Detenzione di stupefacenti: la Cassazione chiarisce i limiti del ricorso
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, si è pronunciata su un caso di detenzione di stupefacenti, confermando la condanna di un individuo e dichiarando inammissibile il suo ricorso. Questa decisione offre importanti spunti di riflessione sui criteri utilizzati per distinguere la detenzione per spaccio dall’uso personale e sulla necessità di formulare motivi di ricorso specifici e non generici. Analizziamo insieme i dettagli di questa pronuncia per comprenderne la portata.
I Fatti del Caso
Il ricorrente era stato condannato in primo grado e in appello per il reato previsto dall’art. 73 del d.P.R. 309/1990. Nello specifico, era stato trovato in possesso di 25 dosi di cocaina e oltre 52 dosi di marijuana. La condanna era stata aggravata dalla contestazione della recidiva qualificata, indicando precedenti penali specifici a carico dell’imputato.
La difesa aveva presentato ricorso in Cassazione, contestando le conclusioni dei giudici di merito riguardo alla prova della destinazione allo spaccio delle sostanze e alla valutazione della maggiore pericolosità sociale dell’imputato. Tuttavia, secondo la Suprema Corte, le censure sollevate erano del tutto generiche.
L’Analisi della Corte di Cassazione e la Genericità del Ricorso
Il cuore della decisione della Cassazione risiede nel concetto di “genericità” dei motivi di ricorso. La Corte ha sottolineato come il ricorrente non avesse operato un confronto critico e specifico con le argomentazioni ben articolate della Corte d’Appello. Quest’ultima, infatti, aveva ampiamente giustificato la propria decisione basandosi su una serie di elementi fattuali e logici.
Gli Indizi Valorizzati per la Prova della Detenzione di Stupefacenti
I giudici di merito avevano fondato la prova della detenzione di stupefacenti finalizzata allo spaccio su diversi indizi convergenti:
1. Diversa tipologia delle sostanze: il possesso contemporaneo di cocaina e marijuana è stato ritenuto un indicatore della volontà di soddisfare una platea più ampia di “clienti”.
2. Sistema di videosorveglianza: la presenza di telecamere è stata interpretata non come una misura di sicurezza, ma come uno strumento funzionale a prevenire i controlli delle forze dell’ordine.
3. Tentativo di disfarsi della sostanza: l’imputato aveva cercato di liberarsi di parte della droga, un comportamento tipico di chi teme un controllo e sa di detenere materiale illecito destinato alla vendita.
4. Disponibilità di materiale per il confezionamento: il ritrovamento di oggetti utili a suddividere la droga in dosi è un classico elemento che depone a favore dell’ipotesi dello spaccio.
La Valutazione della Pericolosità Sociale
Anche la valutazione sulla maggiore pericolosità sociale del soggetto è stata ritenuta correttamente motivata. I giudici hanno fatto riferimento ai suoi precedenti penali, non solo per fatti analoghi legati agli stupefacenti, ma anche per reati contro il patrimonio. Questo quadro complessivo ha contribuito a delineare un profilo di pericolosità che giustificava un trattamento sanzionatorio più severo.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile proprio perché le censure proposte non si confrontavano con la solida impalcatura argomentativa della sentenza d’appello. In ambito processuale, non è sufficiente dissentire genericamente da una decisione; è necessario smontarla pezzo per pezzo, evidenziando vizi logici o giuridici specifici. In questo caso, la difesa si è limitata a riproporre dubbi senza attaccare le fondamenta del ragionamento dei giudici di merito.
Di conseguenza, all’inammissibilità del ricorso è seguita la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, come previsto dalla legge in questi casi per scoraggiare ricorsi palesemente infondati.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale del processo penale: un ricorso per cassazione, per essere accolto, deve essere specifico e pertinente. Non può limitarsi a una generica contestazione, ma deve individuare con precisione i punti della decisione impugnata che si ritengono errati e spiegare perché. Inoltre, il caso conferma come la prova della destinazione allo spaccio possa essere desunta da una pluralità di elementi indiziari (quantità, varietà della droga, modalità di conservazione, precedenti specifici), che, letti congiuntamente, forniscono un quadro d’insieme univoco e coerente.
Quali elementi possono provare la destinazione allo spaccio di droga?
Secondo la sentenza, la prova può derivare da un insieme di indizi, come la detenzione di diversi tipi di sostanze, la presenza di un sistema di videosorveglianza per eludere i controlli, il tentativo di disfarsi della droga e la disponibilità di materiale per il confezionamento delle dosi.
Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso è dichiarato inammissibile quando i motivi presentati sono generici, cioè non contestano in modo specifico e argomentato le ragioni esposte nella sentenza impugnata, ma si limitano a una critica astratta senza un reale confronto con la motivazione del giudice precedente.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte con un’impugnazione priva dei requisiti di legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 38582 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 38582 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MESSINA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/01/2024 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
Rilevato che il difensore di COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Messina, in epigrafe indicata, con la quale è stata confermata quella del Tribunale di quella città di condanna del predetto per il reato di cui all’art. 73 commi 1 e 4, d.P.R. n. 309/1990 (illecita detenzione di 25 dosi medie singole di cocaina e 52,4 dosi medie singole di marijuana, in Messina 18/5/2023) con la recidiva qualificata;
ritenuto che le censure prospettano deduzioni del tutto generiche, in punto prova della destinazione allo spaccio dello stupefacente e maggiore pericolosità espressa dall’imputato, senza che sia stato neppure operato il necessario, preventivo confronto con le giustificazioni fornite dai giudici dell’appello (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822, sui Motivi d’appello, ma i cui principi possonc . applicarsi anche al ricorso per cassazione), avendo costoro ampiamente giustificato la prova di tale destinazione (valorizzando la diversa tipologia delle sostanze, la presenza di un sistema di videosorveglianza, ritenuto funzionale alla prevenzione dei controlli delle forze dell’ordine, il tentativo di disfarsi di parte della sostanza e la disponibili oggetti utili per il confezionamento in dosi), così come la maggiore pericolosità sociale del COGNOME (gravato da precedenti per fatti analoghi e per reati contro il patrimonio);
che alla inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero quanto alla causa d’inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000);
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Deciso il 18 settembre 2024