Detenzione di stupefacenti: la confessione del partner non basta a salvarsi
Nel complesso ambito del diritto penale, la detenzione di stupefacenti è un reato che solleva questioni probatorie delicate, specialmente quando l’illecito avviene in un contesto di convivenza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito che, per escludere la propria responsabilità, non è sufficiente addossare la colpa al convivente, anche se quest’ultimo si autoaccusa. La Corte valuta l’insieme delle circostanze, e il comportamento dell’imputato può rivelarsi un elemento decisivo. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti del Caso
Il caso ha origine da una condanna per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti. Durante un controllo, le forze dell’ordine, grazie all’ausilio di unità cinofile, rinvenivano una piccola quantità di cocaina (0,50 grammi) nell’automobile in uso all’imputato. La successiva perquisizione si estendeva all’abitazione, di cui l’uomo aveva la piena disponibilità, portando alla luce un quadro ben più grave.
All’interno dell’appartamento venivano trovate diverse tipologie di droghe (cocaina, marijuana, mannitolo), occultate in più punti, oltre a un bilancino di precisione, ritagli di cellophane e una cospicua somma di denaro. Di fronte a queste prove, la strategia difensiva dell’imputato si concentrava su un unico punto: la droga apparteneva esclusivamente alla sua compagna convivente, unica assuntrice, la quale aveva anche reso dichiarazioni autoaccusatorie in tal senso.
La Decisione della Corte sulla detenzione di stupefacenti
L’imputato, dopo la condanna in Appello, ha presentato ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione e un travisamento della prova. Sosteneva, in pratica, che i giudici di merito avessero sbagliato a ritenerlo responsabile.
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno stabilito che le argomentazioni difensive non rientravano tra i motivi per cui è possibile ricorrere in Cassazione, poiché si limitavano a contestare la valutazione delle prove e la ricostruzione dei fatti, attività di competenza esclusiva dei giudici di primo e secondo grado. La Corte ha ritenuto la motivazione della sentenza d’appello congrua, logica e completa, e quindi non sindacabile in sede di legittimità.
Le Motivazioni della Sentenza
La Corte di Cassazione ha spiegato in modo dettagliato perché la difesa dell’imputato non poteva essere accolta. Le motivazioni si basano su una valutazione complessiva degli elementi emersi, che andavano ben oltre la semplice confessione della compagna.
1. Incompatibilità delle Quantità: I giudici hanno sottolineato che la quantità e la varietà delle sostanze stupefacenti rinvenute erano incompatibili con la tesi di un uso personale e saltuario da parte della sola compagna. La presenza di cocaina, marijuana, mannitolo (una sostanza da taglio), un bilancino e materiale per il confezionamento indicava un’attività che andava oltre il semplice consumo.
2. Comportamento dell’Imputato: Un elemento chiave è stato il comportamento tenuto dall’imputato durante i controlli. Egli aveva spontaneamente consegnato una minima quantità di cocaina, un gesto interpretato dai giudici non come collaborazione, ma come un tentativo di sviare le ricerche e nascondere il resto della sostanza. Inoltre, aveva fornito informazioni fuorvianti alle forze dell’ordine circa il proprio domicilio. Questo atteggiamento è stato considerato indice della sua piena consapevolezza e del suo coinvolgimento nella detenzione di stupefacenti.
3. Irrilevanza della Confessione Altrui: Di fronte a un quadro probatorio così solido, le dichiarazioni autoaccusatorie della convivente non sono state ritenute sufficienti a scagionare l’imputato. La Corte ha ritenuto che gli elementi a carico dell’uomo fossero così forti da dimostrare la sua partecipazione all’illecito, a prescindere dalle dichiarazioni della donna (la cui posizione è stata comunque trasmessa alla Procura per le valutazioni del caso).
Conclusioni
Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: in un’abitazione condivisa, la responsabilità per la detenzione di sostanze stupefacenti non può essere semplicemente ‘scaricata’ su un altro convivente. I giudici non si fermano a una singola dichiarazione, ma analizzano il contesto nella sua interezza. La quantità e la natura della droga, la presenza di strumenti per il taglio e il confezionamento, e soprattutto il comportamento tenuto dall’imputato durante le indagini sono tutti fattori che contribuiscono a formare il convincimento del giudice. Fingersi all’oscuro o tentare di depistare le indagini può rivelarsi una strategia controproducente, interpretata come un chiaro segno di colpevolezza.
