Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 4994 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 4994 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato in ROMANIA il 21/3/1988
avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Venezia del 25/6/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 25.6.2024, la Corte d’Appello di Venezia ha rigettato, in funzione di giudice dell’esecuzione, una istanza, formul ata nell’interesse di NOME COGNOME di revoca dell’ordine di carcerazione per intervenuta espiazione all’estero della pena di un anno e quattro mesi di reclusione , inflitta al ricorrente con sentenza della Corte d’Appello di Venezia in data 27.3.2018 .
L’istanza si f ondava sulla circostanza che il condannato è sottoposto dal 20.1.2023 nel Regno Unito, in attesa dell’estradizione, alla misura dell’obbligo di detenzione domiciliare con braccialetto elettronico dalle ore 23:00 alle ore 3:00,
unitamente al l’obbligo di avere con sé il cellulare e di essere reperibile h. 24: tale misura, così congegnata, sarebbe equiparabile, ai fini del calcolo della pena già espiata ex art. 657 cod. proc. pen., al regime della detenzione domiciliare. In subordine, l’istanza chiede va anche la rinnovazione della not ifica dell’ordine di carcerazione.
La Corte d’Appello ha osservato che la misura applicata a Terinte è equiparabile nella legislazione italiana a quella, prevista d all’art. 283 cod. proc. pen., dell’obbligo di dimora aggravato dal divieto di uscita, che ne l caso di specie è di durata ridotta ed è fissato in un orario che non contrasta lo svolgimento di vita sociale e di attività lavorativa, sicché il ricorrente conserva piena libertà di movimento durante il giorno.
Quanto alla richiesta di rinnovazione del la notifica dell’ordine di esecuzione , eseguita nei confronti del solo difensore d’ufficio e non anche de ll’imputato dichiarato irreperibile, la C orte d’Appello ha rappresentato che il verbale di vane ricerche è stato redatto ritualmente, non essendovi alcun obbligo di ricercare il condannato all’estero senza una precisa indicazione di residenza e non potendosi ipotizzare astrattamente che sia detenuto in qualche stato estero.
Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore di NOME COGNOME articolando un unico motivo, con il quale deduce , ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 657 cod. proc. pen.
Lamenta, in particolare, che la Corte d’Appello non si sia confrontata (oltre che con il dato della durata della permanenza domiciliare) con il fatto che il ricorrente fosse obbligato al braccialetto elettronico, al possesso del cellulare e alla reperibilità ; di conseguenza, l’ordinanza impugnata non ha fatto applicazione del principio secondo cui l’obbligo di dimora, quando accompagnato da prescrizioni tali da renderlo assimilabile agli arresti domiciliari, è fungibile con la pena inflitta.
Quanto, poi, al decreto di irreperibilità, il ricorso censura che l’autorità procedente non abbia utilizzato la banca dati VIS (Sistema informativo Visti), che avrebbe consentito di individuare la residenza di Terinte nel Regno Unito. Segnala, altresì, che, al momento della sua iniziale identificazione da parte della polizia giudiziaria, il ricorrente aveva anche comunicato la propria utenza telefonica mobile. Le ricerche del condannato, pertanto, sono state incomplete e il decreto di irreperibilità deve essere considerato nullo.
Con requisitoria scritta in data 12.10.2024, il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato per le ragioni che saranno di seguito esposte.
Il provvedimento britannico, cui è sottoposto Terinte, è stato correttamente assimilato dalla Corte d’Appello di Venezia, tra le misure cautelari previste dal nostro ordinamento, a quella dell’obbligo di dim ora con prescrizioni, disciplinato dall’art. 283, com mi 2 e 4, cod. proc. pen.
Si tratta di una misura che, senza determinare uno stato detentivo vero e proprio, comporta alcune limitazioni della libertà di movimento e di circolazione del soggetto allo scopo di consentire, in una prospettiva di prevenzione, un controllo tendenzialmente costante sulla sua condotta. Tra le prescrizioni che possono essere imposte al destinatario della misura, rientra anche quella di non allontanarsi dalla propria abitazione in alcune ore del giorno.
A tal proposito, deve richiamarsi la costante giurisprudenza di legittimità secondo cui, ai fini della determinazione della pena detentiva da eseguire a seguito di condanna per un determinato reato, la misura cautelare dell’obbligo di dimora non è fungibile, ai sensi dell’art. 657 cod. proc. pen., con la pena inflitta, salvo che sia accompagnata dall’arbitraria imposizione all’imputato di obblighi tali da renderla assimilabile al regime degli arresti domiciliari (Sez. 1, n. 36231 del l’ 8/11/2016, dep. 2017, Rv. 271043 -01; Sez. 1, n. 3664 del 19/1/2012, Rv. 251861 -01).
