Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 27417 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 27417 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato in Marocco il 02/11/1977;
avverso la ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Bologna del 24/10/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Bologna respingeva le richieste di affidamento in prova e di detenzione domiciliare avanzate nell’interesse di NOME COGNOME detenuto presso la casa circondariale di Ferrara in espiazione della pena di cui al provvedimento di cumulo emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bologna in data 22 agosto 2022 (SIEP 792/2022).
Avverso tale ordinanza il condannato, per mezzo dell’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, di seguito riprodotto nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., insisten per il suo annullamento.
Il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 47 e 47-ter Ord. pen. ed il vizio di motivazione illogica e contraddittoria; egli osserva che il Tribunale di sorveglianza, dopo avere dato atto della ammissibilità delle richieste e del positivo andamento dell’attività di osservazione e trattamento in carcere, ha però respinto le richieste di misure alternative ritenendo, in modo contraddittorio, necessaria la prosecuzione della osservazione, avendo considerato anche non idonea la prospettiva lavorativa presso una cooperativa (nonostante altri condannati abbiano ottenuto misure alternative per lavorare presso la medesima) e dando rilievo al fatto che la detenzione domiciliare non poteva essere concessa in quanto essa sarebbe stata eseguitq, presso l’abitazione nella quale NOME COGNOME era stato arrestato per violazione della legge stupefacenti nel 2021. In questo modo, secondo il ricorrente, il Tribunale di sorveglianza ha omesso di considerare le positive risultanze del trattamento inframurario ponendo, invece, l’attenzione sui reati da lui commessi in passato e valutando in modo negativo l’opportunità lavorativa da lui prospettata a differenza di quanto avvenuto per altri detenuti che avevano indicato un lavoro presso la medesima cooperativa, incorrendo così in una ingiustificata disparità di valutazione tra situazioni analoghe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti appresso indicati.
2. Anzitutto, deve rammentarsi che, con la misura dell’affidamento in prova al servizio sociale, l’ordinamento ha inteso attuare una forma dell’esecuzione della pena esterna al carcere nei confronti di condannati per i quali, alla luce dell’osservazione della personalità e di altre acquisizioni ed elementi di conoscenza, sia possibile formulare una ragionevole prognosi di completo reinserimento sociale all’esito della misura alternativa. I criteri ed i mezzi di conoscenza utilizzabili da parte del Tribunale di sorveglianza per pervenire a tale positiva previsione sono indicati dalla dottrina e dalla giurisprudenza nel reato commesso, ineludibile punto di partenza, nei precedenti penali (Sez. 1, 04/03/1999, COGNOME, Rv 213062) nelle pendenze processuali (Sez. 1, cit.) nelle informazioni di polizia (Sez. 1, 11/03/1997, COGNOME, Rv. 207998) ma anche, ed in pari grado di rilievo prognostico, nella condotta carceraria e nei risultati dell’indagine socio-familiare operata dalle strutture di osservazione , —r – nód”9 che in queste ultime risultanze istruttorie si compendia una delle fondame tali finalità della espiazione della sanzione penale, il cui rilievo costituzionale non può in questa sede rimanere nell’ombra.
Certamente nel giudizio prognostico concernente la concessione della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale x devono essere valutati anche i procedimenti penali passati ed eventualmente pendenti a carico dell’interessato, al fine di pervenire ad una valutazione di fronteggiabilità della pericolosità sociale residua con gli strumenti dell’istituto indicato. Del resto, poiché non esiste una sorta di presunzione generale di affidabilità di ciascuno al servizio sociale, ma al contrario devono sussistere elementi positivi sulla base dei quali il giudice possa ragionevolmente “ritenere” che l’affidamento si riveli proficuo, appare evidente che – in relazione agli obbiettivi di rieducazione e di prevenzione propri dell’istituto – la reiezione dell’istanza di affidamento può considerarsi validamente motivata anche sulla sola base delle informazioni fornite dagli organi di polizia e dai servizi sociali, quando esse, lungi dal dimostrare elementi certi del genere anzidetto, pongano in luce, al contrario, la negativa personalità dell’istante (Sez. 1, 27/07/1992 n. 2762). In questo ambito, tuttavia, numerosi sono gli altri fattori da valutare per giungere al giudizio prognostico cui prima si è fatto cenno: l’assenza di nuove denunzie, il ripudio delle condotte devianti del passato, l’adesione alle ragioni più profonde di valori socialmente condivisi, l’attaccamento
al contesto familiare, la condotta di vita attuale, la congruità della condanna e l’eventuale buona prospettiva risocializzante.
