Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 6786 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 6786 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOMECOGNOME nato ad Acquaviva delle Fonti il 21/1/1993
avverso la sentenza del 26/1/2024 della Corte d’appello di Lecce visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 26 gennaio 2024 la Corte d’appello di Lecce ha rigettato l’impugnazione presentata da NOME COGNOME nei confronti della sentenza del 12 marzo 2019 del Tribunale di Brindisi, con la quale lo stesso era stato condannato alla pena di due anni di reclusione e 8.000,00 euro di multa, con la confisca del denaro, della sostanza stupefacente e degli oggetti in sequestro, in relazione al reato di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen. e 73, primo e quarto comma, d.P.R. 309/90 (ascrittogli per avere detenuto a fine non esclusivamente personale 49,50 grammi di marijuana e 25,10 grammi di hashish, da cui erano, rispettivamente, ricavabili 141 e 157 dosi medie; commesso il 17 febbraio 2017).
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a quattro motivi.
2.1. In primo luogo, ha lamentato, a norma dell’art. 606, primo comma, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’errata applicazione dell’art. 73 d.P.R. 309/90 e un vizio della motivazione, con riferimento alla finalità di cessione della sostanza stupefacente, che era stata ribadita dalla Corte d’appello sulla base di una acritica adesione alla motivazione della sentenza di primo grado, omettendo di considerare gli elementi addotti a sostegno della prospettazione difensiva secondo la quale tutta la sostanza stupefacente presente nell’automobile condotta dal ricorrente era destinata a un consumo di gruppo da parte di tutti gli occupanti tale veicolo.
Ha sottolineato che dalle indagini non era emerso alcun elemento dimostrativo del fine di spaccio addebitatogli, non essendo stata svolta alcuna attività di osservazione, né dimostrata alcuna attività di cessione e non essendo stati rinvenuti elementi, a seguito delle indagini, idonei a suffragare la tesi della cessione, desunta solamente dal dato della detenzione, ma unitamente alle altre tre persone presenti nella automobile condotta da un amico del ricorrente, e dalla disponibilità della somma di 140,00 euro e di un bilancino, di per sé non dimostrativi del suddetto fine di spaccio.
2.2. In secondo luogo, ha lamentato, a norma dell’art. 606, primo comma, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’errata applicazione dell’art. 73 d.P.R. 309/90 dell’art. 240 cod. pen. e un vizio della motivazione, con riferimento alla confisca del denaro sequestrato al ricorrente, non trattandosi di una ipotesi di confisca obbligatoria e non essendo stato indicato il necessario vincolo di pertinenzialità tra la somma e il reato.
2.3. Con un terzo motivo ha lamentato, a norma dell’art. 606, primo comma, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’errata applicazione dell’art. 73 d.P.R. 309/90 dell’art. 157 cod. pen. e un ulteriore vizio della motivazione, in relazione all’omesso
rilievo della estinzione del reato per prescrizione anteriormente alla pronuncia della sentenza impugnata.
2.4. Con un quarto motivo ha lamentato, a norma dell’art. 606, primo comma, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’errata applicazione degli artt. 62, 62-bis, 132 e 133 cod. pen. e un vizio della motivazione anche nella parte relativa al diniego delle circostanze attenuanti generiche e alla misura della pena, determinata in due anni di reclusione, ossia in misura sproporzionata rispetto alla effettiva gravità del fatto.
Il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, sottolineando l’adeguatezza della motivazione nella parte relativa alla prova del fine di spaccio, essendo stati indicati gli elementi dimostrativi di tale finalità; mancata devoluzione con l’atto di gravame della questione della legittimità della confisca del denaro; l’idoneità della motivazione anche nella parte relativa al trattamento sanzionatorio, giustificato con la gravità del fatto, desunta dal numero di dosi ricavabili e dalla personalità negativa dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
In premessa è necessario rammentare che alla Corte di cassazione è preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, COGNOME, Rv. 250362; Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623). Resta, dunque, esclusa, pur dopo la modifica dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Inoltre, è opportuno ribadire che il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti in sede di impugnazione e motivatamente respinti da parte del giudice del gravame deve ritenersi inammissibile, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, solo apparentemente, denunciano un errore logico o giuridico determinato (in termini v. Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME e altri, Rv. 260608; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME e altro, Rv. 243838; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, COGNOME, Rv. 231708).
