Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 9237 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 9237 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME COGNOME nata in Nigeria il 01/10/1964
avverso la sentenza del 09/04/2024 della Corte di appello di Roma
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 09/04/2024, la Corte di appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Roma in data 15/12/2022, con la quale NOME COGNOME NOME COGNOME all’esito di giudizio abbreviato, era stata dichiarata responsabile del reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/1990 – detenzione illecita di gr 18,8 di sostanza stupefacente del tipo eroina pari a 752 dosi singole medie – e condannata alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed euro 18.000,00 di multa.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, articolando quattro motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/1990 e vizio di motivazione.
Argomenta che la Corte di appello aveva ritenuto che la detenzione dello stupefacente fosse finalizzata alla cessione a terzi con motivazione carente ed illogica, omettendo di considerare che non era stata sottoposta a sequestro la somma di denaro rinvenuta nel corso della perquisizione dell’esercizio commerciale dell’imputata nonchè di valutare il complessivo stato dei luoghi dimostrativo dell’assenza di controllo da parte della stessa e, quindi, della sussistenza dell’elemento soggettivo de reato; rimarca che la condotta ascritta sarebbe al più riconducibile entro l’alveo della connivenza non punibile.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 e vizio di motivazione.
Argomenta che la Corte di appello aveva erroneamente denegato la configurabilità dell’ipotesi lieve di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, dando rilievo al solo dato ponderale, peraltro inferiore al dato statistico individuato dalla giurisprudenza di legittimità, e non valutando complessivamente il fatto.
Con il terzo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 133, 133ter,163 e 175 cod.pen.
Argomenta che la Corte di appello aveva determinato una pena eccessiva e disatteso la richiesta di rateizzazione della pena pecuniaria, con motivazione carente ed illogica richiamando il precedente penale dell’imputata, risalente nel tempo, e non considerando lo stato di disagio sociale e le precarie condizioni economiche dell’imputata; la riduzione della pena irrogata dal primo giudice avrebbe consentito anche la concessione dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna.
Con il quarto motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 545-bis cod.proc.pen. e vizio di motivazione, lamentando che la Corte di appello aveva disatteso la richiesta di sostituzione della pena detentiva con pena alternativa in contrasto con la ratio della predetta disposizione volta a consentire la risocializzazione del condannato.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo di ricorso è infondato.
La Corte territoriale, nel ritenere comprovata la responsabilità della ricorrente a titolo concorsuale per il reato di detenzione di stupefacente a fini di spaccio, ha offerto una motivazione logica e coerente, e pertanto immune dai denunciati vizi di legittimità, rilevando come, oltre al dato quantitativo (pari a 752 dosi circa d eroina), andassero valorizzati anche la suddivisione dello stupefacente in tre separati involucri ovoidali, l’occultamento dello stesso all’interno di un esercizio commerciale aperto al pubblico e frequentato da molti avventori, circostanze tutte che rendevano inverosimile la destinazione ad uso personale e comprovavano l’illecita detenzione della sostanza stupefacente; da tale elementi fattuali, complessivamente valutati, è stata correttamente tratta anche la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato.
Va ricordato che costituisce ius receptum, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio secondo il quale, in materia di stupefacenti, il possesso di un quantitativo di droga superiore al limite tabellare previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, lett. a), se da solo non costituisce prova decisiva dell’effettiva destinazione della sostanza allo spaccio, può comunque legittimamente concorrere a fondare, unitamente ad altri elementi, tale conclusione (Sez.3, n.46610 del 09/10/2014, Rv.260991; Sez. 6, n. 11025 del 06/03/2013, COGNOME e altro, Rv. 255726; Sez.6, n.2652 del 21/11/2013, dep.21/01/2014, Rv. 258245; Sez.6, n.6575 del 10/01/2013, Rv.254575; Sez.6,n.4613
Ne consegue, pertanto, l’infondatezza della doglianza sollevata sul punto.
Parimenti infondata è la doglianza con cui si contesta la rilevanza penale della condotta perché integrante connivenza non punibile.
Va osservato che, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, ai fini della configurazione del concorso di persone nel reato, il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell’evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe
ugualmente commesso, ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà. N deriva che, a tal fine, è sufficiente che la condotta di partecipazione si manif un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti, e che il partecipe, per effet sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità produzione del reato, poiché in forza del rapporto associativo diventano sue anc le condotte degli altri concorrenti (Sez.6, n.36818 del 22/05/2012, Rv.25334 Sez.4, n.4383 del 10/12/2013, dep. 30/01/2014, Rv.258185; Sez.4, n.24895 del 22/05/2007, Rv.236853; Sez.1, n.5631 del 17/01/2008, Rv.238648).
E’ stato anche affermato, con specifico riferimento al tema di detenzione sostanze stupefacenti, che la distinzione tra connivenza non punibile e conco nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che la prima post che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo causale alla realizzazione del reato, mentre il seco richiede un consapevole contributo positivo – morale o materiale – all’al condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposi criminoso del concorrente (Sez.3, n.41055 del 22/09/2015, Rv.265167; Sez.3, n.34985 del 16/07/2015, Rv.264454).
Nella specie, la Corte territoriale- facendo buon governo dei predetti princ di diritto- ha rimarcato come la condotta tenuta dall’imputata, che mettev disposizione il proprio locale commerciale per la custodia dello stupefacente, ab costituito un contributo agevolatore all’altrui condotta criminosa.
La motivazione offerta dalla Corte di merito è congrua e non manifestamente illogica ed in linea con i principi affermati da questa Corte di legittimità in subiecta materia.
2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
La Corte di appello, all’esito della valutazione globale del fatto, ha rima che il fatto contestato non poteva ricondursi ad un’ipotesi di “piccolo spaccio considerazione sia delle caratteristiche quantitative e qualitative stupefacente che delle modalità del fatto in relazione al luogo in cui la condo era esplicata, in esercizio commerciale aperto al pubblico, frequentato da mo avventori, dimostrative di una prolungata attività di spaccio, rivolta ad un nu indiscriminato di soggetti.
La valutazione è sorretta da congrue e non manifestamente illogiche argomentazioni ed è conforme ai principi espressi da questa Corte in subiecta materia.
Va ricordato che, ai fini della configurabilità dell’ipotesi delittuosa di cui 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, il giudice è tenuto a valutare complessivament
tutti gli elementi normativamente indicati, quindi, sia quelli concernenti l’azione mezzi, modalità e circostanze della stessa-, sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato -quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa (Sez.0 n.51063 del 27/09/2018; Sez.U, 24 giugno 2010, n 35737, Rv.247911; Sez.4, n.6732 del 22/12/2011, dep.20/02/2012, Rv.251942; Sez.3, n. 23945 del 29/04/2015, Rv.263651, Sez.3, n.32695 del 27/03/2015, Rv.264490; Sez.3, n.32695 del 27/03/2015, Rv.264491); inoltre, la valutazione della offensività non può essere ancorata solo al quantitativo singolarmente spacciato o detenuto, ma alle concrete capacità di azione del soggetto e alle sue relazioni con il mercato di riferimento, alla sistematicità e continuità dell condotte, alla rete organizzativa e/o alle peculiari modalità adottate per porre in essere i comportamenti illeciti al riparo da controlli e azioni repressive delle forze dell’ordine (Sez. 6, n. 13982 del 20/02/2018, Rv. 272529); e si è precisato che la fattispecie autonoma di cui al comma 5 dell’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 è configurabile nelle ipotesi di c.d. piccolo spaccio, che si caratterizza per una complessiva minore portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro e potenzialità di guadagni limitati, che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, non sia tale da dar luogo ad una prolungata attività di spaccio, rivolta ad un numero indiscriminato di soggetti (Sez.6, n.45061 del 03/11/2022, Rv.284149 – 02).