È sufficiente la confessione di un convivente per escludere la responsabilità dell’altro per la detenzione di stupefacenti in casa?
No, secondo questa ordinanza, la confessione autoaccusatoria di un convivente non è sufficiente a escludere la responsabilità dell’altro se ci sono prove concrete che dimostrano il suo coinvolgimento, come la quantità di droga e il suo comportamento.
Quali elementi ha considerato la Corte per confermare la consapevolezza dell’imputato nella detenzione di stupefacenti?
La Corte ha considerato il quantitativo complessivo di sostanze, incompatibile con un uso personale saltuario, la presenza di un bilancino e materiale per il confezionamento, e soprattutto l’atteggiamento dell’imputato, che ha fornito informazioni fuorvianti e ha cercato di sviare le ricerche consegnando solo una minima parte della droga.
Perché il ricorso per cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure sollevate dall’imputato non riguardavano vizi di legittimità (cioè errori di diritto), ma contestavano la valutazione delle prove e la ricostruzione dei fatti, aspetti che sono di esclusiva competenza dei giudici di merito e non possono essere riesaminati dalla Corte di Cassazione, a meno che la motivazione non sia manifestamente illogica o contraddittoria.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30739 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30739 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 11/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SORSO il 14/12/1960
avverso la sentenza del 21/05/2024 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di SASSARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
COGNOME NOME ricorre per cassazione avverso sentenza di condanna per i reati di cui ag artt.73, commi 1 e 5, deducendo, con unico motivo di ricorso, vizio della motivazione travisamento della prova in ordine all’affermazione della responsabilità, essendo lo stupefacen rinvenuto nell’auto e all’interno dell’abitazione, attribuibile esclusivamente alla propria com convivente.
La doglianza non rientra nel numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimi investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riservati alla cog del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazion siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell’iter logic giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. Nel caso di specie, dalle cade motivazionali della sentenza d’appello è enucleabile una ricostruzione dei fatti preci circostanziata, avendo i giudici di secondo grado preso in esame tutte le deduzioni difensive essendo pervenuti alle loro conclusioni, in punto di responsabilità, attraverso una disami completa ed approfondita delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile, sotto il profi della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in ter contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede, come si des dalle considerazioni formulate dal giudice a quo, laddove ha affermato che gli operanti hann effettuato in primo luogo, tramite le unità cinofile, una perquisizione dell’auto in uso al ric rinvenendo un primo quantitativo di cocaina ( grammi 0,50). Successivamente veniva effettuata perquisizione domiciliare nell’abitazione del ricorrente, di cui egli aveva disponibilità delle ove, occultata in più punti dell’abitazione, veniva rinvenuta sostanza stupefacente del . cocaina, marijuana, mannitolo, oltre ad un bilancino elettronico di precisione e a rita cellophane; è stata rinvenuta anche una ingente somma di danaro.
Il giudice a quo ha affermato che il ricorrente spontanemante ha consegnato un quantitativo minimo di cocaina, al solo scopo di sviare le ricerche e che comunque il quantitativo di sostan complessivamente detenuta non è compatibile con la tesi secondo cui la sostanza era destinata all’uso saltuario della compagna, unica assuntrice di droga che ha reso dichiarazio autoaccusatorie. Né – afferma il giudice- con tale tesi difensiva è compatibile l’atteggiam assunto dell’imputato che ha fornito informazioni fuorvianti alle forze dell’ordine al pr domicilio, elemento da cui il giudice ha inferito la piena consapevole detenzione della sostanz trasmettendo gli atti alla Procura per quanto attiene alla posizione della compagna convivente.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e a norma dell’art. 616 cod. pro pen., alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibi colpa del ricorrente (Corte Cost. 7 -13 giugno 2000, n. 186) – segue l’onere delle spese d procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti, di euro tremila
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 11 aprile 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente