Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 444 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 444 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Napoli il 07/07/1938
avverso l’ordinanza del 16/03/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 16 marzo 2023 il Tribunale di sorveglianza di Roma ha dichiarato inammissibile l’istanza di detenzione domiciliare speciale prevista per i condannati ultrasettantenni dall’art. 47, comma 01, ord. pen. e respinto le istanze di differimento facoltativo della pena e detenzione domiciliare in luogo del differimento facoltativo della pena per gravi ragioni di salute di cui all’art. 147 cod. pen. presentate dal condannato NOME COGNOME
Il condannato sta espiando la pena di 1.2 anni di reclusione per un omicidio volontario commesso il 30 aprile 2018 con fine pena fissato, allo stato, al settembre 2033.
Il Tribunale di sorveglianza ha dichiarato inammissibile l’istanza di detenzione domiciliare speciale per gli ultrasettantenni, in quanto il ricorrente è stato condannato per un reato di cui all’art. 4-bis ord. pen., ed ha respinto le istanze di differimento pena anche tramite detenzione domiciliare, perché il complessivo stato di salute del condannato non è compromesso da patologie invalidanti ed è adeguatamente monitorato e curato all’interno del carcere, aggiungendo che egli in caso di espiazione della pena in ambito domestico non potrebbe ricevere cure e trattamenti migliori; al tempo stesso la restrizione in ambito intramurario è, a giudizio del Tribunale, necessaria per contenere la pericolosità del condannato desumibile dal fatto che lo stesso ha commesso il delitto, realizzato colpendo la vittima con diverse coltellate all’addome, soltanto circa quattro anni prima quando aveva già compiuto 80 anni.
2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il condannato, per il tramite del difensore.
Con il primo motivo deduce erronea applicazione legge penale e vizio di motivazione della parte dell’ordinanza che dichiara inammissibile l’istanza di detenzione domiciliare speciale, in quanto, pur essendo incontestabile che la norma esclude i condannati per i reati dell’art. 4-bis ord. pen. dall’ammissione alla misura alternativa, la preclusione assoluta sarebbe venuta meno per effetto di recenti evoluzioni giurisprudenziali e normative che hanno interessato il nostro ordinamento, in particolare la Corte Costituzionale con sentenza 9 marzo 2021, n. 56, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui prevedeva una preclusione assoluta per coloro che fossero stati condannati con l’aggravante dell’art. 99 cod. pen., mentre con il d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199, è stato riformato l’accesso ai benefici penitenziari per i soggetti condannati per reati ostativi, ed anche tale circostanza imponeva al collegio il superamento del limite previsto dalla norma, verificandosi altrimenti il paradosso per cui lo stesso soggetto alla luce del titolo di reato potrebbe accedere a tutte le misure alternative previste dal capo VI tranne che a quella di cui al 47-ter, comma 01, ord. pen.
Con il secondo motivo deduce erronea applicazione legge penale e vizio di motivazione della parte dell’ordinanza che ha respinto l’istanza di differimento dell’esecuzione della pena , perché l’ordinanza esprime tra le righe giudizi sulle condotte oggetto del processo mentre avrebbe dovuto dar conto della situazione esistente al momento della decisione, e perché manca una valutazione delle criticità legate all’età del condannato, che sono incompatibili con le finalità rieducative della pena, e manca un rigoroso esame sulla compatibilità delle condizioni di salute del detenuto con le finalità rieducative della pena.
Con requisitoria scritta, il Procuratore Generale, dr.ssa NOME COGNOME ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
Il primo motivo, in cui si censura la dichiarazione di inammissibilità della istanza di detenzione domiciliare speciale per gli ultrasettantenni di cui all’art. 47ter, comma 01, ord. pen., è infondato.
L’ordinanza è, infatti, motivata con la esistenza di una preclusione alla misura alternativa determinata dal reato ostativo in espiazione.
Il ricorso attacca l’ordinanza impugnata sostenendo che la preclusione non è più assoluta dopo la pronuncia della Corte Costituzionale n. 56 del 2021.
L’argomento è infondato.
La sentenza n. 56 del 2021 citata non consente di trarre argomenti in favore della tesi del ricorrente, in quanto la stessa si è limitata a sottrarre alla preclusione l’ipotesi del soggetto che non “sia stato mai condannato con l’aggravante di cui all’articolo 99 del codice penale” perché, per il modo in cui è formulata la norma, “la disposizione censurata condiziona l’accesso alla detenzione domiciliare al presupposto che il soggetto non sia «mai» stato condannato con l’aggravante di cui all’art. 99 cod. pen., senza precisare – dunque – se l’aggravante debba essere stata applicata nella stessa sentenza di condanna attualmente in esecuzione, ovvero in altra sentenza già pronunciata nei suoi confronti in qualsiasi momento del passato. Una tale sentenza potrebbe essere stata pronunciata in un passato assai remoto; e il giudice della condanna della pena attualmente in esecuzione ben potrebbe avere escluso l’applicazione della recidiva, proprio in considerazione del carattere risalente dei precedenti reati commessi dal condannato, e dunque della loro irrilevanza ai fini di quel giudizio di accentuata pericolosità e colpevolezza che condiziona la stessa applicabilità dell’aggravante”.