E si è chiarito che la qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non può effettuarsi in base al solo dato quantitativo, risultante dalla ricognizione statistica su un campione di sentenze che hanno riconosciuto la minore gravità del fatto, posto che, per l’accertamento della stessa, è necessario fare riferimento all’apprezzamento complessivo degli indici richiamati dalla norma (Sez.3, n. 12551 del 14/02/2023, Rv.284319 – 01).
3. Il terzo motivo di ricorso è infondato.
La Corte di appello ha ritenuto congrua ed adeguata al fatto la pena irrogata dal primo giudice, determinata con una pena base pari al minimo edittale con riferimento alla pena detentiva, esclusione della recidiva e concessione delle circostanze attenuanti generiche; il discostamento della pena pecuniaria dal minimo edittale è stata ritenuta giustificata in ragione della qualità e quantità della sostanza stupefacente e della personalità negativa dell’imputata, gravata da un precedente penale specifico.
La sentenza impugnata ha fatto corretto uso dei criteri di cui all’art. 133 cod.pen., ritenuti sufficienti dalla Giurisprudenza di legittimità, per la congrua motivazione in termini di determinazione della pena. Costituisce, infatti, principio consolidato che la motivazione in ordine alla determinazione della pena base (ed
alla diminuzione o agli aumenti operati per le eventuali circostanze aggravant attenuanti) è necessaria solo quando la pena inflitta sia di gran lunga supe alla misura media edittale, ipotesi che non ricorre nella specie.
Fuori di questo caso anche l’uso di espressioni come “pena congrua”, “pena equa”, “congrua riduzione”, “congruo aumento” o il richiamo alla gravità del rea o alla capacità a delinquere dell’imputato sono sufficienti a far ritenere giudice abbia tenuto presente, sia pure globalmente, i criteri dettati dall’a c.p. per il corretto esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla no ordine al “quantum” della pena (Sez.2,n.36245 del 26/06/2009 Rv. 245596; Sez.4, n.21294 del 20/03/2013, Rv.256197).
Va anche ricordato che, ai fini del trattamento sanzionatorio, è sufficiente il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 co quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a consigliare la determinazione pena; e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato da un motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello ste giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del re alla personalità del reo, non è censurabile in sede di legittimità se congruam motivato. Ciò vale, a fortiori, anche per il giudice d’appello, il quale, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante, non è tenuto un’analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedott parti, ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, deve indicare ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rim implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di contestazione (Sez.2, n.19907 del 19/02/2009, Rv.244880; Sez.4, 4 luglio 2006 n. 32290).
Infondata, pertanto, è la doglianza con la quale si censura l’entità della Del pari infondata è la doglianza relativa al diniego di rateizzazione della pecuniaria.
La Corte di appello ha disatteso la richiesta ex art 133-ter cod.p evidenziando che l’imputata non aveva prodotto utile documentazione relativa all allegate disagiate condizioni economiche.
Va ricordato che la rateizzazione della pena pecuniaria prevista dall’art. ter cod. pen. ha come presupposto le disagiate condizioni economiche de condannato, raffrontate all’entità della pena, condizioni che l’imputato allegare producendo ogni documentazione utile sui proprio stato e il giudice merito, nel concedere o negare tale agevolazione, deve motivare l’esercizio suo potere discrezionale non solo facendo riferimento generico all’art. 133 c pen., ma soprattutto mettendo in evidenza da un lato l’ammontare della pena
dall’altro le condizioni economiche del condannato (Sez.3, n. 49580 d 27/10/2015, Rv.265591 – 01).
