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Detenzione di stupefacenti: quando è spaccio?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio. La decisione si basa su elementi oggettivi come la quantità della sostanza (46,5 grammi di hashish), il suo frazionamento in dosi e il possesso di 500 euro in contanti. La Corte ribadisce che tali indizi sono sufficienti a configurare il reato di spaccio, escludendo l’ipotesi dell’uso personale. Viene inoltre confermata la recidiva, data la pregressa condanna per fatti analoghi.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenzione di stupefacenti: la Cassazione chiarisce i confini tra uso personale e spaccio

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale in materia di reati legati agli stupefacenti: la distinzione tra uso personale e la detenzione di stupefacenti finalizzata allo spaccio. La decisione offre un’analisi chiara degli indizi che, valutati nel loro complesso, possono condurre a una condanna per il più grave reato di cessione a terzi, anche in assenza di prove dirette di vendita.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dalla condanna di un uomo, emessa prima dal Tribunale e poi confermata dalla Corte di Appello, per il reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, specificamente per 46,5 grammi di hashish. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la sua responsabilità e sostenendo che la sostanza fosse destinata esclusivamente a un uso personale, anche a fini terapeutici. Ha inoltre criticato la conferma della recidiva e l’entità della pena inflitta.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno stabilito che le argomentazioni presentate dall’imputato non erano altro che una riproposizione delle censure già esaminate e respinte dalla Corte di Appello. Il ricorrente, infatti, tentava di ottenere una nuova valutazione delle prove, un’attività che non è consentita in sede di legittimità, dove il giudizio è limitato alla corretta applicazione della legge e non al riesame dei fatti.

Le Motivazioni: i criteri per la detenzione di stupefacenti

La Corte ha ritenuto la motivazione della sentenza d’appello completa, logica e fondata su elementi oggettivi. Gli elementi che, nel loro insieme, hanno dimostrato in modo inequivocabile la destinazione allo spaccio della sostanza sono stati:

* Il dato ponderale: 46,5 grammi di hashish, da cui era possibile ricavare ben 466 dosi medie singole. Una quantità ritenuta sproporzionata per un consumo puramente personale.
* Le modalità di detenzione: La sostanza era già stata frazionata e confezionata in più bustine di cellophane. Questa modalità di conservazione è stata giudicata poco compatibile con l’uso personale e tipica dell’attività di spaccio.
* La disponibilità di denaro: All’interno della stessa valigetta contenente lo stupefacente è stata trovata una somma di 500 euro in contanti, suddivisa in banconote di vario taglio, un classico indizio dell’attività di vendita.

La tesi difensiva dell’uso terapeutico è stata respinta in quanto non supportata da alcuna prova concreta.

La Valutazione sulla Recidiva e sulla Pena

Anche la censura relativa alla recidiva è stata giudicata infondata. La Corte ha evidenziato come i giudici di merito avessero correttamente considerato i precedenti specifici dell’imputato, concludendo che la nuova condotta criminale fosse sintomo di una ‘accresciuta pericolosità sociale’ e di una ‘maggiore riprovevolezza del comportamento’. La precedente condanna, evidentemente, non aveva avuto alcun effetto deterrente. Infine, la pena è stata ritenuta adeguata, poiché bilanciava la gravità del reato con la concessione delle attenuanti generiche in misura equivalente alla recidiva.

Conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio consolidato nella giurisprudenza: per provare la detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio non è necessaria la prova diretta della cessione. Un insieme di indizi gravi, precisi e concordanti – come la quantità della sostanza, il suo confezionamento e la presenza di denaro contante – è sufficiente a fondare una sentenza di condanna. La decisione sottolinea inoltre i limiti del ricorso in Cassazione, che non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti, ma deve limitarsi a verificare la corretta applicazione delle norme di diritto.

Quali elementi trasformano la semplice detenzione di droga in un reato di spaccio secondo la Corte?
La Corte identifica diversi elementi chiave: la quantità significativa della sostanza (in questo caso, 46,5 grammi di hashish, sufficienti per 466 dosi), le modalità di conservazione (sostanza già frazionata in più buste, tipico dello spaccio) e la disponibilità di una somma di denaro in contanti (€500) in banconote di vario taglio, trovata insieme alla droga.

Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché non sollevava nuove questioni di diritto, ma si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già presentate e respinte in appello. In pratica, chiedeva una nuova valutazione delle prove, attività che non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione, la quale giudica solo la corretta applicazione della legge (giudizio di legittimità).

Come ha giustificato la Corte la conferma della recidiva per l’imputato?
La Corte ha ritenuto adeguata la motivazione sulla recidiva, basandosi sui precedenti penali specifici dell’imputato. I giudici hanno concluso che la commissione di un nuovo reato dello stesso tipo dimostrava una ‘accresciuta pericolosità sociale’ e una persistenza nel comportamento criminale, indicando che la precedente condanna non aveva avuto alcun effetto deterrente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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