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Detenzione domiciliare: no al lavoro fuori sede

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto in detenzione domiciliare contro il diniego di autorizzazione a lavorare. La Corte ha stabilito che i provvedimenti del Magistrato di sorveglianza sono ricorribili solo per violazione di legge e non per vizi di motivazione. In questo caso, il diniego era motivato dalla ritenuta incompatibilità tra la sede di lavoro e il domicilio, e tra l’attività ludica e la finalità della pena, rendendo il ricorso una rivalutazione del merito non consentita.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenzione Domiciliare e Lavoro: Quando il Giudice Può Dire No?

La detenzione domiciliare rappresenta una fondamentale misura alternativa al carcere, mirata al reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, la possibilità di continuare a lavorare durante questo periodo non è un diritto automatico, ma è subordinata a un’autorizzazione specifica del Magistrato di sorveglianza. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito i confini del controllo giurisdizionale su tali decisioni, chiarendo quando e perché un diniego può essere considerato legittimo.

I Fatti del Caso

Un uomo, sottoposto alla misura della detenzione domiciliare in una località del Veneto, presentava un’istanza al Magistrato di sorveglianza per essere autorizzato a proseguire la sua attività lavorativa. La richiesta riguardava due impieghi: uno presso una società con sede a Milano e un altro, di natura più ludica, come speaker per un’emittente radiofonica locale.

Il Magistrato di sorveglianza di Verona respingeva la richiesta. La decisione si basava sulla valutazione di incompatibilità tra le attività proposte e le finalità della misura restrittiva. In particolare, la sede lavorativa milanese era considerata inconciliabile con il domicilio del condannato, mentre l’attività di speaker radiofonico veniva ritenuta non compatibile con il percorso di esecuzione penale.

I Motivi del Ricorso in Detenzione Domiciliare

Il condannato, tramite il suo difensore, impugnava il provvedimento. I motivi del ricorso si fondavano principalmente su due punti:
1. Contraddizione con un precedente provvedimento: Si evidenziava una presunta contraddizione con una precedente ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Milano che, nel concedere la misura, aveva previsto che il condannato potesse continuare a lavorare, previa autorizzazione del magistrato competente.
2. Mancata valutazione dello smart working: Si contestava al Magistrato di non aver considerato adeguatamente la possibilità, concordata con il datore di lavoro, di svolgere l’attività lavorativa principale in modalità di smart working, superando così l’ostacolo della distanza geografica.

Il ricorso, inizialmente proposto come reclamo, veniva correttamente riqualificato dalla Corte come ricorso per cassazione, in quanto diretto contro un provvedimento del Magistrato di sorveglianza che incide sulla libertà personale.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si basa su un principio consolidato in materia di esecuzione penale: i provvedimenti del Magistrato di sorveglianza in tema di detenzione domiciliare, come le autorizzazioni al lavoro, sono ricorribili in Cassazione solo per violazione di legge, e non per vizi di motivazione.

Nel caso specifico, la Corte ha osservato che il Magistrato aveva fornito una motivazione, seppur sintetica, per il suo diniego. Aveva ritenuto la sede di lavoro di Milano incompatibile con il domicilio e l’attività ludica non consona alla pena, considerando recessivo l’accordo per lo smart working. Questa è una valutazione di merito, che rientra pienamente nell’ambito della discrezionalità del giudice della sorveglianza.

Il ricorrente, invece di denunciare una specifica violazione di norme di diritto, ha tentato di ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti, contestando l’adeguatezza e la congruità della motivazione. Questo tipo di doglianza, secondo la Corte, non è ammesso in sede di legittimità.

Inoltre, l’argomento sulla presunta contraddittorietà con la precedente decisione del Tribunale di Milano è stato giudicato infondato. La Corte ha chiarito che l’autorizzazione finale spetta comunque al Magistrato di sorveglianza territorialmente competente, il quale esercita un proprio e autonomo potere valutativo sulla base della situazione concreta.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: l’autorizzazione a svolgere un’attività lavorativa durante la detenzione domiciliare non è scontata. Essa è soggetta alla valutazione discrezionale del Magistrato di sorveglianza, che deve bilanciare le esigenze lavorative e di reinserimento del condannato con le finalità della pena. La decisione di diniego, se motivata in modo logico e non palesemente illegittimo, non può essere contestata nel merito davanti alla Corte di Cassazione. Nemmeno la possibilità di lavorare in smart working costituisce un elemento che obbliga il giudice a concedere l’autorizzazione, rimanendo una circostanza da valutare nel più ampio contesto dell’esecuzione della misura.

È sempre possibile ottenere l’autorizzazione a lavorare durante la detenzione domiciliare?
No, l’autorizzazione non è automatica. È soggetta a una valutazione discrezionale del Magistrato di sorveglianza competente, che deve considerare la compatibilità dell’attività lavorativa con le finalità della pena e le prescrizioni imposte.

È possibile impugnare la decisione del Magistrato di sorveglianza che nega l’autorizzazione al lavoro?
Sì, ma solo presentando un ricorso per cassazione per “violazione di legge”. Non è possibile contestare la decisione semplicemente perché non si è d’accordo con la valutazione del giudice (vizio di motivazione), a meno che la motivazione sia totalmente assente o manifestamente illogica.

L’esistenza di un accordo per lo smart working obbliga il giudice a concedere l’autorizzazione?
No. Secondo la sentenza, un accordo tra condannato e datore di lavoro per lo svolgimento dell’attività in smart working è un elemento che il giudice può valutare, ma non lo vincola. La decisione finale resta discrezionale e basata sulla compatibilità complessiva con la misura della detenzione domiciliare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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