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Detenzione di stupefacenti: la disponibilità delle chiavi

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per detenzione di stupefacenti di un individuo, chiarendo un principio fondamentale: per configurare il reato non è necessario il contatto fisico con la droga. È sufficiente avere la disponibilità di fatto del luogo in cui questa è custodita, come dimostrato dal possesso delle chiavi dell’appartamento usato come deposito. La Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo le prove indiziarie (l’avvicinamento al luogo, la fuga alla vista della polizia) gravi, precise e concordanti e sufficienti a provare la colpevolezza.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenzione di stupefacenti: le chiavi del deposito bastano per la condanna

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 24090/2024 offre un’importante chiarificazione sul concetto di detenzione di stupefacenti. Spesso si pensa che per essere condannati sia necessario essere colti con la droga addosso. Questa pronuncia ribadisce un principio consolidato: non serve il contatto fisico, ma è sufficiente avere la disponibilità di fatto del luogo dove la sostanza è nascosta. Vediamo insieme i dettagli di questo caso emblematico.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un uomo condannato in primo e secondo grado per la detenzione illecita di cocaina e hashish. Le forze dell’ordine, durante un servizio di osservazione, avevano notato l’imputato arrivare a bordo di un’auto, lasciarla aperta con le chiavi inserite e dirigersi con decisione verso un appartamento. All’interno di quell’abitazione erano custodite le sostanze stupefacenti.

Accortosi della presenza dei Carabinieri, l’uomo si era dato immediatamente alla fuga a piedi, riuscendo a far perdere le proprie tracce. Poco dopo, veniva fermato a bordo di un’altra auto guidata da un complice. La difesa sosteneva che la sua presenza in quel luogo fosse motivata da altre ragioni, ma la sua fuga e le altre circostanze hanno costruito un quadro indiziario solido a suo carico.

Il Ricorso in Cassazione: I Motivi della Difesa

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi punti:
1. Vizio di motivazione: I giudici di merito avrebbero basato la condanna su mere presunzioni, senza prove concrete che l’imputato si stesse dirigendo proprio in quell’appartamento per prelevare la droga.
2. Mancata rinnovazione dell’istruttoria: Era stato negato l’ascolto di un testimone che, secondo la difesa, avrebbe potuto chiarire la situazione.
3. Insussistenza della detenzione: Non essendoci stato contatto fisico con la droga, non si poteva parlare di detenzione, ma al massimo di una mera intenzione criminosa non punibile.
4. Mancata applicazione dell’ipotesi lieve: La difesa contestava il diniego della fattispecie di lieve entità prevista dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione sulla detenzione di stupefacenti

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato in ogni suo punto. Il cuore della decisione risiede nella definizione giuridica di detenzione di stupefacenti.

I giudici hanno spiegato che il termine ‘detenzione’ non implica necessariamente un contatto fisico e immediato con la sostanza. Esso va inteso come ‘disponibilità di fatto’, ovvero la capacità di accedere e disporre della droga in qualsiasi momento. Nel caso di specie, l’imputato aveva le chiavi dell’immobile dove era custodita la sostanza, una chiave fornita dalla proprietà e una seconda per una serratura aggiunta. La consegna delle chiavi ha segnato il momento in cui egli ha acquisito la titolarità della disponibilità della droga.

La Corte ha sottolineato che questo potere di accesso equivale a una forma di custodia e controllo che integra pienamente il reato. La condotta dell’imputato, analizzata nel suo complesso (arrivo sul posto, modalità sospette, fuga immediata), costituiva un insieme di indizi gravi, precisi e concordanti, sufficienti a fondare una pronuncia di colpevolezza secondo l’art. 192, comma 2, del codice di procedura penale.

Inoltre, la Corte ha ritenuto legittimo il diniego di rinnovare l’istruttoria in appello, poiché l’istituto ha carattere eccezionale e i giudici avevano già a disposizione tutti gli elementi per decidere. Anche la richiesta di qualificare il fatto come di lieve entità è stata respinta, considerando le modalità complessive della condotta e il fatto che l’immobile fosse adibito a vero e proprio deposito, indicando una non occasionalità dell’attività illecita.

Le Conclusioni

Questa sentenza è un monito importante: la lotta alla detenzione di stupefacenti si basa su una concezione ampia del reato. Non è necessario essere ‘colti in flagrante’ con la droga in tasca per essere condannati. Avere le chiavi di un’auto, di un garage o di un appartamento utilizzato come deposito è sufficiente a dimostrare la disponibilità della sostanza e, di conseguenza, a integrare il reato. La valutazione dei giudici si basa sulla logica concatenazione degli indizi, che, se gravi, precisi e concordanti, possono portare a una condanna certa.

Cosa si intende per detenzione di stupefacenti secondo la Cassazione?
Per detenzione si intende la disponibilità di fatto della sostanza, che si realizza quando un soggetto ha la possibilità di accedere liberamente al luogo dove essa è custodita per prelevarla, anche senza un contatto fisico diretto.

Avere le chiavi di un luogo con droga è sufficiente per una condanna?
Sì. Secondo la sentenza, il possesso delle chiavi dell’immobile dove la droga è custodita concretizza la titolarità della disponibilità della sostanza e, quindi, integra il reato di detenzione, in quanto permette di attrarre la sostanza nella propria sfera di controllo.

Quando un giudice d’appello può rifiutare di ascoltare nuovi testimoni?
Il giudice d’appello può rifiutare la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale quando ritiene, con decisione non palesemente illogica, che gli atti del processo di primo grado siano già completi e sufficienti per decidere, poiché la rinnovazione è un istituto di carattere eccezionale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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