Detenzione di Stupefacenti: Quando gli Indizi Rendono il Ricorso Inammissibile
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito i criteri di valutazione per la detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio, chiarendo quando un ricorso proposto contro una sentenza di condanna debba essere considerato inammissibile. Questa decisione offre spunti fondamentali sugli elementi probatori che, nel loro insieme, possono costruire un quadro accusatorio solido e difficilmente contestabile in sede di legittimità.
I Fatti del Caso
Il caso analizzato riguarda un individuo condannato dalla Corte di Appello per detenzione di sostanze stupefacenti. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su due motivi principali: l’insussistenza della finalità di spaccio e la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del codice penale. Tuttavia, gli elementi raccolti durante le indagini e valorizzati dai giudici di merito dipingevano un quadro indiziario molto chiaro. Tra questi, spiccavano il considerevole quantitativo della sostanza, le specifiche modalità di confezionamento in dosi, l’occultamento in un’autovettura a noleggio, e il rinvenimento di manoscritti interpretati come un registro contabile dei clienti. A completare il quadro, durante un controllo, l’imputato possedeva uno smartphone che riceveva incessantemente chiamate da vari numeri, ma si rifiutava di sbloccarlo.
L’analisi della Corte sulla detenzione di stupefacenti
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, smontando entrambi i motivi di impugnazione. La decisione si fonda sulla corretta applicazione dei principi che regolano il giudizio di legittimità, il quale non può trasformarsi in una nuova valutazione dei fatti, ma deve limitarsi a un controllo sulla corretta applicazione della legge.
Il Primo Motivo: la Finalità di Spaccio
Il primo motivo è stato giudicato ‘aspecifico’. La Corte di Cassazione ha sottolineato come la Corte d’Appello avesse fornito una motivazione congrua e logica per affermare la responsabilità penale e la finalità di spaccio. I giudici di merito avevano correttamente valorizzato una pluralità di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti:
* Il dato ponderale: la quantità della sostanza era tale da superare le soglie di un uso meramente personale.
* Le modalità di confezionamento: la suddivisione in tredici dosi era chiaramente indicativa di una destinazione alla vendita.
* L’occultamento: nascondere la sostanza in un’auto a noleggio è un comportamento tipico di chi vuole eludere i controlli.
* I manoscritti: la presenza di nomi affiancati da numeri è stata interpretata, verosimilmente, come una lista di clienti e quantità richieste.
* Il cellulare: le continue chiamate ricevute e il rifiuto di sbloccare il dispositivo sono stati visti come ulteriori prove di un’attività illecita in corso.
Di fronte a una motivazione così dettagliata, il ricorso non poteva limitarsi a una generica contestazione, ma avrebbe dovuto individuare vizi logici o giuridici specifici, cosa che non è avvenuta.
Il Secondo Motivo: la Particolare Tenuità del Fatto
Anche il secondo motivo, relativo all’art. 131-bis c.p., è stato respinto. La Corte ha osservato che si trattava di una mera riproposizione di censure già esaminate e rigettate dal giudice di merito. La Corte d’Appello aveva infatti escluso l’applicazione della causa di non punibilità tenendo conto della biografia penale dell’imputato e della natura, seppur rudimentale, organizzata dell’attività di spaccio. Pertanto, il motivo del ricorso era privo di novità e non idoneo a scalfire la correttezza della decisione impugnata.
Le Motivazioni della Decisione
La ragione fondamentale dell’inammissibilità risiede nella natura stessa del giudizio di Cassazione. Questo non è un terzo grado di giudizio nel merito, ma un controllo di legittimità. Se la sentenza impugnata presenta una motivazione logica, coerente e basata su un’analisi completa degli elementi probatori, il ricorso che si limita a offrire una diversa lettura dei fatti, senza evidenziare un errore di diritto o un vizio manifesto di motivazione, è destinato all’inammissibilità. In questo caso, la Corte d’Appello aveva costruito un ragionamento inattaccabile, basato sulla convergenza di molteplici indizi che, letti congiuntamente, non lasciavano dubbi sulla finalità di spaccio della detenzione.
Conclusioni
Questa ordinanza conferma un principio cardine: per contestare efficacemente una condanna per detenzione di stupefacenti in Cassazione, non è sufficiente negare l’intento di spacciare o riproporre argomenti già vagliati. È necessario, invece, dimostrare che la valutazione dei giudici di merito è stata viziata da un errore giuridico o da una palese illogicità. Quando un insieme di indizi, come il quantitativo, il confezionamento, agende e telefoni ‘caldi’, punta univocamente verso l’attività di spaccio, la strada del ricorso diventa estremamente impervia e rischia di concludersi con una dichiarazione di inammissibilità e un’ulteriore condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano considerati aspecifici e meramente riproduttivi di censure già correttamente esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, la cui motivazione era logica e congrua.
Quali elementi sono stati considerati decisivi per provare la finalità di spaccio?
La finalità di spaccio è stata desunta da un insieme di prove convergenti: la quantità della sostanza, il suo confezionamento in dosi, l’occultamento in un’auto a noleggio, il ritrovamento di manoscritti con nomi e cifre, e un cellulare che riceveva continue chiamate e che l’imputato si è rifiutato di sbloccare.
Per quale motivo non è stata applicata la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.)?
La Corte ha ritenuto di non applicare tale causa di non punibilità basandosi sulla valutazione già effettuata dal giudice di merito, che aveva tenuto conto della biografia penale dell’imputato e della, seppur rudimentale, organizzazione della sua attività illecita.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4019 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4019 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 25/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ROMA il 11/10/1987
avverso la sentenza del 09/02/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata;
esaminati i motivi di ricorso.
Il ricorso è inammissibile, in quanto tutti i motivi di ricorso non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità.
Il primo motivo – avente ad oggetto la penale responsabilità e, in particolate, l’assenza di finalità allo spaccio della detenzione di stupefacente – è aspecifico, a fronte di una congrua motivazione fornita, sul punto dalla Corte di appello (pag. 3, nella parte in cui si valorizza il dato ponderale della sostanza, le modalità di confezionamento della stessa, nonché quelle del suo occultamento, il rinvenimento di alcuni manoscritti – dove venivano riportati in modo chiaro una serie di nomi affiancati da un numero indicante verosimilmente i grammi richiesti dal cliente -, l’impiego di un’autovettura noleggiata all’interno della quale erano occultate tredici dosi di sostanza stupefacente, il rinvenimento di un Apple iPhone che, durante il controllo continuava a ricevere chiamate da numeri vari e che il prevenuto rifiutava di sbloccare).
Il secondo motivo, relativo al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. è meramente riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito (si veda pag. 3, nella parte in cui si fa riferimento alla biografia penale dell’imputato e alla, seppur rudimentale, organizzazione della attività dell’imputato).
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 25/10/2024.