Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 14791 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14791 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/02/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 325/2025
NOME COGNOME
NOME COGNOME
UP – 21/02/2025
R.G.N. 35157/2024
Relatore –
NOME COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME nato in Finlandia il 03/09/1959
avverso la sentenza del 14/05/2024 della Corte d’appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni, per il ricorrente, degli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 14 maggio 2024, la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Firenze del 21 dicembre 2022 che, a seguito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato la penale responsabilità di NOME per il reato di illecita detenzione di sostanza stupefacente, e lo aveva condannato alla pena di due anni e quattro mesi di reclusione e 6.000,00 euro di multa, applicata la diminuente per il rito.
Precisamente, secondo i giudici di merito, NOME COGNOME sarebbe responsabile del reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, per aver illecitamente importato, ricevuto e detenuto un pacco proveniente dall’Olanda contenente sostanza stupefacente del tipo GBL (per complessivi 615 grammi, da cui sono ricavabili 1025 dosi), il 27 giugno 2022.
Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe NOME COGNOME con atto sottoscritto dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME articolando tre motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 143 cod. proc. pen., 111, terzo comma, Cost., 6, par. 3, CEDU, e 178, comma 1, lett. c) , cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., avuto riguardo alla mancata traduzione della sentenza in lingua inglese.
Si deduce che la mancata traduzione della sentenza in lingua inglese ha comportato la violazione del diritto riconosciuto all ‘imputa to alloglotto dagli artt. 6, par. 3, CEDU, e 111, terzo comma, Cost. nonché dai vari interventi legislativi di recepimento delle Direttive 2012/13 e 2010/64 UE. Si precisa come, alla luce del principio di diritto espresso da Sez. U, n. 15069 del 26/10/2023, dep. 2024, la mancanza di tale adempimento integra una nullità a regime intermedio ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c) , cod. proc. pen. Si aggiunge, altresì, che la traduzione della sentenza costituisce un onere a carico dell’ufficio giudiziario, per il sorgere non è necessaria alcuna sollecitazione da parte dell’imputato.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia vizio di motivazione e travisamento della prova, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., avuto riguardo alla prova dell’esistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Si deduce che i giudici di merito, nell’ affermare la destinazione della sostanza al consumo di terzi, sono incorsi in vizio di motivazione, in quanto il loro convincimento si è fondato esclusivamente su mere supposizioni di comportamenti futuribili, e ricollegabili alla ‘natura’ della sostanza, senza, invece, far riferimento ad elementi probatori esistenti ed acquisiti al processo. Si precisa come, alla luce degli atti, non risulta comprovata alcuna cessione a terzi ma esclusivamente la detenzione della sostanza, tra l’altro acquistata sul web da un Paese dell’Unione Europea con propria carta di credito e a proprio nome, e si osserva che anche tale circostanza avrebbe dovuto condurre i giudici a inquadrare correttamente la fattispecie nell’ipotesi di cui all’art. 75 d.P.R. n. 309 del 1990. Si aggiunge, inoltre, che anche il richiamo al dato ponderale della sostanza non risulta conferente, in quando è da spiegare alla luce della modalità di vendita della sostanza.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., avendo riguardo al mancato
riconoscimento dell’ipotesi di uso personale della sostanza, alla mancata concessione delle attenuanti generiche e dei doppi benefici di legge.
Si deduce, anzitutto, che la sentenza impugnata, nell’escludere il possibile uso personale della sostanza, è incorsa in vizio di motivazione, basando il proprio convincimento esclusivamente sulla quantità della sostanza.
Si deduce, inoltre, che la sentenza impugnata avrebbe dovuto valutare positivamente, al fine di concedere le circostanze attenuanti generiche, e comunque di determinare la pena in misura più mite, la completa assenza di elementi da cui desumere l’uso della sostanza in contesti plurisoggettivi e con ulteriori scopi illeciti e violenti. Si aggiunge, altresì, che un riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e un più mite trattamento sanzionatorio consentire l’ applicazione della sospensione condizionale della pena e dell’ulteriore beneficio della non menzione, considerata anche l’incensuratezza dell’imputato.
