Detenzione di Stupefacenti: La Cassazione Conferma la Finalità di Spaccio
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un caso di detenzione di stupefacenti, delineando i criteri per distinguere il possesso finalizzato allo spaccio dall’uso personale. La decisione sottolinea come una serie di elementi indiziari, analizzati nel loro complesso, possano fornire una prova logica e congrua dell’intento di commercializzare la sostanza, anche in assenza di una flagranza di reato.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dalla condanna inflitta dalla Corte d’Appello a un individuo per il reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. La difesa dell’imputato aveva presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che mancassero le prove della finalità di spaccio e che la detenzione fosse riconducibile a un uso personale.
La Corte d’Appello, tuttavia, aveva fondato la propria decisione su una serie di elementi fattuali ritenuti significativi:
1. La quantità della sostanza: il dato ponderale è stato considerato un primo importante indizio.
2. Il luogo e le modalità di occultamento: la sostanza era stata nascosta dall’imputato all’interno di una siepe in un giardino pubblico.
3. La presenza di un complice: l’imputato era in compagnia di un’altra persona che, a sua volta, possedeva ulteriore sostanza stupefacente contenuta in una busta identica a quella occultata poco prima.
Questi elementi, valutati congiuntamente, avevano portato i giudici di secondo grado a ritenere provata la destinazione della droga al mercato illecito.
Il Ricorso e la Valutazione della Cassazione sulla detenzione di stupefacenti
L’imputato ha proposto ricorso alla Corte di Cassazione, contestando la valutazione della Corte d’Appello e ribadendo l’assenza di finalità di spaccio. Il motivo del ricorso, tuttavia, è stato giudicato dalla Suprema Corte come ‘aspecifico’.
Un motivo di ricorso è considerato aspecifico quando non si confronta in modo puntuale con le argomentazioni della sentenza impugnata, ma si limita a riproporre una tesi difensiva già respinta, senza evidenziare vizi logici o giuridici nel ragionamento del giudice precedente. In questo caso, la difesa non è riuscita a smontare la solida costruzione motivazionale della Corte territoriale.
Le Motivazioni
La Cassazione ha rilevato che la Corte d’Appello aveva fornito una ‘congrua motivazione’, ovvero una spiegazione logica e coerente delle ragioni della sua decisione. I giudici di legittimità hanno confermato che la valutazione complessiva degli indizi era corretta. La circostanza che l’imputato avesse nascosto la droga in un luogo pubblico, unita alla presenza di un’altra persona con una confezione identica, costituiva un quadro indiziario grave, preciso e concordante, tale da superare ogni ragionevole dubbio sulla destinazione della sostanza.
La Corte ha quindi dichiarato il ricorso inammissibile. Tale decisione comporta non solo la conferma della condanna, ma anche l’addebito delle spese processuali all’imputato e il pagamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, una sanzione pecuniaria prevista per chi adisce la Corte con ricorsi manifestamente infondati.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di detenzione di stupefacenti: la prova della finalità di spaccio può essere desunta anche da elementi indiretti o indiziari. Non è necessario cogliere il soggetto nell’atto di cedere la sostanza. Fattori come la quantità, le modalità di conservazione e occultamento, il contesto dell’azione e la presenza di complici possono, se letti in modo coordinato, costituire una prova sufficiente per fondare una sentenza di condanna. La decisione serve da monito sulla necessità di formulare ricorsi specifici e dettagliati, che attacchino la logicità della sentenza impugnata, pena la dichiarazione di inammissibilità e ulteriori conseguenze economiche.
Quali elementi possono dimostrare l’intento di spacciare droga anche senza un atto di vendita diretta?
Secondo l’ordinanza, elementi come la quantità della sostanza (il dato ponderale), l’occultamento della stessa in un luogo pubblico (come una siepe in un parco) e la presenza di un’altra persona con una confezione identica sono indizi sufficienti a dimostrare la finalità di spaccio.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile dalla Cassazione?
Il ricorso è stato ritenuto ‘aspecifico’ perché non contestava in modo puntuale e critico la motivazione della sentenza della Corte d’Appello, ma si limitava a riproporre una tesi difensiva già valutata e respinta, senza evidenziare vizi logici nel ragionamento dei giudici precedenti.
Quali sono le conseguenze per chi presenta un ricorso inammissibile in questo caso?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso ha comportato per il ricorrente la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4003 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4003 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 25/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a BARLETTA il 03/07/1980
avverso la sentenza del 20/04/2023 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata;
esaminato il motivo di ricorso.
Rilevato che l’unico motivo – avente ad oggetto la penale responsabilità e, in particolate, l’assenza di finalità allo spaccio della detenzione di stupefacente – è aspecifico, a fronte di una congrua motivazione fornita, sul punto, dalla Corte di appello (pag. 4, nella parte in cui si valorizza il dato ponderale della sostanza, la circostanza che la stessa era portata dall’imputato all’interno di un giardinetto pubblico e ivi occultata in una siepe, la circostanza che il soggetto con il quale l’imputato si accompagnava mentre faceva accesso ai giardinetti e occultava la busta nella siepe, portava con sé ulteriore sostanza stupefacente in una busta in tutto e per tutto uguale a quella che l’imputato aveva poco prima nascosto nella siepe in sua presenza).
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 25/10/2024.