Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35672 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35672 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a COMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/01/2024 della CORTE APPELLO di SALERNO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del difensore di fiducia, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo violazione di legge e/o vizio motivazionale in relazione all’affermazione di responsabilità (essendo stata la sostanza stupefacente detenuta all’interno dell’abitazione in cui la stessa viveva con il compagno ed essendo stata la perquisizione domiciliare svolta su input della DDA di Potenza nell’ambito di un’indagine in corso proprio a carico del compagno ed assumendosi che non sia stato dato conto di alcun contributo concorsuale della ricorrente all’attività di spaccio) ed in relazione all’eccessività della pena.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata,
I motivi sopra richiamati sono manifestamente infondati, in quanto assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi.
Gli stessi, in particolare, non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito, non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata e sono privi della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricor e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione)
2.1. Quanto al motivo, in punto di responsabilità, lo stesso pare volto a prefigurare una rivalutazione o e/o alternativa rilettura delle fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimità e avulse da una pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito.
La Corte territoriale ha dato conto di come non vi siano dubbi in merito al fatto che la COGNOME debba rispondere della detenzione illecita dell’hashish caduto in sequestro, avendone ella stessa consegnato agli operanti una parte, assieme ad uno dei due bilancini utilizzati per il confezionamento delle dosi, nelle fasi preliminari dell’attività di perquisizione.
E’ stato, dunque, logicamente ritenuto evidente che la donna, indipendentemente dalla condizione di incensuratezza e della serenità rimarcata dalla Difesa, era ben consapevole della presenza dell’hashish e degl strumenti di confezionamento delle dosi nella sua abitazione, che ella stessa custodiva, visto che lo consegnava agli operanti prima ancora che iniziassero le operazioni di perquisizione.
L’ipotesi che la COGNOME fosse mera connivente del compagno per i giudici del gravame del merito non trova nessun appiglio negli atti processuali, non essendo stata addotta neppure dalla diretta interessata. Al contrario, il fatto che in assenza del compagno, la donna si relazionò direttamente con gli operanti, consegnando loro droga e bilancino, è stata logicamente ritenuta indicativa della compartecipazione nell’attività illecita che si vorrebbe ascrivere al predetto in via esclu siva. Altrettanto certo è che detta sostanza fosse destinata al consumo di terzi, sia per la contestuale detenzione di bilancini di precisione e di un manoscritto sul quale erano annotati dati indicativi dell’attività di spaccio (nominativi, numeri di telefon somme di denaro e quant’altro) sia per il dato ponderale, che avrebbe consentito di ricavarne ben 574 dosi, di per sé assolutamente incompatibile con la destinazione all’uso esclusivamente personale della stessa COGNOME e del suo convivente, anch’esso neppure addotto dalla diretta interessata.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia i ricorrenti chiedono una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto.
2.2. La motivazione in punto di dosimetria della pena nel provvedimento impugnato è logica, coerente e corretta in punto di diritto (sull’onere motivazionale del giudice in ordine alla determinazione della pena cfr. Sez. 3, n. 29968 del 22/2/2019, COGNOME, Rv. 276288-01; Sez. 2, n. 36104 del 27/4/2017, COGNOME, Rv. 271243).
I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto di avere valutato che il giudice di primo grado ha già riconosciuto alla prevenuta un trattamento a dir poco benevolo, avendo qualificato la condotta detentiva di ben 574 dosi di sostanza ai sensi del comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 309/90, ed ulteriormente temperando la sanzione con la concessione delle attenuanti generiche.
Vero è che la sanzione irrogata si discosta dal minimo edittale, ma lo scostamento è giustificato per i giudici di appello proprio dal dato ponderale, che ben avrebbe potuto giustificare un più gravoso inquadramento giuridico rispetto a quello accordato dal primo giudice, tanto più che il rinvenimento del manoscritto con annotazioni di quantitativi, somme di denaro e nommativi rimanda ad un’attività di spaccio tutt’altro che occasionale e circoscritta.
Pienamente motivato, dunque, è l’aver ritenuto che non vi fosse alcuno spazio per l’ulteriore riduzione della pena, peraltro parametrata sul valore medio tra il minimo ed il massimo edittale fissato dall’art. 73 comma 5 d.P.R. 309/90.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 17/09/2024