Il ricorrente NOME COGNOME con atto sottoscritto dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ha depositato un motivo nuovo, in data 5 febbraio 2025, a sostegno delle censure enunciate nel primo motivo del ricorso, evidenziando come la comunicazione della effettuazione della traduzione della sentenza in lingua inglese è stata comunicata ai difensori solo il medesimo 5 febbraio 2025.
Successivamente alla presentazione della requisitoria scritta del Procuratore generale della Corte di cassazione, che conclude per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, il ricorrente ha depositato memoria, sottoscritta dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME nella quale si ripropongono e si sviluppano le censure formulate nell’atto di impugnazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito precisate.
Prive di specificità sono le censure esposte nel primo motivo, le quali contestano la nullità della sentenza impugnata, per la mancata traduzione della stessa nella lingua a conoscenza dell’imputato, essendo questi alloglotto.
2.1. Deve osservarsi che, anche a ritenere configurabile la nullità quale conseguenza dell’omessa traduzione della sentenza di appello in una lingua a conoscenza dell’imputato alloglotto, perché questa invalidità possa essere fatta valere, è comunque necessario che l’impugnante indichi l’esistenza di un concreto pregiudizio derivante dall’omessa traduzione.
In questo senso si è già pronunciata la giurisprudenza di legittimità.
Invero, si è espressamente affermato che l’imputato alloglotto il quale si dolga dell’omessa traduzione della sentenza ha l’onere, in coerenza con la natura generale a regime intermedio della nullità che nella specie viene in rilievo, di indicare l’esistenza di un interesse a ricorrere concreto, attuale e verificabile, non essendo sufficiente la mera allegazione di un pregiudizio astratto o potenziale (così Sez. 1, n. 44251 del 16/10/2024, COGNOME Rv. 287282 -01, relativamente a ricorso per cassazione ritualmente presentato dal difensore di fiducia di imputato alloglotto, ritenuto inammissibile con riguardo al motivo con il quale si deduceva l’omessa traduzione della sentenza di appello, non avendo il ricorrente dimostrato se e in che misura la mancata tempestiva conoscenza personale della sentenza impugnata aveva influito sulle sue strategie difensive).
Il principio appena richiamato, inoltre, recepisce quanto puntualmente indicato dalle Sezioni Unite con riguardo ai provvedimenti cautelari. Precisamente, Sez. U, n. 15069 del 26/10/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286356, in motivazione, al § 7, ha precisato che il soggetto alloglotto il quale lamenta la violazione dele sue prerogative difensive, per effetto della mancata traduzione del provvedimento restrittivo, «non può semplicemente limitarsi a dolersi dell’omissione ma, in coerenza con la natura generale a regime intermedio delle nullità, che, nella specie, vengono in rilievo, ha l’onere di indicare l’esistenza di un interesse a ricorrere, concreto, attuale e verificabile, non rilevando, in tal senso, la mera allegazione di un pregiudizio astratto o potenziale». Ed ha aggiunto: «L’interesse a dedurre una tale patologia processuale, infatti, sussiste soltanto se ed in quanto il soggetto allotta abbia allegato di avere subito, in conseguenza dell’ordinanza non tradotta, un pregiudizio illegittimo. Si tratta, a ben vedere, di una conclusione imposta dalla giurisprudenza consolidata in tema di interesse a impugnare, risalente a Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251693 -01, secondo cui tale nozione deve essere ricostruita ‘ in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un’utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo ‘».
2.2. Nella specie, il ricorso si limita a denunciare la mancata traduzione della sentenza impugnata, ma non precisa quale pregiudizio avrebbe subito l ‘imputato a causa di tale omissione.
Si può aggiungere che, nella specie, il ricorso per cassazione è stato tempestivamente proposto da entrambi i difensori di fiducia nominati dall’imputato, e che nessuna specificazione in ordine al pregiudizio subito è stata
fornita non solo nel ricorso, ma neppure nei motivi aggiunti e nella memoria presentata dopo il deposito della requisitoria del Procuratore generale.
