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Detenzione di stupefacenti: quando è spaccio?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per detenzione di stupefacenti. La Corte ha confermato che la notevole quantità (93 grammi tra hashish e marijuana, per 391 dosi), la varietà delle sostanze e le modalità di occultamento sono indici sufficienti a provare la finalità di spaccio, escludendo così l’ipotesi di uso personale e la fattispecie di lieve entità.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenzione di stupefacenti: quando la quantità esclude l’uso personale?

La detenzione di stupefacenti è una questione complessa che spesso si gioca sul filo del rasoio tra uso personale e spaccio. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i criteri fondamentali che i giudici utilizzano per distinguere le due ipotesi, confermando una condanna per un individuo trovato in possesso di un quantitativo significativo di droghe leggere. Analizziamo questa decisione per comprendere meglio la linea di demarcazione tracciata dalla giurisprudenza.

I Fatti del Processo: Detenzione di Sostanze e la Condanna

Il caso ha origine da una condanna emessa dal Tribunale di Bari e successivamente confermata dalla Corte d’Appello. Un uomo era stato trovato in possesso di circa 93 grammi di sostanze stupefacenti, suddivise tra hashish e marijuana. Questo quantitativo, secondo le analisi, era sufficiente a confezionare circa 391 dosi singole, con un principio attivo puro di quasi 10 grammi. La condanna inflitta era di un anno e otto mesi di reclusione e 4.000 euro di multa. L’imputato, non soddisfatto della decisione, ha proposto ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso: Uso Personale e Lieve Entità

La difesa dell’imputato ha basato il ricorso su tre punti principali:
1. Errata valutazione della finalità: Si contestava che la detenzione fosse finalizzata allo spaccio, sostenendo che non vi fossero prove sufficienti per escludere l’uso esclusivamente personale.
2. Mancata riqualificazione del reato: Si richiedeva di classificare il fatto come ‘reato di lieve entità’ (previsto dal comma 5 dell’art. 73 del D.P.R. 309/1990), che comporta pene molto più miti.
3. Mancato riconoscimento delle attenuanti generiche: Si lamentava la mancata concessione delle attenuanti e la conseguente eccessività della pena.

La Decisione della Cassazione sulla Detenzione di Stupefacenti

La Corte di Cassazione ha respinto tutte le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile. Secondo i giudici supremi, i motivi presentati erano generici e non riuscivano a scalfire la logicità e la correttezza della sentenza della Corte d’Appello. La decisione impugnata era, infatti, ben motivata e basata su prove concrete e significative.

Le Motivazioni

La Corte ha chiarito in modo inequivocabile le ragioni della sua decisione. In primo luogo, riguardo alla destinazione della droga, i giudici hanno sottolineato come il quantitativo totale (93 grammi), il numero di dosi ricavabili (391) e le modalità di occultamento fossero elementi più che sufficienti per dedurre logicamente un’intenzione di vendita a terzi. Questi indici fattuali, considerati nel loro insieme, rendevano inverosimile l’ipotesi di un consumo puramente personale.

In secondo luogo, per quanto riguarda la richiesta di qualificare il reato come di ‘lieve entità’, la Corte ha evidenziato che la presenza di due diverse tipologie di sostanze (hashish e marijuana) e l’elevata quantità di principio attivo puro (quasi 10 grammi) erano fattori ostativi. La giurisprudenza consolidata ritiene che tali elementi, uniti al numero complessivo di dosi, indichino una gravità della condotta incompatibile con la fattispecie attenuata. La valutazione del giudice di merito è stata ritenuta congrua e adeguatamente motivata, e quindi non sindacabile in sede di legittimità.

Le Conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio cruciale in materia di detenzione di stupefacenti: non è necessaria la prova diretta della cessione per configurare il reato di spaccio. Elementi indiziari come la quantità, la qualità, la varietà della sostanza e le modalità di conservazione possono costituire, se valutati complessivamente, una prova logica sufficiente della destinazione alla vendita. La decisione serve da monito: il superamento di una certa soglia quantitativa, specialmente se accompagnato da altri indicatori, sposta inesorabilmente la valutazione del giudice dall’uso personale allo spaccio, con conseguenze penali molto più severe e con la quasi impossibilità di beneficiare della fattispecie di lieve entità.

Quali elementi distinguono la detenzione di stupefacenti per uso personale da quella finalizzata allo spaccio?
Secondo la Corte, elementi come il quantitativo complessivo della sostanza (in questo caso circa 93 grammi), il numero di dosi ricavabili (391), la varietà delle droghe detenute (hashish e marijuana) e le modalità di occultamento sono indici sufficienti per provare la finalità di spaccio a terzi.

Quando un reato di detenzione di droga può essere classificato come di ‘lieve entità’?
La classificazione come ‘lieve entità’ viene esclusa quando la condotta presenta elementi di gravità. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto ostativi la presenza di due tipi diversi di stupefacenti e la quantità significativa di principio attivo puro (quasi 10 grammi), oltre al numero elevato di dosi, considerandoli incompatibili con la minore gravità del fatto.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati sono stati ritenuti generici e aspecifici. La difesa non è riuscita a contestare efficacemente la motivazione della sentenza d’appello, che era stata giudicata logica, coerente e basata su prove significative, e quindi immune da vizi legali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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