Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 20937 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 20937 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 14/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME nato a ROMA il 20/09/2002
avverso la sentenza del 10/09/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME il quale ha chiesto il rigetto del ricorso;
uditi gli avv.ti NOME COGNOME ed NOME COGNOME del foro di Roma che hanno insistito nell’accoglimento dei motivi di ricorso chiedendo l’annullamento della sentenza.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale locale, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ha rideterminato la pena inflitta a NOME COGNOME che era stato chiamato a rispondere del reato di cui all’art. 73 co. 4 e 80 co. 2 d.P.R. 309/1990.
COGNOME era stato tratto in arresto in flagranza insieme ad NOME COGNOME mentre salivano su un’autovettura a bordo della quale erano rinvenuti due borsoni collocati nel bagagliaio e una scatola di carta poggiata sul sedile posteriore, contenenti sostanza stupefacente del tipo hashish e marijuana per un peso complessivo di 30 chilogrammi variamente suddivisa. Oltre la droga era rinvenuto un bilancino di precisione, la somma di 1.080 euro custodita all’interno di un borsello, quattro telefoni cellulari, sei contratti di locazione di veicoli presso diverse ditte di noleggio e sette fogli manoscritti contenenti un elenco di nomi e numeri di telefono nonché un altro foglio su cui erano annotati indirizzi mail e credenziali soda! di vari soggetti. L’autovettura risultava noleggiata in data 21 luglio 2023 ma non era possibile individuare il locatario.
Il Tribunale, respingendo gli argomenti difensivi secondo cui il COGNOME non sarebbe stato a conoscenza di quanto si trovava sull’autovettura, sulla scorta degli elementi acquisiti, utilizzabili per effetto della scelta del rito abbreviato, perveniv alla condanna dell’imputato; assolveva, invece il coimputato, che era stato notato entrare in auto e sedersi sul sedile lato passeggero, sul presupposto della impossibilità di stabilire il confine, tra la connivenza e il concorso nel reato.
La sentenza di primo grado, salvo quanto detto con riferimento al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche concesse in virtù della giovane età e dell’incensuratezza, veniva confermata dalla Corte di appello che respingeva le censure mosse con l’atto di gravame che afferivano alla mancata conoscenza e alla cooptazione, da parte di terzi, funzionale solo ed esclusivamente al trasporto dell’auto e con le quali si chiedeva l’esclusione della circostanza aggravante contestata.
Avverso la sentenza è stato proposto ricorso nell’interesse di COGNOME affidandolo a cinque motivi.
2.1. Con il primo si deduce la violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. con riferimento all’art. 73 d.P.R. n. 309/90 in relazione agli artt. 56 cod. pen. e 530 cod. proc. pen. La difesa aveva evidenziato i concreti dubbi circa la consapevolezza del COGNOME del contenuto di quell’auto, della quale gli erano state consegnate le chiavi per procedere al suo recupero. Era stato sostenuto dai militari che parte del contenuto era visibile in quanto posto sul sedile posteriore e
che al suo arrivo COGNOME apriva il portabagagli “rimanendo fermo, impietrito”. La Corte ha recepito l’impianto motivazionale posto dal primo giudice secondo che secondo la difesa sarebbe erroneo dato che COGNOME, prima ancora di salire sull’auto, aveva desistito dal prenderne possesso una volta resosi conto del contenuto malcelato. A fronte di ciò erroneamente si ritiene “confessione” quanto il giovane ha dichiarato alla consulente di parte dott.ssa COGNOME dichiarazione contenuta nell’elaborato della specialista. Resta il fatto che COGNOME, aperto il bagagliaio e visto il contenuto, è rimasto “immobile”. Si versa in ipotesi di desistenza volontaria poiché il COGNOME non ha mai attratto nella propria sfera di custodia né l’auto né il suo contenuto.
