Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4534 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4534 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/09/2022 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza del Tribunale di Palermo del 19 aprile 2019, con cui COGNOME NOME era stato condannato alla pena di anni due di reclusione ed euro diciottomila di multa in relazione al reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 (detenzione di gr. 500 di marijuana).
COGNOME, a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello per violazione di legge in relazione alla ritenuta disponibilità del garage dislocato nel quartiere “Brancaccio” di Palermo, dove era stato rinvenuto lo stupefacente sequestrato.
3. Il ricorso è inammissibile.
Con riferimento all’unico motivo di ricorso, va premesso il principio costantemente affermato da questa Corte, secondo cui, in tema di reati concernenti gli stupefacenti, il termine “detenzione” non implica necessariamente un contatto fisico immediato tra il soggetto attivo e la sostanza, ma deve essere inteso nel senso di disponibilità di fatto, pur in difetto dell’esercizio continuo e/o immediato di un potere manuale sulla stessa (Sez. 4, n. 38901 del 15/06/2023, COGNOME, non massimata; Sez. 6, n. 14955 del 16/01/2019, COGNOME, Rv. 275537; Sez. 3, n. 3114 del 21/11/2013, dep. 2014, Gallo, Rv. 259095; Sez. 4, n. 47472 del 13/11/2008, NOME, Rv. 242389).
In linea con tale principio, la Corte territoriale ha fornito un’adeguata e coerente spiegazione in ordine alle ragioni del ritenuto collegamento tra lo stupefacente e la persona del COGNOME, sottolineando quanto segue:
a) la non sostenibilità della tesi secondo cui l’imputato si sarebbe recato a comprare una dose di droga per sé e, in tale circostanza, avrebbe assunto un atteggiamento così familiare da adoperarsi nell’apertura del garage, del quale, tra l’altro, conosceva alla perfezione il sistema basculante e il presunto venditore avrebbe accettato di condurre uno sconosciuto all’interno del magazzino adibito a luogo di custodia di un apprezzabile quantitativo di stupefacente;
b) il ritrovamento all’interno del magazzino solo di sacchetti con la dicitura “RAP”, che sicuramente potevano trovarsi nella disponibilità dell’imputato, in quanto dipendente dell’omonima società addetta alla raccolta dei rifiuti;
l’irrilevanza dell’ubicazione del luogo di residenza dell’imputato in quartiere distante dal luogo dei fatti, in quanto egli prestava servizio per la società “RAGIONE_SOCIALE” proprio nella zona del quartiere “Brancaccio”;
l’irrilevanza dell’espletamento di verifiche circa l’intestatario della fornitura Enel del garage e delle frequentazioni del COGNOME ai fini dell’eventuale esclusione della responsabilità dell’imputato.
Le doglianze con cui la difesa esclude l’apporto dell’imputato nell’azione criminosa sono inammissibili nella presente sede, essendo precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).
Il ricorrente, peraltro, non si confronta con l’articolato e logico apparato argomentativo di cui alla sentenza impugnata, sostanzialmente reiterando i rilievi già formulati con l’atto di appello.
Per tali ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 17, gennaio 2024.