Detenzione di Stupefacenti in Casa Condivisa: La Cassazione Chiarisce
La detenzione di stupefacenti in un’abitazione condivisa solleva complesse questioni sulla responsabilità penale individuale. Chi risponde della droga trovata in una sala da pranzo o in una cucina accessibile a tutti? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti, stabilendo che la collocazione della sostanza in uno spazio comune non esclude automaticamente la colpevolezza di uno dei coinquilini, se altri elementi indiziari convergono su di lui.
I Fatti del Caso
Il caso riguarda un uomo condannato in appello per la detenzione di 32 grammi di cocaina e per plurimi episodi di spaccio. La difesa ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo, tra i vari motivi, che la sostanza stupefacente fosse stata rinvenuta in un appartamento abitato da più persone e, pertanto, non potesse essere attribuita con certezza all’imputato. Oltre a ciò, si richiedeva il riconoscimento dell’ipotesi di reato di lieve entità e la concessione delle attenuanti generiche.
Le indagini avevano però rivelato un quadro più complesso. Sebbene la cocaina fosse in un mobile della sala da pranzo, un’area comune, le forze dell’ordine avevano trovato:
* Nella cucina, altro spazio comune, bilancini di precisione e materiale per il confezionamento.
* Nella stanza personale del ricorrente, una considerevole somma di denaro in contanti, non giustificata dal suo stato di disoccupazione.
* Tre telefoni cellulari utilizzati per le comunicazioni con gli acquirenti.
Inoltre, l’imputato aveva ammesso di aver ceduto sostanze stupefacenti in altre occasioni.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. I giudici hanno sottolineato che il ricorso tendeva a una nuova valutazione dei fatti, un’operazione non consentita in sede di legittimità. La Corte di Appello, secondo la Cassazione, aveva fornito una motivazione congrua, logica e basata su oggettive risultanze processuali, rendendo la sua decisione non censurabile.
Le Motivazioni della Sentenza sulla Detenzione di Stupefacenti
Il cuore della pronuncia risiede nelle motivazioni con cui la Corte ha respinto ogni singola doglianza. La decisione si fonda su una valutazione complessiva degli elementi probatori, che vanno oltre il semplice luogo di ritrovamento della droga.
Per quanto riguarda l’attribuzione della sostanza, i giudici hanno ritenuto corretto il ragionamento della Corte d’Appello: la presenza di bilancini, materiale per il confezionamento, denaro contante ingiustificato nella stanza dell’imputato e, soprattutto, l’ammissione di spaccio creavano un quadro indiziario solido e convergente. Questi elementi collegavano inequivocabilmente l’imputato alla detenzione della cocaina trovata negli spazi comuni, rendendo irrilevante che anche altri avessero accesso a quell’area.
Il Rifiuto dell’Ipotesi di Lieve Entità
Anche la richiesta di qualificare il fatto come di “lieve entità” (art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990) è stata respinta. La Corte ha valorizzato elementi oggettivi e soggettivi che indicavano una notevole gravità della condotta:
* Quantitativo: Oltre 170 dosi ricavabili.
* Purezza: Un principio attivo particolarmente elevato (96,4%).
* Modalità dell’azione: L’imputato non era un semplice anello terminale della catena di spaccio, ma un soggetto inserito in modo strutturato e non occasionale nel circuito criminale. Lo dimostravano l’ampio arco temporale delle cessioni, l’operatività in comuni diversi da quello di residenza e la perseveranza (dopo il sequestro, aveva fornito ai clienti un nuovo numero di telefono per continuare l’attività).
Diniego delle Attenuanti e Sanzione
Infine, la Corte ha confermato il diniego delle circostanze attenuanti generiche e la congruità della pena. La motivazione si è basata sull’assenza di elementi positivi a favore dell’imputato e, al contrario, sulla presenza di elementi negativi, come la resistenza opposta ai pubblici ufficiali durante la perquisizione e il tentativo di riprendere l’attività illecita subito dopo i fatti.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di detenzione di stupefacenti: la responsabilità penale non si ferma alla porta della propria stanza. In un contesto di convivenza, la prova della colpevolezza può essere desunta da una serie di indizi gravi, precisi e concordanti che, nel loro insieme, riconducono la sostanza, anche se materialmente trovata in un’area comune, alla sfera di controllo di uno specifico soggetto. La valutazione del giudice non si limita al dato spaziale, ma abbraccia l’intero comportamento dell’imputato e il contesto in cui il reato si è consumato.
Se la droga viene trovata in un’area comune di una casa condivisa, chi è il responsabile?
Non è automaticamente responsabile chiunque abbia accesso all’area. La responsabilità penale viene attribuita al soggetto al quale la sostanza può essere ricondotta sulla base di altri elementi di prova, come il ritrovamento nella sua stanza di bilancini, denaro contante ingiustificato, materiale per il confezionamento o cellulari usati per lo spaccio.
