Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 461 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 461 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 29/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato a Barcellona Pozzo di Gotto il 22/5/2001
avverso la sentenza n. 2121/2022, emessa dalla Corte di appello di Messina il 17/4/2023
Visti gli atti, la sentenza e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME COGNOME udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso; udito l’avv. NOME COGNOME difensore del ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 17 aprile 2023 la Corte d’appello di Messina ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto il 6
ottobre 2022, con cui NOME COGNOME è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all’art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309/90.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, che ha dedotto i seguenti motivi:
2.1. violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90. Richiamati i principi enunciati da questa Corte in tema di valutazione degli indizi e della regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio, il ricorrente ha lamentato che sarebbe assertiva la motivazione posta a sostegno dell’affermazione della sua responsabilità penale e la Corte territoriale non avrebbe considerato che la sostanza stupefacente, rinvenuta nell’abitazione, sarebbe stata di qualità diversa da quella rinvenuta e sequestrata nel sottoscala, sul cui involucro non sarebbero state rinvenute tracce papillari dello stesso ricorrente. Anche il foglietto manoscritto con indicazioni di nominativi e cifre, rinvenuto, peraltro, nella borsa della sorella, non risulterebbe redatto con grafia riconducibile al ricorrente;
2.2. violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90: l’accertata condizione tossicomanic:a del ricorrente avrebbe consentito di ritenere che almeno una parte della sostanza, rinvenuta e sequestrata, fosse destinata al suo uso personale; le complessive circostanze dell’azione avrebbero permesso, inoltre, di qualificare la condotta ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. citato;
2.3. motivazione illogica e contraddittoria in ordine alla determinazione della pena e al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. La Corte di appello non avrebbe considerato il tempo trascorso dalla commissione del fatto e il comportamento successivo dell’imputato;
2.4. violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla mancata restituzione delle somme in sequestro. Premesso che in caso di condanna per il delitto di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/90 può costituire oggetto di confisca ex art. 240 cod. pen. solo la somma di denaro che il giudice accerti essere stata ricavata dalla cessione della sostanza stupefacente, nel caso in esame, il mero riferimento alla mancanza di un’attività lavorativa non sarebbe sufficiente a ritenere provato l’indefettibile collegamento tra la detenzione della sostanza e il denaro rinvenuto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Quanto al primo e al secondo motivo del ricorso deve osservarsi che il ricorrente ha reiterato censure già sollevate con l’atto di appello e
adeguatamente disattese dalla Corte territoriale, che ha affermato che la riconducibilità all’imputato della sostanza stupefacente, occultata nel vano sottoscala, si desumeva chiaramente anzitutto dalla circostanza che, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, la stessa era della stessa tipologia e qualità di quella rinvenuta all’interno della camera da letto, rivelatas marijuana all’esito degli accertamenti, eseguiti dagli operanti.
Deponevano per l’attività di spaccio, svolta dall’imputato, anche la somma di denaro, incompatibile con la capacità reddituale dell’imputato, il quale non risultava avere mai svolto attività lavorativa e nulla aveva dedotto in ordine alla lecita provenienza della stessa, nonché la rudimentale attività di contabilità, costituita da fogli manoscritti con indicazione di cifre e nomi, custoditi all’intern della borsa della sorella, rinvenuta all’interno della medesima abitazione.
A fronte di siffatte argomentazioni le censure del ricorrente, per un verso, non si confrontano con la motivazione svolta dai Giudici della cognizione e, dunque, omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la pronuncia oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710 – 01; Sez. 6, n. 20377 dell’11/3/2009, COGNOME e altri, Rv. 243838 – 01); per altro verso, sono volte a sollecitare una rilettura delle emergenze processuali, non consentita in questa sede (ex plurimis: Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, COGNOME, Rv. 226074 01; Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Chen, Rv. 284556 01).
2.1. Nessun vizio inficia la sentenza impugnata nemmeno nella parte in cui ha escluso la qualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90.