2.2. Con il secondo motivo la difesa deduce la violazione di legge laddove la Corte, a giustificazione della colpevolezza del COGNOME, assume come inverosimile che i mandanti dell’imputato si siano avvalsi di un soggetto ignaro ed estraneo alla sfera dei propri interessi, in uno alla circostanza che il giovane non abbia mai inteso chiarire la dinamica dell’operazione in parola. L’argomento si pone in contraddizione con la spiegata desistenza del giovane. Solo nell’ottica dell’estraneità a circuiti criminali può essere letta l’esitazione del COGNOME. La Corte ha ignorato le dichiarazioni spontanee del COGNOME rese il 10 settembre 2024 allorquando costui ha palesato le proprie preoccupazioni per l’incolumità propria e dei propri familiari. La Corte, poi, è caduta in un errore metodologico laddove non si è confrontata con il dato oggettivo del noleggio della vettura da parte di altro soggetto come pure della presenza sull’auto di oggetti non appartenenti all’imputato.
2.3. Con il terzo motivo la difesa si duole della violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. e dell’art. 59 co. 2 cod. pen. con particolare riferimento all’art. 80 d.P.R. n. 309/90. La Corte non ha valutato il comportamento processuale del ricorrente. Il giovane dinanzi alla Corte ha palesato il proprio timore e ha evidenziato che giunto in prossimità dell’auto, avendo la sensazione che la stessa fosse abbandonata, ha aperto il bagagliaio. Solo in questo frangente si sarebbe reso conto del contenuto. Da ciò non può inferirsi che egli fosse consapevole di quell’ingente quantitativo contenuto nello stupefacente, pari a due chilogrammi di principio attivo. In altri termini, la circostanza aggravante sarebbe stata contestata solo sulla scorta di indici presuntivi.
2.4. Con il quarto motivo la difesa deduce la violazione di legge in relazione alla erronea applicazione degli artt. 192 e 533 co. 1 cod. proc. pen. La Corte ha escluso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, sul presupposto del contegno processuale tenuto dal COGNOME in merito ai rapporti con i mandanti avuto riguardo alla palesata preoccupazione per
l’incolumità propria e dei propri familiari. L’apporto del COGNOME era del tutto marginale e poteva essere affidato a qualunque giovane incensurato.
2.5 Con l’ultimo motivo si contesta la violazione di legge e il vizio di motivazione sotto il profilo dell’art. 11 co.1, 2 e 5 e dell’art. 6 CEDU. La Corte ha attinto elementi dalle dichiarazioni che il COGNOME ha reso alla psicologa dott.ssa COGNOME consulente della difesa, nella parte in cui l’imputato le avrebbe detto di essere entrato in un “gruppo sbagliato”, in un periodo sbagliato della sua vita e che all’interno di detto gruppo, alcuni “fumavano” e gli era capitato di pensare “di poter guadagnare”. Da ciò la Corte ha desunto la consapevolezza del ricorrente di quanto avrebbe trasportato insieme all’autovettura. Secondo la difesa, la consulenza tecnica di parte della dott.ssa COGNOME è stata acquisita in violazione delle regole dato che il Tribunale all’udienza del 10 gennaio 2024, dunque, dopo l’udienza di discussione l’ha acquisita senza sottoporre ad esame il medico firmatario di tale elaborato ai sensi dell’art. 468 cod. proc. pen.
3. All’udienza le parti hanno concluso come in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Il primo e il secondo motivo possono essere trattati congiuntamente. In maniera affatto illogica già il Tribunale, rispondendo all’argomento speso dalla difesa circa la mancata consapevolezza, da parte del ricorrente, del carico contenuto su quell’autovettura della quale gli erano state consegnate le chiavi al solo fine di prelevarla, assume che “di norma chi si appresta a mettersi alla guida di un autoveicolo, non si preoccupa di aprire il portabagagli per verificarne il contenuto”. Ha rilevato il primo giudice che tale gestualità appartiene all’agire comune quando il conducente sa di dover trasportare oggetti di cospicuo valore tanto più quando si tratti di materiale illecito che il conducente ha interesse a verificare anche al fine di controllarlo e sistemarlo accuratamente prima di muoversi verso la meta stabilita. L’argomento è stato desunto dalla circostanza riferita anche da un militare dell’Arma il quale aveva rilevato che già dall’esterno erano visibili lembi di cellophane che fuoriuscivano dai borsoni collocati nel portabagagli e che potevano destare sospetti ad un osservatore esterno.
