Detenzione di stupefacenti: quando le chiavi del locale valgono più di una firma
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di prova nel reato di detenzione di stupefacenti. Secondo i giudici, il possesso ingiustificato delle chiavi di un immobile in cui è nascosta della droga rappresenta un elemento probatorio di tale forza da poter fondare, da solo, un’affermazione di responsabilità, superando anche le contestazioni formali sulla verbalizzazione delle dichiarazioni dell’imputato. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I fatti del caso
Il caso riguarda un uomo condannato in primo e secondo grado per illecita detenzione di sostanze stupefacenti. La droga era stata rinvenuta all’interno di alcuni garage, le cui chiavi erano state trovate in suo possesso. La difesa dell’imputato aveva costruito il ricorso per cassazione su un vizio procedurale: le dichiarazioni rese dall’uomo nell’immediatezza dei fatti, in cui forniva una spiegazione poco credibile sulla provenienza delle chiavi, erano contenute in un verbale che egli si era rifiutato di firmare. Secondo la tesi difensiva, tale verbale non sarebbe stato utilizzabile, minando così l’intero impianto accusatorio.
La decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha respinto la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno sottolineato come la difesa si fosse concentrata su un singolo aspetto formale, tralasciando di confrontarsi con elementi di prova ben più solidi e oggettivi. La condanna, infatti, non si basava esclusivamente sulle dichiarazioni contestate, ma su un quadro indiziario grave, preciso e concordante.
Le motivazioni sulla prova della detenzione di stupefacenti
Il cuore della motivazione risiede nell’importanza attribuita al dato oggettivo e non controverso: l’imputato aveva la disponibilità materiale delle chiavi che aprivano i garage contenenti lo stupefacente. A questo fatto, la Corte aggiunge altri elementi cruciali:
* Mancanza di giustificazione plausibile: L’imputato non ha mai fornito una spiegazione credibile sul perché fosse in possesso di quelle chiavi, soprattutto considerando che i garage risultavano formalmente locati a soggetti terzi, peraltro irreperibili (uno all’estero, l’altro detenuto in un altro Stato).
* Comportamento successivo: Un ulteriore indizio a suo carico è stato individuato nel rifiuto di sbloccare i telefoni cellulari rinvenuti all’interno degli stessi garage.
* Principio della “doppia conforme”: Essendo le sentenze di primo e secondo grado giunte alla medesima conclusione, le loro motivazioni si integrano a vicenda, creando un percorso argomentativo solido che non è stato scalfito dalle censure formali del ricorrente.
In sostanza, la Corte ha affermato che, anche a voler prescindere completamente dalle dichiarazioni non firmate, la prova della responsabilità emergeva con chiarezza dal possesso esclusivo e ingiustificato delle chiavi. Questo elemento, di per sé, collega in modo diretto l’imputato al contenuto illecito dei locali.
Le conclusioni
La decisione in esame offre un’importante lezione sulla valutazione della prova nel processo penale. Dimostra che gli elementi fattuali e oggettivi, come il possesso di chiavi, possono assumere un valore probatorio decisivo, prevalendo su cavilli procedurali. Per chi è accusato di detenzione di stupefacenti, non è sufficiente contestare la forma di un atto se non si è in grado di fornire una spiegazione logica e credibile per circostanze oggettive schiaccianti. La disponibilità materiale di un luogo che funge da deposito per la droga è un indizio talmente forte che, in assenza di controprove valide, può condurre direttamente a una sentenza di condanna.
Il possesso delle chiavi di un locale con droga è sufficiente per una condanna per detenzione di stupefacenti?
Sì, secondo questa ordinanza, il possesso ingiustificato delle chiavi di un garage contenente stupefacenti è un elemento di prova di decisivo rilievo, idoneo a fondare un’affermazione di responsabilità penale.
Se un imputato non firma il verbale con le sue dichiarazioni, queste sono inutilizzabili?
La sentenza chiarisce che la condanna può reggersi su altri elementi di prova, oggettivi e non controversi. Nel caso specifico, anche prescindendo dalle dichiarazioni contenute nel verbale non firmato, la colpevolezza è stata provata dal possesso delle chiavi e da altre circostanze, come il rifiuto di sbloccare i cellulari trovati sul posto.
Cosa si intende per valutazione unitaria delle sentenze in caso di “doppia conforme”?
Significa che quando il tribunale di primo grado e la corte d’appello arrivano alla stessa conclusione di condanna, le motivazioni delle due sentenze devono essere lette insieme come un unico corpo argomentativo per valutare la fondatezza e la logicità della decisione finale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18695 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18695 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/05/2023 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che COGNOME NOME, imputato in concorso con ignoti del delitto di illecita detenzione di sostanze stupefacenti, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del 12/05/2023, con cui la Corte d’Appello di Ancona ha confermato la condanna in primo grado irrogata dal G.i.p. del Tribunale di Macerata, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta utilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’imputato nell’immediatezza, all’affermazione di responsabilità e alla disposta espulsione dal territorio dello Stato a pena espiata;
rilevato che, con riferimento ai primi due motivi (che possono essere trattati congiuntamente), la difesa fa leva sul fatto che le dichiarazioni del COGNOME in ordine alle chiavi in suo possesso erano contenute in un verbale da lui non sottoscritto;
ritenuto peraltro che, anche a voler accedere alla prospettazione difensiva (volta a conferire dirimente rilievo al fatto che il ricorrente si rifiutò di firm verbale), la difesa evita di confrontarsi non solo con la circostanza riferita i sentenza – certamente utilizzabile – costituita dal rifiuto del ricorrente di sbloccar i cellulari rinvenuti all’interno dei garage, ma anche, ed anzi soprattutto, con l’oggettiva circostanza adeguatamente valorizzata nella sentenza di primo grado, il cui percorso argomentativo deve essere apprezzato unitamente a quello della sentenza impugnata, secondo i noti principi in tema di “doppia conforme”. Si allude al fatto, assolutamente non controverso, che i garage contenenti lo stupefacente erano stati locati dal proprietario a soggetti diversi dal COGNOME (uno dei quali all’estero, l’altro detenuto in Francia: cfr. la prima pagina della motivazione), il quale non ha minimamente giustificato, in termini plausibili, la disponibilità delle chiavi di apertura;
ritenuto che a tale elemento debba conferirsi dirimente rilievo, ai fini dell’affermazione di responsabilità, proprio perché – anche a voler prescindere dalla mendace spiegazione resa nell’immediatezza dal ricorrente, stando alla quale si sarebbe trattato delle chiavi di un appartamento romano – la circostanza non è stata confutata dal difensore, né comunque è stata ricondotta ad evenienze fattuali idonee a far ritenere che il COGNOME fosse ignaro del contenuto dei locali;
ritenuto che anche la residua censura sia manifestamente infondata, avuto riguardo alla esaustiva motivazione della Corte territoriale che ha desunto la pericolosità del COGNOME non solo dal precedente specifico, ma anche dell’inserimento nel contesto criminale comprovato dal dato ponderale della droga detenuta e dalla strumentazione detenuta (cfr. la terza e la quarta pagina della sentenza impugnata);
ritenuto pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, conseguente condanna del BAFFI al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa de Ammende.