Per consolidata giurisprudenza, il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90 può essere riconosciuto in ipotesi dli minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altr parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici, previsti dalla legge, risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911 01; Sez. U, n.17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216668 – 01).
I principi, espressi a più riprese dalle Sezioni unite, forniscono, quindi, un parametro interpretativo univoco nel senso che, nella valutazione della tenuità del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90 non può assumere, di norma, valenza esclusiva e assorbente il dato quantitativo, né quello qualitativo con riferimento alla diversità delle sostanze, oggetto di cessione. La valutazione del fatto deve guardare alla complessità dello stesso, valorizzando – in senso positivo o negativo – tutti gli elementi che contraddistinguono quella determinata
condotta. Tale criterio di giudizio può subire una flessione solo nel caso in cui il dato ponderale sia di per sé talmente rilevante da determinare l’assorbimento dei restanti aspetti della condotta.
Alla luce di siffatte coordinate ermeneutiche deve rilevarsi che la Corte territoriale, nell’escludere l’ipotesi tenue del comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 309/1990, ha evidenziato che le emergenze processuali consentivano di inquadrare l’illecita detenzione di un significativo quantitativo di droga leggera nel contesto di una pregressa, più ampia, attività di spaccio,, sistematicamente posta in essere dall’imputato, come si desumeva dalla disponibilità da parte sua di una cospicua somma di denaro contante e dalla tenuta di una rudimentale contabilità, con l’annotazione su fogli manoscritti di molteplici nominativi, cui erano abbinate cifre evidentemente corrispondenti alle somme pagate o ancora dovute dai cessionari.
Avendo valorizzato sia il quantitativo della sostanza stupefacente sia l’inserimento dell’attività in una più ampia attività di spaccio, il Colleg territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati da questa Corte.
Anche il motivo relativo al trattamento sanzionatorio non coglie nel segno.
Il Collegio di appello ha negato le attenuanti generiche, in ragione delle connotazioni non modeste del fatto, consistito nella detenzione di un significativo quantitativo di stupefacente, che si inquadrava nel contesto di una non episodica attività di spaccio.
In tal modo il menzionata Collegio si è correttamente conformato al consolidato orientamento di legittimità, per il quale, al fine di ritenere escludere la configurabilità delle attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio: anche un solo elemento, attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso, può, pertanto, risultare all’uopo sufficiente (così, ex multis, Sez. 2, n. 23903 del 15/7/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02; Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, COGNOME e altri, Rv. 249163 01).
La Corte di appello, inoltre, con motivazione esente da vizi e, quindi, insindacabile in questa sede, ha ritenuto che la pena inflitta in primo grado, pur lievemente superiore al minimo edittale, fosse conforme ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen., avuto riguardo alla sistematica dedizione ad attività di spaccio, attestata dalle emergenze processuali.
Scevra da vizi è anche la motivazione in ordine alla disposta confisca.
La Corte di appello ha premesso che in relazione al reato di detenzione di sostanza stupefacente può procedersi alla confisca del denaro, trovato in possesso dell’imputato, soltanto quando non si tratti di ipotesi di lieve entità di cui al comma V del d.P.R. n. 309/90 e ricorrano le condizioni per la confisca prevista dall’art. 240 bis cod. pen., applicabile in forza del rinvio ad esso operato dall’art. 85 bis d.P.R. n. 309/90.
Siffatte condizioni ricorrevano nel caso in esame, in cui la consistente somma di denaro, rinvenuta nell’esclusiva disponibilità dell’imputato, risultava assolutamente sproporzionata rispetto all’inesistente capacità reddituale dello stesso, che non risultava avere mai svolto attività lavorativa e che nulla aveva dedotto per giustificarne la provenienza.
La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) – al versamento della sanzione pecuniaria, equitativamente determinata in euro 3.000,00, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, udienza del 29 settembre 2023 Il Consigliere estensore COGNOME Il Prè.idente