Nel caso in esame l’ordinanza impugnata non ha basato la decisione di rigetta della richiesta di affidamento unicamente sulla gravità dell’ultimo reato commesso (detenzione di circa mezzo chilogrammo di cocaina) ed i precedenti specifici risultanti a carico del ricorrente, ma – con motivazione adeguata e non manifestamente illogica – ha preso in considerazione anche le risultanze dell’osservazione infrannuraria, dalla quale non è ancora dato apprezzare l’inizio di un serio processo di revisione critica ad opera del condannato il quale continua a giustificare le proprie condotte con i problemi di carattere economico che lo affliggevano all’epoca.
3.1. Inoltre, è stata evidenziata la non idoneità dell’attività lavorativa prospettata in considerazione delle irregolarità riscontrate rispetto alla datrice di lavoro e la presenza, presso di essa, di altri condannati sempre per reati in materia di stupefacenti.
3.2. Ne consegue che il ricorrente, pur lamentando l’erronea applicazione dell’art. 47 Ord. pen. e il vizio di motivazione, sollecita apprezzamenti di merito estranei al giudizio di legittimità, poiché vorrebbe pervenire a differente valutazione degli elementi processuali rispetto a quella coerentemente svolta dal giudice a quo per negare la più ampia fra le misure alternative alla detenzione.
Al contrario il ricorso è fondato rispetto alla richiesta di detenzione domiciliare che, come visto, è stata respinta dal Tribunale di sorveglianza di Bologna perché l’abitazione indicata dal condannato non poteva considerarsi idonea, trattandosi della medesima dove egli era stato arrestato perché trovato in possesso della sostanza stupefacente.
4.1. È pacifico, nell’esperienza giurisprudenziale, che l’ammissione alla detenzione domiciliare postula che sia accertata la concreta attitudine dell’istituto a contribuire da un canto, anche attraverso l’adozione di opportune prescrizioni, alla risocializzazione del condannato ed a prevenire, dall’altro, il pericolo di nuove manifestazioni criminali (Sez. 1, n. 14962 del 17/03/2009, Castiglione, Rv. 243745). Il fine rieducativo si attua, dunque, mediante una misura dal carattere marcatamente contenitivo, che si salda alla tendenziale sfiducia ordinamentale
sull’efficacia del trattamento penitenziario instaurato rispetto a pene di contenuta durata. Rientra, quindi, nella discrezionalità del giudice di merito l’apprezzamento in ordine all’idoneità o meno, ai fini della risocializzazione e della prevenzione della recidiva, delle misure alternative – alla cui base vi è la comune necessità di una prognosi positiva, frutto di un unitario accertamento (Sez. 1, n. 16442 del 10/02/2010, Pennacchio, Rv. 247235) – e l’eventuale scelta di quella ritenuta maggiormente congrua nel caso concreto. Le relative valutazioni non sono censurabili in sede di legittimità, se sorrette da motivazione adeguata e rispondente a canoni logici (Sez. 1, n. 652 del 10/02/1992, COGNOME, Rv. 189375), basata su esaustiva, ancorché se del caso sintetica, ricognizione degli incidenti elementi di giudizio.
4.2. Orbene, nel caso di specie, il Tribunale di sorveglianza – pur al cospetto di una pena detentiva la cui modesta entità residua avrebbe consigliato, in linea di principio, di evitare l’esecuzione in forma inframuraria – ha escluso la concedibilità della detenzione domiciliare sul solo rilievo che l’abitazione, dove l’odierno ricorrente aveva chiesto di eseguire detta misura alternativa, era la medesima nella quale era stato tratto in arresto alcuni anni fa.
Il ragionamento sotteso alla decisione appare non convincente e frutto di una illogica sopravvalutazione di un dato (quello connesso, appunto, alla precedente commissione del reato nella stessa abitazione) senza, invece, considerare altri elementi quali la entità della pena residua, la reale pericolosità sociale del detenuto ed il suo comportamento inframurario al fine di esprimere un compiuto giudizio sulla sussistenza e la pregnanza del rischio di recidiva, in ipotesi di concessione della più contenitiva misura prevista dall’art. 47-ter Ord. pen.
Le considerazioni che precedono impongono, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, limitatamente alla domanda di detenzione domiciliare, con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Bologna per un nuovo giudizio affinché – in piena autonomia decisionale – colmi le lacune motivazionali sopra indicate; il ricorso, invece, deve essere respinto nel resto.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla detenzione domiciliare con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Bologna. Rigetta nel res
il ricorso.
Così deciso in Roma, 1’11 luglio 2025.