Nel caso di specie, a fronte della titolarità di redditi da lavoro (nella se impugnata si dava atto che l’imputata era titolare di un esercizio commercia l’imputata non ha provato, con idonea documentazione, una situazione di disagio economico nel fare fronte all’esecuzione della pena pecuniaria, conseguendo d ciò che la Corte distrettuale ha pienamente osservato l’obbligo di motivazione le era richiesto.
4. Il quarto motivo di ricorso è infondato.
L’art. 58 della I. n. 689 del 1981 (rubricato “Potere discrezionale del gi nell’applicazione e nella scelta delle pene sostitutive”), come modificato dal d n. 150/2022, stabilisce al primo comma che «Il giudice, nei limiti fissati dalla e tenuto conto dei criteri indicati nell’articolo 133 del codice penale, se non la sospensione condizionale della pena, può applicare le pene sostitutive della p detentiva quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo commissione di altri reati. La pena detentiva non può essere sostituita quan sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempi dal condannato». A sua volta, l’art. 20-bis cod. pen., indica che le pene sosti (la cui disciplina è declinata nella I.n 689 del 1981) sono: 1) la semil sostitutiva; 2) la detenzione domiciliare sostitutiva; 3) il lavoro di pubblica sostitutivo; 4) la pena pecuniaria sostitutiva.
E’, quindi, riservato al potere discrezionale del giudice, da esercitare sec i criteri indicati dall’art. 133 cod. pen., la scelta relativa sia all’an della s della pena detentiva che della misura sostitutiva da applicare, in quanto rit più idonea alla rieducazione del condannato e dalla prevenzione del pericolo commissione di altri reati.
Il giudizio prognostico demandato al giudice ha, dunque, un contenuto complesso ed individualizzato in quanto investe un duplice profilo: a) valutazione della funzionalità della misura sostitutiva rispetto al reinseri sociale del condannato e la conseguente scelta della misura più idonea a realizzazione di tale obiettivo; b) la valutazione ex ente in ordine al futuro rispetto delle prescrizioni specifiche della singola misura, ove disposte.
La valutazione del giudice compiuta avuto riguardo ai criteri previsti dall’ 133 cod.pen. e in ordine al pericolo che le prescrizioni non vengano adempiut costituisce un “accertamento di fatto”, incensurabile in sede di legittimità motivato in modo non manifestamente illogico.
Questa Corte ha, infatti, già affermato il principio secondo cui “l’accertame della sussistenza delle condizioni che, ai sensi della L. n. 689 del 1981, a
consentono di far luogo alla sostituzione della pena detentiva con una de sanzioni sostitutive di cui all’art. 53 stessa legge costituisce un accertame fatto, non sindacabile in sede di legittimità se motivato in modo manifestamente illogico” (Sez.2, n. 13920 del 20/02/2015, Rv.263300; Sez. 2, n. 4564 del 09/02/1993, Rv. 194152); e ed è stato precisato che «La sostituzion delle pene detentive brevi è rimessa ad una valutazione discrezionale del giudi che deve essere condotta con l’osservanza dei criteri di cui all’art. 133 cod. prendendo in esame, tra l’altro, le modalità del fatto per il quale è inter condanna e la personalità del condannato» (ex multis, Sez. 3, n. 19326 del 27/01/2015, COGNOME, Rv. 263558 – 01).
Tale principio è trasponibile anche alle nuove “pene sostitutive”, atteso ch disciplina normativa introdotta continua a subordinare la sostituzione a valutazione giudiziale ancorata ai parametri di cui all’art. 133 cod.pen.
Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto l’inidoneità della sostitutiva rispetto al reinserimento sociale della condannata, in consideraz della gravità dei fatti e della personalità negativa dell’imputata, desun precedente penale specifico.
La motivazione, correttamente basata sui parametri di cui all’art. cod.pen., è congrua e non manifestamente illogica e si sottrae, pertanto sindacato di legittimità.
Consegue, pertanto, il rigetto del ricorso e, in base al disposto dell’a cod.proc.pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processual
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spe processuali.
Così deciso il 11/02/2025