Quando la detenzione di stupefacenti non può essere considerata di ‘lieve entità’?
Non può essere considerata di lieve entità quando emergono indici di particolare gravità, quali il considerevole numero di dosi ricavabili, l’elevato grado di purezza della sostanza e la modalità organizzata e non occasionale dell’attività di spaccio, che dimostra un inserimento strutturato nel mercato illecito.
Cosa valuta un giudice per negare le circostanze attenuanti generiche in un caso di spaccio?
Il giudice valuta l’assenza di elementi positivi e la presenza di elementi negativi. Nel caso specifico, sono stati considerati negativamente la resistenza opposta alle forze dell’ordine durante la perquisizione e la perseveranza nel continuare l’attività illecita, dimostrata dal tentativo di ricontattare i clienti con un nuovo numero di telefono dopo il sequestro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4396 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4396 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 15/12/1991
avverso la sentenza del 24/04/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso sentenza di condanna in relazione alla detenzione di sostanza stupefacente del tipo cocaina (capo 1) e in relazione a plurimi episodi di cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina (capo 2 e capo 3), lamentando, con il primo motivo, vizio della motivazione e violazione di legge in ordine all’affermazione della responsabilità per l detenzione di grammi 32 di cocaina (capo 1), posto che lo stupefacente è stato rinvenuto in un appartamento abitato da più soggetti; con il secondo motivo, contesta la mancata qualificazione di fatti ai sensi del comma quinto dell’art. 73 d.P.R.309/1990; con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio della motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuan generiche, con il quarto motivo, violazione di legge in ordine al trattamento sanzionatorio.
Il ricorso è inammissibile. Il ricorrente, riproponendo le medesime censure avanzate alla Corte territoriale, sostanzialmente in punto di fatto, tende ad ottenere in questa sede una diversa lettura delle stesse emergenze istruttorie già esaminate dai Giudici di merito, sollecitandone una valutazione in fatto diversa e più favorevole, non consentita alla Corte di legittimità. doglianza, inoltre, trascura che la Corte di appello ha redatto una motivazione del tutto congrua, fondata su oggettive risultanze dibattimentali e non manifestamente illogica; come tale, quindi, non censurabile.
Con riferimento alla prima doglianza il giudice a quo ha affermato che lo stupefacente era da attribuire anche all’imputato, in quanto rinvenuto all’interno di un mobile nella sala da pranzo un’area comune della casa, in un punto facilmente accessibile a tutti i coinquilini. Peraltro, giudice ha evidenziato che in cucina – luogo accessibile a tutti i coinquilini – vi erano bilanc materiale per il confezionamento e una dose del peso di un grammo di sostanza del tipo cocaina. Inoltre, nella stanza del ricorrente è stata rinvenuta una considerevole somma di denaro in contanti, non giustificata – essendo egli disoccupato – e ben tre telefoni cellulari da cui ri siano intercorse le comunicazioni con gli acquirenti di cocaina, la cui cessione è contestata nel capo 2 di imputazione. Il ricorrente ha inoltre ammesso di cedere sostanza stupefacente. Pertanto, il giudice territoriale ha ritenuto di ricondurre anche al ricorrente la detenzione d stupefacente – della medesima tipologia di quello ceduto – rinvenuto presso gli spazi comuni dell’abitazione.
In ordine alla richiesta di qualificazione dei fatti nell’ipotesi di lieve entità, il giudice t ha richiamato il numero considerevole di dosi (oltre 170), il grado di purezza particolarmente elevato, pari a 96,4 %, ritenendo che il ricorrente non fosse un anello terminale del mercato illecito di stupefacenti ma partecipasse al circuito criminale in modo strutturato e no occasionale, come peraltro si desume dal fatto che le cessioni contestate nel presente procedimento investono un arco temporale ampio, dallo svolgimento dell’attività anche in zone e comuni diversi da quelle di residenza, nonché dalla perseveranza mostrata dal ricorrente il quale, dopo il sequestro della sostanza stupefacente, ha fornito ai propri clienti un nuovo numero telefonico in modo da proseguire la propria attività illecita.
Quanto al trattamento sanzionatorio, il giudice a quo ha ritenuto congruo il discostamento dal minimo edittale in ragione del dato ponderale della sostanza sequestrata, del significativo principio attivo e del comportamento susseguente al reato tenuto dall’imputato che ha opposto resistenza alle forze dell’ordine pur di evitare di accertamenti e che subito dopo i fatti tentava riprendere la propria attività illecita ricontattando i propri clienti da una nuova utenza telefon Con motivazione altrettapto adeguata, non sindacabile in questa sede, il giudice a quo ha 11.0. “so · Ar · constatato l’assenza di’/ positivi favorevoli al riconoscimento delle circostanze attenuant generiche, tanto più che ricorrente ha opposto resistenza ai pubblici ufficiali nel corso del perquisizione eseguita a suo carico.
Rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 06/12/2024
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