Manifestamente infondate sono le censure formulate nel secondo e nella prima parte del terzo motivo, le quali contestano l ‘affermazione della illiceità della detenzione della sostanza stupefacente, deducendo che non può porsi a base del giudizio esclusivamente la quantità di droga a disposizione dell’imputato, che non è stata provata alcuna cessione a terzi, e che erroneamente sono state ritenute irrilevanti le modalità ‘tracciabili’ dell’acquisto, effettuato attraverso internet e mediante carta di credito intestata all’imputato.
3.1. Ai fini della affermazione della illiceità della detenzione della sostanza stupefacente, la giurisprudenza di legittimità offre indicazioni di carattere generale, rimettendone al giudice di merito la specificazione in relazione alle singole regiudicande.
In particolare, si è osservato che, in tema di stupefacenti, la prova della destinazione della sostanza ad uso personale, come quella della sua destinazione allo spaccio, può essere desunta da qualsiasi elemento o dato indiziario che, con rigore, univocità e certezza, consenta di inferirne la sussistenza attraverso un procedimento logico adeguatamente fondato su corrette massime di esperienza (così Sez. 3, n. 24651 del 22/02/2023, COGNOME, Rv. 284842 -01, e Sez. 4, n. 4614 del 13/05/1997, COGNOME, Rv. 207485 -01).
E si è precisato che la valutazione del giudice di merito che affermi, neghi o esprima un dubbio sulla finalità di cessione a terzi della detenzione di sostanze stupefacenti è un giudizio di mero fatto che, come tale, si sottrae al sindacato di legittimità se sorretto da motivazione immune dal vizio di manifesta illogicità, risultante dallo stesso testo della sentenza (cfr. Sez. 3, n. 24651 del 22/02/2023, COGNOME, Rv. 284842 -02, e Sez. 4, n. 2522 del 26/01/1996, COGNOME, Rv, 204957 -01).
3.2. La sentenza impugnata ha confermato la dichiarazione di responsabilità penale dell’imputato sulla base di una approfondita analisi degli elementi istruttori acquisiti e delle argomentazioni della difesa.
La Corte d’appello ha in primo luogo valorizzato il quantitativo della sostanza stupefacente sequestrata il 27 giugno 2022, del tipo GBL, c.d. ‘droga dello stupro’, siccome pari a 615 grammi di principio attivo, da cui erano ricavabili 1.025 dosi; per la precisione, la sostanza è stata rinvenuta all’interno di due flaconi contenuti in un pacco che l’imputato aveva appena ritirato presso la sede del corriere Bertolini, e che proveniva dai Paesi Bassi.
Il Giudice del gravame ha poi osservato che la quantità di droga detenuta era incompatibile sia con l’uso lecito prospettato dall’imputato, sia con l’ipotesi di uso personale. In particolare, ha escluso la credibilità della prospettazione
dell’imputato, il quale ha dichiarato di aver ordinato il prodotto al fine di utilizzarlo per pulire il muro e le piastrelle di casa, la terrazza, nonché l’ automobile, sia perché l’analogo prodotto industriale usato come sverniciatore si vende in taniche da 25 litri, mentre nella specie era stato acquistato un quantitativo di solo ½ litro, sia perché il quantitativo acquistato era del tutto insufficiente per l’uso intensivo indicato, anche a voler considerare le disponibilità derivanti dai due precedenti rifornimenti, effettuati dall’imputato il 31 maggio 2021 e il 3 marzo 2022. Ha quindi escluso l’uso personale, in ragione dell’elevatissimo numero di dosi ricavabili, superiore a 1.000,00.