Ha rilevato il Tribunale che, una volta sbloccate le serrature dell’autovettura, il fatto che COGNOME si sia subito recato verso il portabagagli aprendo il portellone rappresenta elemento indicativo del fatto che sapeva di trovare o poter trovare oggetti di interesse.
Sempre con argomenti logici il Tribunale ha rilevato che la reazione di sorpresa/sconcerto osservata dal mar.11o COGNOME è frutto di una sensazioneinterpretazione dell’operatore, ben potendo trattarsi della reazione di chi, aperto il portabagagli era rimasto ad osservarne il contenuto, atteggiamento questo al quale non può certo attribuirsi un significato univoco, tantomeno nei termini riferiti dal militare. Come pure è stato affrontato in maniera logica ed esente dalle critiche mosse, la reazione di vergogna manifesta dal giovane non appena i carabinieri gli si avvicinavano scoprendo così il carico illecito, evidenziando che tale reazione poteva ben essere ricondotta all’essere, l’imputato, figlio e fratello di militari dell’Arma e non necessariamente alla reazione di angoscia e di sbigottimento di chi viene colto, da innocente, in una situazione la cui apparenza sarebbe difficilmente superabile.
Nè è da porre in discussione che il COGNOME abbia detenuto la sostanza stupefacente in questione. Come rilevato dal P.G., il termine “detenzione” non implica necessariamente un contatto fisico immediato tra il soggetto attivo e la sostanza, essendo sufficiente la disponibilità di fatto, pur in difetto dell’esercizio continuo e/o immediato di un potere manuale sulla stessa (Sez. 4, n. 38901 del 15/06/2023, Franco, non massimata; Sez. 6, n. 14955 del 16/01/2019, COGNOME, Rv. 275537; Sez. 3, n. 3114 del 21/11/2013, dep. 2014, Gallo, Rv. 259095; Sez. 4, n. 47472 del 13/11/2008, COGNOME, Rv. 242389).
Né, ancora, coglie nel segno l’argomento speso a sostegno dell’ipotesi di desistenza volontaria.
E’ noto, sul punto, che ai fini in esame è richiesto che la condotta dell’agente, per iniziativa volontaria, si arresti prima del completamento dell’azione esecutiva e impedisca l’evento. Occorre, dunque, un comportamento positivo che eviti che il tentativo posto in essere pervenga al risultato voluto Sez. 6, n. 43767 del 07/10/2014, ludica, non massimata; Sez. 2, n. 7125 del 26/11/1987, dep. 1988, Surico, Rv. 178632).
Nel caso in esame la condotta posta in essere dal COGNOME si era protratta dalla acquisizione dell’auto fino all’intervento delle forze dell’ordine.
E’ stato poi, con motivazione affatto illogica, che non si affida ad un soggetto del tutto ignaro, un’autovettura con un carico così prezioso, peraltro, in parte visibile, anche a prescindere dall’apertura del cofano, correndo il rischio che il “conducente” decida di disfarsi dello stupefacente o che se ne impossessi.
Riprendendo l’argomento difensivo riproposto in grado di appello e oggi dinanzi a questa Corte, si afferma che l’imputato avendo accettato l’incarico di
prelevare la macchina si sarebbe recato a controllare nel bagagliaio nell’intento di verificarne il contenuto.
Il Tribunale, con motivazione non manifestamente illogica ha rilevato che anche una simile condotta determinerebbe quantomeno l’accettazione del rischio di effettuare un’operazione di trasporto di droga, delineando un atteggiamento psichico identificabile nel dolo eventuale.
Quanto al terzo motivo, questa Corte ha precisato che ai fini del riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 80, co. 2., d.P.R. 309/1990 è sufficiente la prova che il soggetto agente l’abbia ignorata per colpa o ritenuta inesistente per errore o colpa grave (Sez. 4, n. 18049 del 14/04/2022, COGNOME, Rv. 283209).
Nel caso di specie, la Corte territoriale, respingendo il motivo di gravame, ha ritenuto il ricorrente consapevole dei quantitativi di droga oggetto del trasporto e lo ha fatto con motivazione non illogica e coerente con gli elementi acquisiti che non può essere oggetto di censura in questa sede, men che meno mediante la reiterazione degli argomenti spesi che attengono all’atteggiamento di “sorpresa” che il militare dell’Arma ha ricondotto all’apertura del vano portabagagli.