Si tratta di considerazioni, sulla irrazionalità di una recidiva che potrebbe in astratto non giocare alcun ruolo nel giudizio di cognizione, tanto da essere esclusa, per assumere di nuovo rilievo nel regime di espiazione della pena, che non sono con evidenza estendibili al caso in esame, in cui la preclusione deriva dalla tipologia del reato in espiazione.
La sentenza n. 56 del 2021, d’altronde, evidenzia esplicitamente di pronunciarsi su un sistema di preclusione assoluta (“In presenza di una di tali cause ostative, il legislatore ritiene evidentemente che venga meno la prima delle
presunzioni poc’anzi evidenziate: quella, cioè, di attenuata pericolosità del condannato. Nonostante l’età avanzata, la tipologia del reato c:ommesso ovvero la peculiare storia criminale del reo dimostrerebbero – senza possibilità di prova contraria da parte del condannato – una sua persistente pericolosità sociale non neutralizzabile con la mera detenzione domiciliare; ciò che renderebbe senza alternative l’esecuzione intramuraria”) cui sottrae soltanto una delle ipotesi normativamente previste, lasciando intatta la parte residua della disposizione in esame, tra cui quella sui reati dell’art. 4-bis ord. pen. che riguarda l’odierno giudizio.
Va anche osservato che, con riferimento alla diversa misura alternativa dell’ammissione alla detenzione domiciliare ordinaria dell’art. 47-ter, comma 1bis, ord. pen., la questione di costituzionalità della norma per la preclusione all’accesso al beneficio per i condannati per reati ostativi di cui all’art. 4-bis ord pen., sollevata con ordinanza del 18 febbraio 2019 della Corte di Cassazione, è stata dichiarata non fondata con pronuncia della Corte Costituzionale 9 gennaio 2020, n. 50.
Il ricorso attacca ulteriormente l’ordinanza impugnata sostenendo che il superamento della preclusione assoluta dovrebbe essere ricavato interpretativamente anche dal d.l. n. 162 del 2022, che ha riformato l’accesso ai benefici penitenziari per i soggetti condannati per reati ostativi.
L’argomento, però, è sviluppato in ricorso in modo da non consentire di comprendere il percorso logico che ispira il ricorrente, che non cita nessuna disposizione in particolare di tale decreto, e non permette di comprendere in quale modo esso possa aver inciso sulla questione oggetto di questo giudizio.
Anche il secondo motivo, dedicato al rigetto dell’istanza di differimento dell’esecuzione della pena, è infondato.
Il ricorso attacca la decisione impugnata sostenendo che nella motivazione della ordinanza manca una concreta valutazione delle oggettive criticità legate all’età del condannato, e che già in sede processuale sarebbe stata affermata la attenuata pericolosità del soggetto.
L’argomento è infondato, perché l’ordinanza contiene una valutazione specifica della pericolosità del condannato, anche con riferimento alla sua età avanzata, nella parte in cui il Tribunale evidenzia che lo stesso ha commesso il reato di omicidio, perpetrato uccidendo con diverse coltellate una persona sensibilmente più giovane di lui, quando aveva già compiuto 80 anni.
Il ricorso attacca la motivazione dell’ordinanza impugnata anche deducendo che il Tribunale si sarebbe fermato alla pericolosità del condannato al momento del processo, ma non ha effettuato la valutazione della pericolosità attuale.
L’argomento è infondato, perché, in realtà, nel decidere sul differimento della pena ex art. 147 cod. pen., il Tribunale di sorveglianza deve effettuare un bilanciamento tra l’interesse del condannato ad essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività a che una persona giudicata responsabile di reati sconti la propria pena (Sez. 1, Sentenza n. 2337 del 13/11/2020, dep. 2021, PG in proc. COGNOME, Rv. 280352; Sez. 1, n. 789 del 18/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258406; Sez. 1, n. 972 del 14/10/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251674), e nel caso in esame l’ordinanza impugnata contiene sia la valutazione delle patologie di cui soffre il condannato e della loro compatibilità con il carcere che il giudizio sulla pericolosità attuale del condannato, che desume anche dal comportamento che lo ha portato ad essere in espiazione, e le considerazioni di carattere generale contenute in ricorso sulla necessità di un giudizio “specifico e rigoroso” non riescono a far emergere profili di illogicità della decisione.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 29 novembre 2023.