3. Ora, nel caso in esame, il primo motivo, mediante il quale, tra l’altro riproducendo il primo motivo di appello senza significativi elementi di novità, è stata censurata l’affermazione della destinazione alla cessione della sostanza stupefacente detenuta dal ricorrente, che sarebbe stata destinata esclusivamente al consumo personale del ricorrente medesimo e anche al consumo di gruppo, assieme agli altri soggetti che si trovavano sulla medesima automobile, è inammissibile, essendo volto, tra l’altro in modo generico, in quanto riproduttivo del corrispondente motivo di appello e privo di autentico confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata, a conseguire una rivisitazione delle risultanze istruttore, allo scopo di ottenerne una lettura alternativa da contrapporre a quella dei giudici, che, però, è concorde e non manifestamente illogica, e dunque non è suscettibile di riconsiderazione sul piano dell’apprezzamento delle prove o delle valutazioni di merito nel giudizio di legittimità.
La Corte di appello di Lecce, nel ribadire la destinazione allo spaccio della sostanza stupefacente detenuta dal ricorrente, ha, anzitutto, sottolineato che a seguito del controllo eseguito dalla polizia giudiziaria sull’automobile di proprietà della madre di NOME COGNOME, all’interno della quale vi erano lo stesso COGNOME alla guida, e il ricorrente, seduto sul sedile posteriore dal lato del passeggero, vennero rinvenuti, proprio sotto tale sedile, 17 bustine di cellophane contenenti marijuana del peso complessivo di 31,70 grammi, un involucro contenente hashish del peso di 25,10 grammi e altre bustine di plastica, nonché, all’interno del medesimo veicolo, un bilancino di precisione; l’Ammaturo, inoltre, deteneva la somma di 140,00 euro in denaro contante; presso la sua abitazione, all’interno del comodino della sua camera da letto, vennero poi rinvenuti altri 9 involucri di marijuana del peso complessivo di 17,80 grammi; le dosi medie ricavabili da tutte tali sostanze erano pari, secondo quanto accertato dalle indagini chimiche, a 141 dosi per la marijuana e a 157 dosi per l’hashish.
La Corte territoriale, dato atto del contrasto tra le dichiarazioni rese da COGNOME in giudizio e quelle dal medesimo fornite nel corso delle indagini e, di conseguenza,
della inattendibilità di dette dichiarazioni, ha ribadito sia la disponibilità di det sostanza da parte del ricorrente Ammaturo, sia la sua destinazione alla cessione, non essendo emersi elementi dimostrativi della destinazione al consumo di gruppo, tenendo conto del quantitativo, della suddivisione in dosi, della disponibilità di un bilancino e della detenzione di altra sostanza del medesimo genere suddivisa in dosi nella abitazione del ricorrente.
Si tratta di considerazioni idonee a giustificare le affermazioni della, invero non contestata, detenzione delle sostanze stupefacenti sequestrate da parte del ricorrente e anche della loro destinazione alla cessione (non rilevando, ai fini della configurabilità del reato, la eventuale gratuità di dette cessioni, non essendo richiesta per la realizzazione del reato anche l’onerosità della cessione), che è stata desunta in modo non illogico dal frazionamento in dosi, dal numero delle stesse, dalla detenzione in luoghi diversi (all’interno della automobile e nella abitazione del ricorrente) e dal contesto (ossia dalla presenza nella automobile nella quale si trovava il ricorrente, con la disponibilità delle sostanze stupefacenti in parte già suddivise in dosi, anche di altre tre persone).
Tale motivazione è, poi, stata censurata dal ricorrente esclusivamente nella prospettiva della valutazione dell’apprezzamento e della valutazione delle prove, di cui, attraverso ampi richiami a consolidati orientamenti interpretativi della giurisprudenza di legittimità, si è proposta, in realtà, una diversa lettura e valutazione, non consentite, come già ricordato, nel giudizio di legittimità, che è circoscritto alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando invece preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482 – 01; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247 – 01).
Il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene perciò né alla ricostruzione dei fatti, né all’apprezzamento del giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, COGNOME e altri, Rv. 255542 – 01, in motivazione; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, COGNOME, Rv, 251760 – 01), requisiti che nella specie sono certamente esistenti, con la conseguente inammissibilità delle censure formulate dal ricorrente con il primo motivo di ricorso, non consentite nel giudizio di legittimità.
