ricorso in Cassazione. La difesa ha sostenuto una violazione di legge, argomentando che l’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario subordina la concessione di tutte le misure alternative, per i reati ostativi, proprio alla condizione che il detenuto collabori con la giustizia.

Secondo questa tesi, una volta che la collaborazione viene accertata e riconosciuta, l’ostacolo normativo dovrebbe cadere per tutte le misure, inclusa la detenzione domiciliare. In altre parole, la collaborazione avrebbe dovuto rendere il condannato idoneo a beneficiare della misura richiesta, rimuovendo la barriera legale.

La Posizione della Cassazione sulla Detenzione Domiciliare

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale di sorveglianza. Gli Ermellini hanno chiarito che la preclusione alla detenzione domiciliare per i reati in questione non discende direttamente dall’art. 4-bis, bensì da una norma specifica: l’art. 47-ter, comma 1-bis, dell’ordinamento penitenziario.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che la giurisprudenza di legittimità è consolidata nel ritenere che l’art. 47-ter, nel disciplinare le ipotesi che escludono la detenzione domiciliare, opera un rinvio selettivo. Esso rinvia unicamente al ‘catalogo’ dei reati elencati nell’art. 4-bis, ma non al ‘contenuto’ di quest’ultima disposizione, cioè alle condizioni (come la collaborazione) che ne possono mitigare il rigore.

In pratica, la legge crea una distinzione netta:
1. L’art. 4-bis stabilisce un regime generale per i benefici penitenziari, prevedendo la collaborazione come via d’uscita dal regime ostativo per molte misure (come permessi premio, semilibertà, ecc.).
2. L’art. 47-ter, invece, introduce una preclusione autonoma e assoluta specificamente per la detenzione domiciliare, semplicemente prendendo in prestito l’elenco dei reati dall’art. 4-bis. Per questa misura, quindi, la collaborazione con la giustizia diventa irrilevante ai fini del superamento del divieto. La condanna per uno di quei delitti è, di per sé, causa ostativa all’applicazione della detenzione domiciliare.

Le Conclusioni

La sentenza riafferma un principio rigoroso: per i condannati per reati di cui al catalogo dell’art. 4-bis ord. pen., la detenzione domiciliare è inaccessibile, indipendentemente dal fatto che abbiano collaborato con la giustizia. La scelta del legislatore è stata quella di escludere in modo categorico questa specifica misura alternativa per i reati di maggiore allarme sociale, creando una disciplina speciale e più severa rispetto ad altri benefici penitenziari. Questa interpretazione, ormai consolidata, limita significativamente le opzioni a disposizione dei condannati per tali crimini, anche se meritevoli sotto il profilo della collaborazione.

La collaborazione con la giustizia permette sempre di ottenere la detenzione domiciliare per i reati ostativi?
No. Secondo la sentenza, anche se viene riconosciuta la collaborazione con la giustizia, la detenzione domiciliare rimane preclusa per i condannati per i reati indicati nell’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, a causa di un divieto specifico contenuto nell’art. 47-ter.

Perché la collaborazione non è stata ritenuta sufficiente per concedere la detenzione domiciliare in questo caso?
La preclusione non deriva dall’art. 4-bis (che ammette eccezioni per i collaboratori), ma dall’art. 47-ter dell’ordinamento penitenziario. Quest’ultima norma fa riferimento solo all’elenco dei reati dell’art. 4-bis, e non alle condizioni per superarne l’ostatività, creando così un divieto assoluto per la sola detenzione domiciliare.

Qual è la differenza tra l’art. 4-bis e l’art. 47-ter riguardo la detenzione domiciliare?
L’art. 4-bis stabilisce le condizioni generali per l’accesso ai benefici penitenziari per i reati ostativi, spesso permettendolo in caso di collaborazione. L’art. 47-ter, invece, stabilisce una regola speciale e più restrittiva esclusivamente per la detenzione domiciliare, escludendola a priori per chi è condannato per quei reati, a prescindere dalla collaborazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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