Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9760 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9760 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/04/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza emessa in data 26 aprile 2023 la Corte di appello di Napoli, riformando parzialmente la sentenza emessa in data 25 marzo 2022 dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli, ha condannato NOME COGNOME alla pena di due anni e otto mesi di reclusione e 2.800 euro di multa per i reati di cui agli artt. 73 d.P.R. n. 309/1990, 23, commi 3 e 4, legge n. 110/1975, 648 e 697 cod.pen. da lui commessi in data 07/08/2021, per avere detenuto a fine di spaccio gr. 109,90 di marijuana e sette bustine contenenti gr. 7,70 della medesima sostanza, una canna clandestina con matricola abrasa e di provenienza illecita, e quarantadue cartucce di vario calibro.
La Corte ha respinto il motivo di appello relativo all’asserita insussistenza del delitto di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/90, ribadendo che la destinazione dello stupefacente al fine di cessione a terzi è provata dalla quantità non irrilevante di sostanza rinvenuta e dalle modalità del suo confezionamento, nonché dal possesso di un bilancino di precisione, strumento tipicamente utilizzato per il confezionamento di singole dosi, poi destinate alla vendita. Ha anche affermato che l’imputato non ha fornito versioni alternative, non essendo emerse prove relative ad un uso personale di quella sostanza. Ha inoltre respinto il motivo di appello relativo all’omessa concessione delle attenuanti generiche e alla dosimetria della pena, per non avere l’appellante indicato motivi in base ai quali concedere tale beneficio e per la sua personalità, essendo egli gravato da un precedente specifico.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod.proc.pen.
La motivazione addotta nella sentenza per escludere un uso personale della sostanza è erroneo, perché il parametro per differenziare la finalità di spaccio da quella di uso personale non può essere l’immediatezza del consumo, né il possesso di un bilancino. Il consumatore può confezionare dosi che intende utilizzare per sé in seguito; per ritenere provata la finalità di cessione è necessario accertare una minima attività negoziale con un terzo. Anche il quantitativo detenuto non può costituire il confine tra le due condotte, mentre può esserlo il denaro contante, in quanto dimostrativo di una cessione. In casa dell’imputato non è stato trovato denaro, ed egli è da anni un utilizzatore di
droghe leggere, che può quindi avere acquistato un quantitativo più rilevante per ottenere uno sconto sul prezzo.
2.2. Con un secondo motivo lamenta l’omessa concessione delle attenuanti generiche.
La Corte di appello le ha negate per la gravità dei fatti e i precedenti penali del ricorrente, ma la gravità dei reati commessi viene già valutata per determinare la pena, e non è peraltro sussistente, dal momento che l’imputato deteneva solo marijuana e non altre droghe, mentre solitamente uno spacciatore vende sostanze di vario genere. Quanto ai precedenti penali, egli è gravato da una sola condanna risalente nel tempo, elemento che avrebbe dovuto indurre ad una minore quantificazione della pena.
Il ricorso è manifestamente infondato, e deve essere dichiarato inammissibile.
3.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce una violazione di legge nella qualificazione della condotta di detenzione di marijuana come destinata alla cessione a terzi, senza indicare quale norma sarebbe stata violata, e in quale modo. Quello che viene censurato è, in realtà, un vizio di motivazione, dal momento che il ricorrente lamenta che l’argomentazione con cui la Corte di appello ha ritenuto provata tale destinazione, deducendola dalla quantità della sostanza detenuta, dalle sue modalità di confezionamento e dal possesso di un bilancino di precisione, è insufficiente o erronea. Tale motivazione, però, è logica e non contraddittoria, e conforme ai principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui «In tema di stupefacenti, la prova della destinazione della sostanza ad uso personale, come quella della sua destinazione allo spaccio, può essere desunta da qualsiasi elemento o dato indiziario che, con rigore, univocità e certezza, consenta di inferirne la sussistenza attraverso un procedimento logico adeguatamente fondato su corrette massime di esperienza» (Sez. 3, n.24651 del 22/02/2023, Rv. 284842).
La Corte di appello ha valutato congiuntamente tutti gli elementi di prova, costituiti dalla quantità di sostanza rinvenuta, palesemente superiore a quella utilizzabile in pochi giorni anche da un consumatore abituale, dalle modalità di custodia, essendo state rinvenute anche sette bustine confezionate singolarmente, contenenti quantitativi di marijuana pari a singole dosi, e un bilancino di precisione. Secondo le massime di esperienza, tali modalità di detenzione sono tipiche di una destinazione della sostanza alla cessione a terzi in singole dosi, in quanto un consumatore non è solito confezionare anticipatamente le dosi che utilizzerà in seguito, addirittura chiudendole in
bustine separate, essendo più comodo e diretto prelevare dall’unica confezione della sostanza il quantitativo che si intende assumere in ogni singola occasione.
Il ricorso non si confronta con questa motivazione, in quanto non indica i motivi per cui essa sarebbe erronea o illogica, limitandosi ad opporre ad essa una diversa opinione, peraltro non fondata su massime di esperienza ma su condotte definite solo come possibili, quali appunto la “possibilità” che anche un consumatore confezioni per sé singole dosi, o che il rinvenimento di denaro possa dimostrare lo svolgimento di un’attività di spaccio. L’affermazione della destinazione all’uso personale della sostanza rinvenuta si fonda, inoltre, su dati processualmente inesistenti, come il fatto che il ricorrente sia un consumatore abituale di droghe leggere e possa avere acquistato un quantitativo elevato di sostanza per ottenere uno sconto sul prezzo: tali circostanze non sono emerse nel processo, dal momento che, secondo quanto riportato nella sentenza impugnata, l’imputato non ha fornito versioni alternative, né ha offerto elementi che provassero un suo continuativo uso personale della sostanza.
Questo motivo di ricorso, pertanto, è manifestamente infondato nonché generico e privo di specificità, in quanto omette di confrontarsi adeguatamente con la sentenza impugnata.
3.2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Esso non si confronta affatto con la motivazione con cui la Corte di appello ha respinto la richiesta di concessione delle attenuanti generiche, e sostiene che i reati contestati sono di scarsa gravità riferendosi solo al delitto di detenzione della marijuana. La sentenza impugnata, però, ha valutato correttamente la indicata gravità, che costituisce un lecito parametro di valutazione, avendo il ricorrente tenuto contestualmente altre condotte di elevata pericolosità, quali in particolare il possesso di un’arma clandestina e di provenienza illecita. Il ricorso, inoltre, non si confronta con l’affermazione secondo cui non sono stati neppure indicati elementi favorevoli, da valutare per la concedibilità del beneficio, ed anch’esso non indica alcun elemento di tal genere.
La dosimetria della pena, poi, è impugnata in termini assolutamente generici e senza confrontarsi con la sentenza, che ha irrogato per il reato cui all’art. 23 legge n. 110/1975 una pena prossima al medio edittale, ma ha contenuto in importi molto modesti gli aumenti per i singoli reati uniti in continuazione.
Per i motivi sopra espressi, il ricorso deve quindi essere ritenuto manifestamente infondato, e dichiarato perciò inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, di diritto, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen., in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della Cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che si ritiene congruo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa della ammende.
Così deciso il 08 febbraio 2024
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Il Consigliere estensore
Il Presidente