Il secondo motivo, relativo alla confisca del denaro, di cui non sarebbe stato illustrato il necessario collegamento con la condotta, richiesto onde poterne disporre la confisca facoltativa, è inammissibile, in quanto, secondo quanto risulta dalla non contestata narrativa della sentenza impugnata (di cui costituiva onere del ricorrente eccepire l’eventuale incompletezza, cfr., in tal senso, ex multis, Sez. 3, n. 11830, del 13/03/2024, COGNOME, non massimata; Sez. 3, n. 8657 del 15/02/2024, Immobile, non massimata; Sez. 3, n. 33415 del 19/05/2023, COGNOME non massimata; Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270627 – 01; Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, COGNOME, Rv. 259066), tale aspetto non era stato devoluto ai giudici del gravame con l’atto di impugnazione, limitato alla affermazione di responsabilità (per l’insussistenza del fine di spaccio, primo motivo) e al trattamento sanzionatorio (secondo motivo), ed essendone, di conseguenza, precluso l’esame nel successivo giudizio di legittimità.
Il ricorso proposto per motivi concernenti le statuizioni del giudice di primo grado che non siano state devolute al giudice d’appello, con specifico motivo d’impugnazione, è, infatti, inammissibile, poiché la sentenza di primo grado, su tali punti, ha acquistato efficacia di giudicato (Sez. 3, n. 2343 del 28/09/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274346 – 01; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316 – 01; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745 – 01; Sez. 2, n. 6131 del 29/01/2016, COGNOME, Rv. 266202 – 01).
Il terzo motivo, relativo al mancato rilievo della prescrizione del reato anteriormente alla pronuncia della sentenza impugnata, è manifestamente infondato, in quanto il termine massimo di prescrizione di detto reato, contestato come commesso il 17 febbraio 2017, è pari, tenendo conto degli atti interruttivi, a sette anni mezzo, ai sensi degli artt. 157 e 161 cod. pen., ed è decorso il 17 agosto 2024, successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, resa il 26 gennaio 2024, e quindi del tutto correttamente non ne è stato rilevato il decorso da parte della Corte d’appello.
Per quanto riguarda il quarto motivo, relativo al diniego delle circostanze attenuanti generiche e alla misura della pena, va osservato che quest’ultima è stata determinata nel minimo edittale, cosicché le censure sollevate sul punto dal ricorrente, attraverso ampi richiami giurisprudenziali alla funzione della pena e ai criteri per la sua determinazione, risultano manifestamente infondati; il diniego delle circostanze attenuanti generiche è stato giustificato con motivazione sintetica ma sufficiente, fondata sulla sottolineatura della gravità del fatto, consistito nella detenzione di oltre 300 dosi di sostanze stupefacenti diverse, motivazione di cui il ricorrente ha proposto una rivalutazione sul piano dei giudizi di merito, non sindacabili se, come nel caso in esame, giustificati con motivazione sufficiente.
La ratio della disposizione di cui all’art. 62-bis cod. pen. non impone, infatti, al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti; ne deriva che queste ultime possono essere negate anche soltanto in base alla gravità del fatto o ai precedenti penali dell’imputato, perché in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di particolare gravità della condotta e di disvalore sulla personalità dell’imputato (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 4, n. 23679 del 23/04/2013, Viale, Rv. 256201; Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, COGNOME, Rv. 227142). L’obbligo della motivazione non è certamente disatteso quando non siano state prese in considerazione tutte le prospettazioni difensive, a condizione però che in una valutazione complessiva il giudice abbia dato la prevalenza a considerazioni di maggior rilievo, disattendendo implicitamente le altre. E la motivazione, fondata sulle sole ragioni preponderanti della decisione non può, purché congrua e non contraddittoria, essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato.
Essa, inoltre, può, come nel caso di specie, essere contenuta, implicitamente, nel giudizio di gravità del fatto e nella valutazione negativa della personalità dell’imputato, essendo compresa in tale giudizio l’indicazione delle ragioni ritenute preponderanti per escludere la riconoscibilità di dette attenuanti.
Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a cagione della genericità e della manifesta infondatezza di tutti i motivi ai quali è stato affidato.
L’inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché detta inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l’apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, COGNOME, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, COGNOME, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, COGNOME, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, COGNOME, Rv. 261616; nonché Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 14/02/2017, COGNOME, Rv. 268966).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. sentenza 7 – 13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che
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si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso 1’8/01/2025