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Detenzione domiciliare lavoro: quando è negato il permesso

Un uomo in detenzione domiciliare si è visto negare il permesso di lavorare come addetto forestale. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, dichiarando il suo ricorso inammissibile. Il punto centrale della sentenza è che il permesso di lavoro durante la detenzione domiciliare può essere negato se l’attività lavorativa, per sua natura, non consente un adeguato controllo da parte delle autorità, come nel caso del lavoro nei boschi. La Corte ha chiarito che tale valutazione del giudice di sorveglianza non costituisce una violazione di legge, ma un legittimo esercizio di discrezionalità, non sindacabile in sede di legittimità.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenzione domiciliare e lavoro: perché il permesso può essere negato se l’attività non è controllabile

La compatibilità tra detenzione domiciliare e lavoro è una questione delicata, che bilancia le esigenze di reinserimento sociale del condannato con la necessità di garantire il controllo sull’esecuzione della pena. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sui criteri che guidano la concessione dei permessi di uscita per motivi lavorativi, sottolineando come la natura stessa del lavoro proposto sia un fattore determinante. Il caso analizzato riguarda un uomo in detenzione domiciliare a cui è stato negato il permesso di lavorare come addetto forestale. Vediamo perché.

I fatti del caso: la reiterata richiesta di autorizzazione al lavoro

Un uomo, condannato per un furto aggravato e in regime di detenzione domiciliare, presentava un’istanza al Magistrato di Sorveglianza per ottenere l’autorizzazione a uscire dalla propria abitazione in determinati orari per svolgere l’attività di addetto forestale. Si trattava della terza richiesta analoga, dopo che le prime due erano già state respinte. Il richiedente sosteneva di essere l’unica fonte di reddito per il proprio nucleo familiare e che la mancata autorizzazione avrebbe privato la famiglia dei mezzi minimi di sussistenza.

Il Magistrato di Sorveglianza, tuttavia, dichiarava l’istanza inammissibile e comunque la rigettava nel merito. Le ragioni del diniego erano molteplici: la reiterazione della richiesta, l’assenza di una pregressa situazione di indigenza e, soprattutto, la natura stessa dell’attività lavorativa. Secondo il giudice, il lavoro di addetto forestale, svolto nei boschi e in luoghi sempre diversi, non consentiva alcuna possibilità di controllo, rendendolo di fatto incompatibile con la misura della detenzione domiciliare.

Il ricorso in Cassazione: le argomentazioni del detenuto

Il condannato, tramite il suo difensore, proponeva ricorso per cassazione avverso il provvedimento del Magistrato. Le sue argomentazioni si basavano su diversi punti:
1. Stato di necessità familiare: Si ribadiva che il suo lavoro era indispensabile per il sostentamento della famiglia.
2. Natura del reato: Il reato per cui stava scontando la pena (furto del 2017) non era di particolare gravità né ostativo, e non implicava rischi di contatti con ambienti criminali.
3. Presunta illogicità: Il diniego si fondava su una presunzione illogica di assenza di controllo sul lavoro agricolo, che in realtà si sarebbe svolto in squadra e in un’area limitata.
4. Contraddittorietà: Il provvedimento era in contrasto con una precedente ordinanza del Tribunale di Sorveglianza, che, nel concedere la detenzione domiciliare, aveva già riconosciuto la sua situazione familiare e lavorativa, autorizzandolo a uscire per due ore al giorno per le esigenze primarie.

Quando il ricorso per la detenzione domiciliare lavoro è ammissibile?

La Corte ha innanzitutto affrontato la questione dell’ammissibilità del ricorso. Ha ricordato che, secondo un orientamento consolidato, i provvedimenti del Magistrato di Sorveglianza che modificano le modalità della detenzione domiciliare incidono sulla libertà personale. Pertanto, ai sensi dell’art. 111, comma 7, della Costituzione, è sempre ammesso il ricorso in Cassazione, ma esclusivamente per violazione di legge e non per vizi della motivazione.

Questo significa che il ricorrente non può semplicemente lamentare che la decisione del giudice sia illogica o contraddittoria, ma deve dimostrare che il giudice ha applicato in modo errato una specifica norma di legge.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo che le censure del condannato non integrassero una vera e propria violazione di legge, ma si risolvessero in una critica alla valutazione di merito compiuta dal Magistrato di Sorveglianza.

Il punto centrale della motivazione della Corte è l’argomento relativo all’impossibilità di controllo. Il Magistrato aveva correttamente ritenuto che l’attività di addetto forestale, svolta in luoghi aperti, difficilmente accessibili e variabili, non permettesse di verificare il rispetto delle prescrizioni della detenzione domiciliare. Questa valutazione, secondo la Suprema Corte, è un esercizio di potere discrezionale del giudice di merito, basato su un’analisi dei fatti. Non si tratta di una presunzione di pericolosità dell’attività forestale, ma della constatazione oggettiva che il controllo è alla base stessa della misura alternativa. Se il controllo non è possibile, la misura non può essere gestita in modo da consentire deroghe come l’attività lavorativa esterna.

La Corte ha respinto anche le altre argomentazioni: il fatto che il ricorrente svolgesse quel lavoro da anni o che avesse difficoltà a trovarne un altro non introduce una violazione di legge, ma attiene al merito della decisione. Allo stesso modo, la presunta contraddittorietà con la precedente ordinanza del Tribunale è stata considerata una censura sulla logicità della motivazione, non ammissibile in sede di legittimità.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale in materia di esecuzione della pena: la concessione di benefici, come il permesso di lavoro durante la detenzione domiciliare, è subordinata alla possibilità concreta di controllo da parte delle autorità. Il giudice di sorveglianza ha un’ampia discrezionalità nel valutare se una specifica attività lavorativa sia compatibile con le esigenze di controllo imposte dalla misura. Un ricorso contro tale decisione può avere successo solo se si dimostra una palese violazione di norme di legge, mentre le critiche sulla logicità o adeguatezza della valutazione di merito sono destinate all’inammissibilità. Per il condannato, ciò significa che la scelta di un’attività lavorativa compatibile con la misura è un presupposto essenziale per poter beneficiare di permessi di uscita.

È possibile ottenere un permesso per lavorare durante la detenzione domiciliare?
Sì, è possibile, ma la concessione dell’autorizzazione è subordinata a una valutazione discrezionale del Magistrato di Sorveglianza, che deve verificare la compatibilità dell’attività lavorativa con le esigenze di controllo della misura.

Perché il lavoro di addetto forestale è stato ritenuto incompatibile con la detenzione domiciliare in questo caso?
Perché, secondo il giudice, è un’attività svolta nei boschi, in luoghi spesso diversi e di difficile accesso, che non consente un’adeguata ed efficace vigilanza sul rispetto delle prescrizioni imposte al detenuto.

Si può fare ricorso in Cassazione contro il diniego di un permesso di lavoro da parte del Magistrato di Sorveglianza?
Sì, ma solo per “violazione di legge”. Non è possibile impugnare la decisione semplicemente criticando la valutazione dei fatti o la logicità della motivazione del giudice, in quanto queste rientrano nella sua discrezionalità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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