La sentenza impugnata, inoltre, ha evidenziato il contrasto delle versioni rese dall’imputato in ordine al modo in cui ha appreso che la sostanza sequestratagli era utilizzabile come stupefacente, in quanto in un primo momento ha detto di averlo saputo da un amico, e poi ha dichiarato di averne avuto notizia dalla lettura di un sito internet. Ha poi rappresentato che l’imputato aveva acquistato più volte la sostanza in questione, perché il medesimo ha detto di avere effettuato il primo acquisto tre anni prima, quindi circa nel 2019, e aveva diretta conoscenza degli effetti della stessa, avendo espressamente ammesso di averla assunta, sia pure in un’unica occasione, e di essersi sentito male proprio a causa di ciò.
La Corte d’appello, ancora, ha escluso la possibilità di ritenere che gli acquisti fossero stati effettuati in buona fede, solo perché avvenuti tramite internet e con modalità ‘tracciabili’. Ha rilevato, in proposito, che costituisce dato di comune esperienza che non tutto ciò che è acquistabile mediante internet è commerciabile secondo la legge italiana, e che, anzi, il ricorso alle modalità di acquisto di pagamento tramite internet e spedizione del prodotto tramite corriere COGNOME era utile a non destare sospetti, come dimostra che, nella specie, le forza dell’ordine, erano venute a conoscere della vicenda solo per averne ricevuto notizia da fonte confidenziale.
Il Giudice distrettuale, infine, ha anche ritenuto del tutto priva di attendibilità l’ipotesi del consumo di gruppo. In proposito, ha richiamato sia l’elevata quantità della sostanza importata, sia l’assenza di qualunque allegazione pertinente, sia il contenuto delle dichiarazioni dell’imputato, il quale ha anche ammesso di avere assunto, una volta, lo stupefacente, ma non ha mai riferito elementi utili per sostenere la configurabilità della fattispecie non punibile del consumo di gruppo.
3.3. Le conclusioni della sentenza impugnata, nell’affermare l’illiceità della detenzione della sostanza stupefacente rinvenuta, e, quindi, la responsabilità penale dell’imputato, sono correttamente motivate.
Invero, la Corte d’appello, per giungere all’affermazione di responsabilità dell’imputato, non solo ha valorizzato il dato quantitativo della sostanza, di sicuro rilievo, perché il prodotto sequestrato era idoneo a fornire un numero molto elevato di dosi singole, ma ha anche esaminato in modo accurato, e sulla base di
massime di esperienza accettabili, l’intero materiale istruttorio e le argomentazioni difensive.
Si può aggiungere che la tesi dell’uso personale, nella specie, si pone anche in contrasto con le stesse dichiarazioni dell’imputato, il quale ha detto di aver fatto uso solo una volta della sostanza e di essersi sentito male in quella occasione.
Manifestamente infondate sono anche le censure formulate nelle ulteriori parti del terzo motivo, le quali contestano il diniego delle circostanze attenuanti generiche, la misura della pena e il diniego dei benefici della sospensione condizionale e della non menzione.
La sentenza impugnata, infatti, ha posto a fondamento delle sue determinazioni in tema di diniego delle circostanze attenuanti generiche e di trattamento sanzionatorio dati precisi e congrui, in quanto ha richiamato l’insussistenza di elementi valutabili a favore dell’imputato e la gravità della condotta, non solo per il quantitativo di sostanza stupefacente detenuta, ma anche per le modalità concernenti l’acquisto della stessa, tali da consentire l’importazione dall’estero senza destare sospetti nelle forze dell’ordine. Ha inoltre evidenziato che la pena base, prima dell’applicazione della diminuente per il rito, era stata fissata in tre anni e sei mesi di reclusione e 9.000,00 euro di multa, ossia in una misura inferiore alla media edittale.
Attesa la correttezza delle indicate determinazioni in materia di trattamento sanzionatorio, poi, è del tutto priva di fondamento la questione relativa all’a pplicabilità dei benefici della sospensione condizionale e della non menzione: gli stessi sono incompatibili con la pena irrogata, determinata in due anni e quattro mesi di reclusione e 6.000,00 euro di multa.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità -al versamento a favore della cassa delle ammende, della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in data 21/02/2025. Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME