Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9753 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9753 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a ROMA il 13/08/2002
avverso la sentenza del 30/05/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
R.G.
rilevato che, con quattro motivi di ricorso, NOME Daniele ha dedotto: 1) il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 530, commi 1 e 2, cod. proc. pen. ed il correlato vizio di motivazione carente o illogica quanto alla ritenuta responsabilità dell’imputato per la detenzione dello stupefacente del tipo cocaina (dolendosi, in particolare, del fatto che i giudici non avrebbero dato credito alla prospettazione difensiva secondo cui lo stupefacente rinvenuto presso l’abitazione del ricorrente dovesse considerarsi destinato al consumo personale, in quanto costituente una “scorta” necessaria per l’uso personale, censurandosi l’affermazione secondo cui la circostanza per la quale l’imputato fosse un consumatore abituale sarebbe rimasta sprovvista di riscontro); 2) il vizio di violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento della c.d. lieve entità ex art. 73, comma 5, TU Stup. ed il correlato vizio di contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione sul punto (dolendosi, in particolare, della mancata valorizzazione del modesto dato ponderale, pari a 30 dosi medie singole, e della mancata valutazione degli elementi indicati dal comma 5 dell’art. 73 citato, criticando la sentenza laddove ha invece valorizzato per negare l’ipotesi lieve l’assenza di attività lavorativa e la presenza di un precedente per fatti specifici, non essendo emersi elementi per ritenere l’imputato collegato ad ambiente del narcotraffico, elemento comunque insufficiente a negare detta ipotesi lieve); 3) il vizio di violazione di legge in relazione all’erronea applicazione dell’aggravante di cui all’art. 80, comma 2, TU Stup. quanto alla sostanza del tipo hashish, ed il correlato vizio di motivazione circa la sussistenza dell’aggravante dell’ingente quantità (dolendosi, in particolare, del fatto dell’assenza di ipotetici contati tra il ricorrente e presunti personaggi appartenenti ad organizzazioni criminali che gli avrebbero affidato la custodia dello stupefacente, sottolineandosi come egli avesse svolto al più solo le funzioni di corriere ignaro del quantitativo di stupefacente trasportato); 4) il vizio di violazione di legge in relazione all’applicazione della pena accessoria di cui all’art. 85, TU Stup., ossia i ritiro della patente di guida per tre anni ed il correlato vizio di contraddittorietà e carenza della motivazione (dolendosi, in particolare, dell’inadeguata motivazione che avrebbe genericamente richiamato le modalità di commissione del reato tramite l’utilizzo di un’autovettura, valorizzando la necessità di salvaguardare l’incolumità di terzi in quanto il ricorrente aveva dichiarato di essere assuntore abituale di cocaina, in assenza di elemento a sostegno di tale affermazione); Corte di Cassazione – copia non ufficiale ritenuto che i motivi di ricorso proposti dalla difesa sono inammissibili:
a) perché, il primo ed il secondo, oltre che essere articolati in fatto, riproducono unitamente al terzo ed al quarto motivo, profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici e di merito e non scanditi da specifica criticità delle argomentazioni a base della sentenza impugnata, prefigurando peraltro, il primo ed il secondo, una rivalutazione e rilettura alternativa delle fonti probatorie, estranea al sindacato di legittimità, avulso da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito, cui si uniscono, quanto al terzo ed al quarto motivo, censure di vizio motivazionale che non emergono dal provvedimento impugnato (si v., in particolare, le considerazioni espresse alle pagg. 5/6 della sentenza impugnata, che, con argomentazioni immuni dai denunciati vizi, chiariscono le ragioni per le quali il quadro probatorio consentiva di ritenere l’imputato colpevole del reato di detenzione a fini di spaccio dello stupefacente del tipo cocaina rinvenuta all’interno della sua camera da letto; con particolare riferimento all’uso personale, lo stesso viene logicamente escluso sia per l’elevata percentuale di purezza dello stupefacente, tra il 91 ed il 94%, pari a 30 dosi medie singole, quantitativo ritenuto, con motivazione non manifestamente illogica, obiettivamente superiore ai limiti entro cui può ipotizzarsi che fosse destinato all’esclusivo uso personale, tenuto peraltro conto del fatto che lo stupefacente si presentava già suddiviso in 14 involucri già pronti per la cessione nonché del rinvenimento dello strumentario tipico dello spacciatore, ossia due bilancini di precisione, custoditi in camera da letto insieme allo stupefacente, argomentati, questi, che rendono privo di pregio il rilevo, quand’anche sostenibile secondo la prospettazione difensiva, del tutto secondario a fronte dei predetti elementi, secondo cui l’imputato fosse assuntore abituale di cocaina; quanto, poi, al mancato riconoscimento dell’ipotesi lieve, i giudici di appello richiamano le argomentazioni svolte dal primo giudice sul punto, che, in quanto argomentate del tutto logicamente, sfuggono al sindacato di questa Corte; quanto, poi, al riconoscimento dell’ingente quantità di cui all’art. 80, TU Stup., corretta è l’argomentazione svolta dai giudici territoriali che richiamano il consolidato orientamento delle Sez. U. Biondi n. 36258/2012, confermato da Sez. U. n. 14722/2020, che, con riferimento alle cc.dd. droghe leggere, hanno affermato che l’aggravante non è di norma ravvisabile quando la quantità di principio attivo è inferiore a 2 kg. di principio attivo, pari a 4000 volte il valore-soglia di 500 mg., sicchè, essendo il quantitativo rinvenuto nell’autovettura dell’imputato di molto superiore a tale valore, l’aggravante ben poteva essere considerata sussistente; si aggiunga, inoltre, come i giudici di merito desumono la consapevolezza del quantitativo trasportato da un dato logico immune dalle censure sollevate, ossia l’elevato valore economico della merce trasportata, rientrando cioè nella logica il fatto che chi è incaricato del Corte di Cassazione – copia non ufficiale
trasporto di regola conosce ciò che trasporta altrimenti si correrebbe il rischio di uno smarrimento o di una diversa destinazione della merce, in contrasto con la logica dell’affidamento che le organizzazioni criminali assegnano esclusivamente a persona di fiducia, argomento cui la Corte territoriale aggiunge, nella logica indiziaria, anche il dato del rinvenimento di una consistente somma di denaro in contanti, incompatibile con il suo stato di disoccupazione, a conferma del suo inserimento in un più ampio giro di narcotraffico; si tratta, all’evidenza di argomentazioni non manifestamente illogiche, dovendosi qui ribadire che il ricorso, da parte del giudice, a ipotesi o illazioni, ai fini della formazione e della motivazione del proprio convincimento, è da considerare certamente vietato quando, mediante dette ipotesi o illazioni, si voglia costruire una prova positiva di colpevolezza; non può, invece, ritenersi vietato quando, in presenza di elementi di per sè idonei a dimostrare la colpevolezza, ne vengano dalla difesa prospettati altri di cui si assuma l’idoneità a neutralizzare la valenza dei primi. In tal caso, infatti, il giudice (analogamente a quanto si verifica, in termini rovesciati, allorché egli deve valutare gli indizi a carico), è non solo facoltizzato, ma addirittura tenuto a prospettarsi quelle che possono apparire ragionevoli e plausibili ipotesi alternative atte ad escludere la detta idoneità. Solo la irragionevolezza e la conseguente implausibilità di tali ipotesi, quindi, e non il semplice fatto della loro prospettazione a sostegno dell'”iter motivazionale” seguito dal giudice, può dare luogo a censura in sede di legittimità (Sez. 1, n. 3424 del 02/03/1992, Rv. 189683 – 01): e ciò è quanto avvenuto nel caso in esame;
quanto, infine, all’applicazione della pena accessoria, i giudici di appello confermano la statuizione disposta in primo grado, tenuto conto delle modalità di commissione del reato tramite l’utilizzo di un’autovettura e volta a disincentivare l’imputato alla reiterazione del reato, giustificandosi l’irrogazione nella durata massima in considerazione della gravità del reato e delle caratteristiche di offensività della condotta e della modalità della stessa; si tratta, anche in relazione a tale profilo, di motivazione del tutto immune dai denunciati vizi, avendo giustificato la Corte d’appello la sua irrogazione con argomenti non manifestamente illogici, in particolare sottolineando l’obiettivo della sanzione accessoria di disincentivare l’imputato dalla reiterazione del reato, come del resto affermato anche di recente da questa stessa Sezione, evidenziando come in tema di reati concernenti le sostanze stupefacenti, la misura del ritiro della patente di guida, previsto dall’art. 85 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non presuppone necessariamente che l’autore di uno o più dei delitti di cui agli artt. 73, 74, 79 e 82 del citato d.P.R. si sia servito di un’auto o di un motoveicolo per porre in essere l’attività criminosa, essendo unicamente volta a disincentivare lo stesso dalla
reiterazione del reato (Conf.: n. 3114 del 13/10/1989, dep.1990, Rv. 183562-01; Sez. 3, n. 31917 del 17/05/2022, Rv. 283444 – 01);
ritenuto, conclusivamente, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella sua proposizione;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 14 febbraio 2025
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Il Presidente