In particolare, è stato condivisibilmente affermato che l’obbligo di permanenza domiciliare assume carattere di arbitrarietà se è imposto per un lasso temporale eccedente sia le specifiche esigenze cautelari, sia quello usualmente trascorso nella dimora per le ordinarie necessità di vita, riposo e cura della propria ed altrui persona (Sez. 1, n. 37302 del 9/9/2021, Rv. 281908 -01).
Se è così, deve effettivamente escludersi -come ha adeguatamente ritenuto la Corte d’Appello di Venezia che la prescrizione dell’obbligo per Terinte di non uscire dalla propria abitazione per sole quattro ore notturne fosse suscettibile di determinare l’equiparazione di fatto dell’obbligo di dimora alla detenzione domiciliare.
L’imposizione ha riguardato una circoscritta fascia oraria, che è comunemente riservata al riposo delle persone (e nella quale anche il normale svolgimento della vita sociale subisce una sostanziale interruzione): la limitazione è rimasta compresa entro una fisiologica soglia temporale in cui in genere si collocano le ordinarie occupazioni domestiche e ha determinato una restrizione spaziotemporale della libertà personale del soggetto che non ha oggettivamente travalicato le specifiche finalità preventive sottese alla misura.
Di conseguenza, nessuna violazione dell’art. 657 cod. proc. pen. è ravvisabile nell’ordinanza impugnata.
Il motivo di ricorso lamenta, in ogni caso, che, in sede di notifica al condannato dell’ordine di esecuzione della pena, il decreto di irreperibilità di NOME sia stato emesso senza che si sia proceduto anche alle sue ricerche all’estero.
Costituisce, a tal riguardo, principio giurisprudenziale consolidato quello secondo cui, ai fini della validità del decreto d’irreperibilità, la completezza delle ricerche va valutata con riferimento agli elementi, conosciuti o conoscibili, risultanti dagli atti al momento in cui vengono eseguite, senza che eventuali notizie successive possano avere incidenza “ex post” sulla legittimità della procedura (Sez. 3, n. 16708 del 16/2/2018, Rv. 272634 -01).
A questo proposito, risulta dagli atti che il ricorrente, in sede di prima identificazione da parte della polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 161 cod. proc. pen. in data 26.2.2013, aveva eletto domicilio nel territorio italiano ed era stato ritualmente avvisato dell’obbligo di comunicare ogni eventuale mutamento del domic ilio. Risulta, altresì, che egli fosse all’epoca anagraficamente residente in Italia, tanto è vero che venne identificato tramite carta di identità rilasciata nel 2012 dal comune di COGNOME
Invece, non risulta -né è stato altrimenti rappresentato nel ricorso -che successivamente, nel periodo intercorso tra la formale identificazione e l’emissione dell’ordine di esecuzione della pena, fossero stati portati a conoscenza dell’autorità procedente elementi indicativi del trasferimento del condannato all’estero .
Questo vuol dire che nessun obbligo di estendere le ricerche di Terinte all’estero (p eraltro, in un Paese diverso da quello di origine) sussisteva nel caso di specie e che, pertanto, le sue ricerche evidentemente eseguite sul territorio italiano (il cui effettivo svolgimento, infatti, non è contestato dal ricorrente) erano da considerarsi complete ai fini della valida emissione del decreto di irreperibilità.
Il ricorso, inoltre, lamenta che, nelle ricerche del condannato, non sia stato utilizzato il numero di telefono che nel 2013 Terinte aveva indicato alla polizia giudiziaria nel verbale di identificazione.
In questa parte, tuttavia, il motivo deve essere ritenuto non autosufficiente e non specifico, in quanto il ricorrente non ha adempiuto all’onere di indicazione e di allegazione degli atti da cui desumersi le concrete modalità con cui erano state effettuate le ricerche.
In tal modo, l’informazione che esso veicola, in assenza della indicazione della fonte da cui è stata tratta, rimane del tutto insuscettibile di valutazione, fin dalla verifica della sua stessa sussistenza storica.
Anzi, in uno degli atti allegati al ricorso, denominato ‘Adult Bail From’ del 20.1.2023, si può leggere -sia pure in inglese e sia pure in una parte, riservata alla indicazione delle condizioni da rispettare in relazione alla libertà su cauzione (‘bail granted’), che risulta poi cancellata -accanto alla dicitura ‘mobile’ un numero verosimilmente di telefono, che è comunque diverso da quello riportato nel verbale di identificazione del 2013.
Dunque, né con riferimento alla necessità di ricerche all’estero, né con riferimento al mancato impiego del numero di telefono nelle ricerche del condannato, sussistono motivi per ritenere fondata la parte del ricorso che contesta la nullità del decreto di irreperibilità.
Per tutto quanto fin qui osservato, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 6/11/2024