Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 11208 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 11208 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME VIVO NOME NOME a LIVORNO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 11/05/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATI -0
Con il provvedimento indicato nel preambolo il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato l’istanza, proposta dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME, volta ad ottenere la detenzione domiciliare ex artt. 47 -ter I. 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.) e 16-nonies d.l. 15 gennaio 1991, n. 8.
Avverso il provvedimento, COGNOME, a mezzo del difensore fiduciario, ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
2.1. Con il primo denunzia illogicità e contraddittorietà della motivazione.
Lamenta che il Tribunale di sorveglianza ha omesso di valutare le risultanze dell’istruttoria favorevoli allo scioglimento di una prognosi positiva ai fini dell concessione dell’invocato beneficio; in particolare la sua età avanzata e l’applicazione, protrattasi per sei anni, del regime deli arresti domiciliari senza violazione delle prescrizioni. Al contrario, ha enfatizzato dati irrilevanti, qual l’assenza di osservazione scientifica inframuraria ed il precedente penale riferito ad un fatto omicidiario avvenuto in epoca assai risalente e scoperto solo grazie alla sua confessione.
2.2. Con il secondo motivo deduce illogica e contraddittorietà della motivazione con riferimento al mancato riconoscimento del ravvedimento.
Il Tribunale si è limitato a ripetere di clausole di stile e. non ha attribuito adeguato rilievo all’assenza di rapporti disciplinari e all’impeccabile percorso collaborativo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
Va premesso che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, la normativa che prevede la concessione dei benefici penitenziari ai collaboratori di giustizia non può essere intesa nel senso che il legislatore abbia voluto eliminare tutti i requisiti richiesti dalla legge penitenziaria, obbligando i giudice ad accordarli solo in funzione di una collaborazione che ne abbia messo a repentaglio la sicurezza personale così da rendere necessario uno speciale programma di protezione; al contrario, fermi restando i limiti di pena previsti dall’art. 16-nonies d.l. n. 8 del 1991 (introdotto dalla legge 13 febbraio 2001, n. 45) e, in particolare, dal comma 4 di detto articolo con riguardo ai limiti temporali di minima detenzione in carcere, amplia, non limita o addirittura esclude la discrezionalità della magistratura di sorveglianza, concedendole, in presenza di un contributo di rilevante spessore dato alla giustizia, di superare i requisiti, formali e sostanziali, richiesti nei casi ordinari.
1.1. La giurisprudenza di legittimità, chiamata a circoscrivere l’ambito della verifica demandata alla magistratura di sorveglianza in vista dell’ammissione dei collaboratori di giustizia alle misure alterative, ha costantemente ritenuto che, pur non essendo necessario verificare la sussistenza delle condizioni indicate nell’art. 47-ter della legge 26 luglio 1975 n. 354, occorre, comunque, che il giudice verifichi l’opportunità della concessione del beneficio in relazione alla personalità del richiedente e alla finalità dell’istituto (Sez. 1, n. 36141 del 30106/2004, COGNOME, Rv. 229581). A tal fine, si è rilevato, in specie, che l’istituto discipliNOME dall’a 16-nonies dl. n. 8 del 1991 non è applicabile indiscriminatamente, giacché
presuppone l’espressione di un giudizio favorevole in ordine al ravvedimento del soggetto che si apre alla collaborazione con l’autorità giudiziaria, fondato sulla «condotta complessiva del collaboratore di giustizia » e sul convincimento che l’azione rieducativa svolta abbia avuto come risultato il compiuto ravvedimento, all’esito di una revisione critica della vita anteatta (Sez. 1, n. 9887 dell’01/02/2007, Pepe, Rv. 236548; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 43207 del 16/10/2012, COGNOME, Rv. 253833; Sez. 1, n. 3422 del 14/01/2009, COGNOME, Rv. 242559).
Il requisito del “ravvedimento” previsto dall’art. 16-nonies, comma 3, del d.l. n. 8/1991 non può, di conseguenza, essere oggetto di una sorta di presunzione, formulabile sulla «sola base dell’avvenuta collaborazione e dell’assenza di persistenti collegamenti del condanNOME con la criminalità organizzata, ma richiede «la presenza di ulteriori, specifici elementi, di qualsivoglia natura, che valgano a dimostrarne in positivo, sia pure in termini di mera, ragionevole probabilità, l’effettiva sussistenza» (cfr. Sez. 1, n. 43256 del 22/05/2018, Sarno, Rv. 274517; Sez. 1, n. 48891 del 30/10/2013, Marino, Rv. 257671).