E’ manifestamente infondato il quarto motivo di ricorso. E’ stato costantemente affermato da questa Corte di legittimità, anche a Sezioni Unite, il principio secondo cui le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra le opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale, sfuggono al sindacato di legittimità salvo che non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che, per giustificare la soluzione dell’equivalenza, si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931; Sez. 2, n. 31543 dell’08/06/2017, COGNOME, Rv. 270450).
Il giudizio di bilanciamento tra le circostanze aggravanti ed attenuanti, pertanto, costituisce esercizio del potere valutativo riservato al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità ove congruamente motivato alla stregua anche solo di alcuni dei parametri previsti dall’art. 133 cod. pen., senza che occorra un’analitica esposizione dei criteri di valutazione adoperati (Sez. 5 , n. 33114 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 279838 – 02), essendo rilevante che il giudizio sia condotto, mediante apprezzamento degli elementi così individuati, in modo logico e coerente rispetto a quelli concorrenti di segno opposto (Sez. 1, n. 17494 del 18/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279181 – 02).
Il giudizio di comparazione, peraltro, risulta sufficientemente motivato, quando il giudice, nell’esercizio del potere discrezionale previsto dall’art. 69 cod. pen. scelga la soluzione dell’equivalenza, anziché della prevalenza delle attenuanti, ritenendola quella più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. 2, n. 31531 del 16/05/2017, COGNOME, Rv. 270481).
La Corte territoriale, nel rispetto dei principi sopra richiamati ha compiutamente richiamato e ribadito, con adeguato percorso motivazionale, il percorso argomentativo del primo giudice sul punto.
7. Non coglie nel segno il quinto motivo di ricorso.
Nel verbale di udienza del 17 novembre 2023 si legge che la difesa chiede di produrre “relazione di consulenza del proprio assistito. Sull’accordo delle parti, quindi, la relazione viene acquisita”. A questo punto il giudice, dichiarati utilizzabili tutti gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento e invitava le parti a concludere
Deduce la difesa violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte di merito utilizzato le dichiarazioni rese dal COGNOME alla psicologa, consulente della difesa, il cui elaborato veniva prodotto in giudizio.
Questa Corte ha avuto modo di affermare che le informazioni date dall’imputato al perito sono inutilizzabili per finalità diversa da quelle oggetto dell’accertamento peritale. Detta inutilizzabilità opera anche con riferimento al giudizio abbreviato (Sez. 1 n. 21185 del 02/12/2015, dep. 2016, Rv. 266883) e che detta inutilizzabilità è rilevabile in ogni stato e grado del processo (Sez. 1, n. 9015 del 14/11/2023, dep. 2024, Putignano, Rv. 285858).
E’ di tutta evidenza come la consulenza di parte, prodotta dalla difesa, non sia assimilabile alla perizia né, d’altra parte nel produrre la consulenza sono state poste limitazioni alla totale utilizzabilità dell’elaborato prodotto dalla difesa che la consulenza di parte, prodotta dalla difesa, non è in alcun modo assimilabile alla perizia.
Ciò che va, tuttavia, rilevato è che anche a prescindere dal suddetto elemento, l’impianto motivazionale non rimane travolto né il ricorso spiega le ragioni per le quali la contestata inutilizzabilità renderebbe insufficienti gli alt elementi di prova per l’affermazione di colpevolezza.
In proposito va ricordato il costante insegnamento di questa Corte di legittimità secondo cui nel caso in cui il ricorso lamenti l’inutilizzabilità di elemento a carico deve comunque illustrare l’incidenza che l’eventuale eliminazione del suddetto elemento dato che gli elementi di prova acquisiti illegittimamente divengono irrilevanti e ininfluenti ove, nonostante la loro espunzione risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 2, n.
7986 del 18/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269218 – vedi anche Sez. 2, n.
30271 del 11/05/2017, COGNOME, Rv. 270303).
6. Ne consegue il rigetto del ricorso proposto e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Deciso il 14 marzo 2025