La condotta collaborativa, anche se indicativa di una revisione critica, non deve, quindi, essere tenuta presente da sola, ma va sempre posta in relazione ad altri determinanti parametri, come la gravità dei reati in espiazione (Sez. 1, n. 1960 del 03/04/1998, COGNOME, Rv. 210421; Sez. 1, n. 8721 del 03/12/2003 dep. 2004, Garofalo, Rv. 228002), il percorso di ravvedimento compiuto e la fruizione di margini di libertà da cui possa desumersi un effettivo seppure iniziale reinserimento sociale.
Del resto, il Tribunale di sorveglianza non è vincolato al parere (obbligatorio) espresso dal Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo (Sez. 1, n. 40823 del 05/06/2013, Lombardi, Rv. 257532), ma, tenuto conto che detta autorità è chiamata a esprimere una valutazione motivata in ordine all’attualità dei collegamenti tra il condanNOME e la criminalità organizzata, non può apoditticamente tralasciarle e non considerarle, ferma restando la sua libertà di giudizio in merito alla concessione dei benefici penitenziari.
Conclusivamente, la facoltà di ammettere alle misure alternative i soggetti sottoposti a programma di protezione a norma della legge n. 32 del 1991, con le previste deroghe alle disposizioni ordinarie, non si estende ai presupposti relativi all’emenda di tali soggetti e alla finalità di conseguire la loro sl:abile rieducazione, per cui tali benefici postulano – fermo restando l’indefettibile accertamento delle condizioni soggettive di ammissibilità – che comunque si tratti di persone per le quali si riscontrino le premesse meritorie e l’applicabilità in concreto del beneficio, in relazione alla loro personalità, che consenta di escludere ragionevolmente la persistenza di un apprezzabile margine di pericolosità sociale e la conseguente
probabilità di reiterazione di comportamenti penalmente illeciti, affinché risultino assicurate le condizioni relative all’emenda del soggetto e alle finalità di conseguirne la stabile rieducazione (per tutte, Sez. 1, n. 35915 del 11/11/2014, dep. 2015, COGNOME, n. m.; Sez. 1, n. 5110 del 22/11/2011, dep. 2012, COGNOME, n. m.; Sez. 1, n. 5523 del 24/10/1996, COGNOME, Rv. 206185).
Ritiene il Collegio che, nel caso in esame, il Tribunale di sorveglianza in esame non si sia conformato ai richiamati canoni ermeneutici ed abbia, comunque, seguito un percorso motivazionale illogico.
Gli atti acquisiti a seguito della proposizione dell’istanza di ammissione alla detenzione domiciliare attestano concordemente che COGNOME ha avviato, sin dal 2018, un percorso di collaborazione con l’autorità giudiziaria e che ha sempre tenuto una condotta regolare. La Procura Nazionale Antimafia e quella distrettuale, dal canto loro, hanno espresso un giudizio ampiamente positivo in ordine alla collaborazione prestata, rivelatasi di grande utilità processuale.
Cionondimeno, il Tribunale di sorveglianza ha rigettato l’istanza di ammissione alla detenzione domiciliare ritenendo l’accesso al beneficio ancora prematuro in considerazione dell’elevata caratura criminale, desunta dai gravissimi precedenti a partire dagli anni ’70 e dal carico pendente per omicidio per il quale è ancora sottoposto a misura cautelare, nonché dalla probabile modifica in peius del fine pena a seguito dell’irrevocabilità della sentenza di condanna pronunciata in primo grado e dalla mancata “sperimentazione in aimbiente murario”.
Siffatta valutazione appare, come denunciato dal ricorrente, frutto di una parziale considerazione delle evidenze disponibili e, in particolare, ignora l’evoluzione della personalità del condanNOME, il quale, dopo la consumazione dei reati in epoca molto risalente, negli ultimi sei anni, oltre a fornire un contributo collaborativo significativo (che aveva tra l’altro consentito di esercitare nei suoi confronti l’azione penale per il reato di omicidio), senza mai sottrarsi agli obblighi processuali ed interrompendo ogni collegamento con l’ambiente della criminalità organizzata, è rimasto sottoposto ad una misura, gli arresti domiciliari, dal contenuto restrittivo identico a quella richiesta, la detenzione domiciliare, senza incorrere in alcuna violazione ed anzi tenendo una condotta definita dal SCT “sempre regolare”. Al cospetto, allora, di elementi indicativi di una revisione critica ampiamente consolidata, appare contraddittoria l’attestazione della carenza del requisito del ravvedimento e manifestamente illogica l’esaltazione della necessità di una verifica affidata alla sperimentazione muraria, considerata alla stregua di un indefettibile presupposto di accesso al beneficio.
I precedenti rilievi impongono, in definitiva, l’annullamento provvedimento impugNOME con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Roma in vista di un nuovo giudizio che, libero nell’esito, sia scevro dai vizi riscontrati.
P.Q.IM.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Roma.
Così deciso, in Roma 8 febbraio 2024.