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Detenzione di stupefacenti: Cassazione e spaccio

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per spaccio di un’imputata trovata in possesso di marijuana. La detenzione di stupefacenti, se accompagnata da bilancini di precisione, materiale per il confezionamento e modalità di occultamento sospette, integra il reato di spaccio anche in assenza di prove dirette di vendita. La Corte ha ritenuto che la pluralità di indizi fosse sufficiente a dimostrare la destinazione della droga a terzi, respingendo la tesi del consumo personale. Sono stati rigettati anche i motivi relativi alla particolare tenuità del fatto e alla concessione della sospensione condizionale della pena.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenzione di Stupefacenti: Quando il Possesso Diventa Spaccio

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito i criteri per distinguere la semplice detenzione di stupefacenti per uso personale dal più grave reato di spaccio. La Suprema Corte ha chiarito che, per provare la finalità di spaccio, non è necessaria la prova diretta della cessione a terzi, ma è sufficiente un quadro indiziario solido e coerente. La presenza di bilancini di precisione, le modalità di occultamento e la quantità della sostanza sono elementi chiave che, letti insieme, possono portare a una condanna per traffico di droga, come avvenuto nel caso di specie.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un controllo di polizia durante il quale una donna, in compagnia di un’altra persona, veniva fermata. A seguito di una perquisizione, le venivano trovati addosso 4,9 grammi di marijuana, occultati tra i capelli. Le successive perquisizioni domiciliari, estese a due alloggi e un magazzino nella disponibilità della coppia, portavano al rinvenimento di tre bilancini di precisione, materiale per il confezionamento e ulteriori 79 grammi della stessa sostanza. L’imputata si era difesa sostenendo di essere una semplice assuntrice di droghe leggere e che la droga trovata fosse per uso personale. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello, tuttavia, avevano ritenuto provata la destinazione allo spaccio, condannandola.

I Motivi del Ricorso e l’analisi della detenzione di stupefacenti

L’imputata ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su quattro motivi principali:
1. Erronea qualificazione del fatto come spaccio: Secondo la difesa, mancavano elementi chiave come l’individuazione di acquirenti o il ritrovamento di ingenti somme di denaro. La detenzione sarebbe stata quindi finalizzata al solo consumo personale.
2. Mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto: Si contestava la motivazione generica con cui i giudici avevano escluso l’applicazione dell’art. 131 bis c.p., basandosi solo sui precedenti penali e sulla custodia della sostanza.
3. Mancata esclusione della recidiva: La difesa lamentava l’assenza di una motivazione specifica sul perché il reato fosse espressione di una maggiore pericolosità sociale.
4. Mancata concessione della sospensione condizionale della pena: Si evidenziava come la Corte d’Appello non avesse fornito alcuna spiegazione sul punto.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la condanna. Vediamo nel dettaglio le ragioni.

La Prova dello Spaccio: un Mosaico di Indizi

Sul primo punto, la Corte ha stabilito che la destinazione allo spaccio era stata correttamente desunta da una pluralità di elementi convergenti. Il semplice superamento dei limiti tabellari di per sé non basta, ma in questo caso si aggiungevano:
* La disponibilità di strumenti: tre bilancini di precisione e materiale per il confezionamento sono considerati “strumenti del mestiere”.
* Le modalità di occultamento: nascondere la droga tra i capelli è un comportamento anomalo per un semplice consumatore e suggerisce la volontà di eludere i controlli durante l’attività di cessione.
* La pluralità di luoghi di custodia: la droga e gli strumenti erano disseminati in più alloggi e in un magazzino.
* L’assenza di fonti di reddito: la mancanza di un reddito lecito rendeva incompatibile la detenzione di un quantitativo così significativo a titolo di “scorta personale”.

Questi indizi, nel loro complesso, hanno creato un quadro probatorio che, secondo la Corte, dimostrava in modo logico e coerente la finalità illecita della detenzione.

Gravità della Condotta e Tenuità del Fatto

La Cassazione ha ritenuto infondato anche il motivo sulla particolare tenuità del fatto. Sebbene la motivazione dei giudici di merito sull’abitualità del comportamento potesse essere generica, era invece sufficiente quella sulla gravità concreta del reato. Le modalità della condotta, come l’occultamento della sostanza e la “disseminazione di più punti di confezionamento”, sono state considerate indicative di una gravità tale da escludere il beneficio della non punibilità.

Recidiva e Sospensione della Pena

Infine, la Corte ha giudicato inammissibili gli ultimi due motivi. La motivazione sulla recidiva, seppur succinta (il precedente era “evocativo di una preoccupante pervicacia nel delinquere”), è stata ritenuta adeguata. Allo stesso modo, il mancato riconoscimento della sospensione condizionale della pena è stato considerato implicitamente motivato dalla stessa valutazione di pericolosità sociale, rendendo la doglianza della difesa generica e infondata.

Le Motivazioni

La sentenza ribadisce principi consolidati in materia di reati di droga. La prova della detenzione di stupefacenti a fini di spaccio non richiede necessariamente di “cogliere il reo con le mani nel sacco”, ovvero durante l’atto della cessione. L’onere della prova resta a carico dell’accusa, ma può essere assolto attraverso un ragionamento inferenziale basato su elementi indiziari gravi, precisi e concordanti. I giudici di merito hanno il compito di valutare l’intero contesto fattuale, e il loro giudizio, se logicamente motivato, non può essere messo in discussione in sede di legittimità, che non consente un riesame dei fatti. La valutazione sulla gravità del reato e sulla personalità dell’imputato ai fini della concessione di benefici è ampiamente discrezionale e sindacabile solo in caso di motivazione manifestamente illogica o assente.

Le Conclusioni

Questa pronuncia conferma che la linea di demarcazione tra uso personale e spaccio è determinata da un’analisi complessiva del comportamento dell’imputato. La presenza di strumenti come bilancini o materiale per il confezionamento, unita a modalità di detenzione anomale, sposta pesantemente l’ago della bilancia verso la qualificazione del fatto come spaccio. Per gli operatori del diritto e per i cittadini, il messaggio è chiaro: non è solo la quantità di droga a contare, ma l’intero contesto in cui la detenzione si inserisce.

Quando la detenzione di stupefacenti è considerata spaccio e non uso personale?
La detenzione è considerata finalizzata allo spaccio quando, oltre alla quantità, sono presenti altri indizi gravi, precisi e concordanti. Nel caso esaminato, elementi come il possesso di tre bilancini di precisione, materiale per il confezionamento, l’occultamento della droga tra i capelli e l’assenza di un reddito lecito per giustificare una ‘scorta personale’ sono stati ritenuti sufficienti a provare la destinazione a terzi.

È possibile ottenere la non punibilità per particolare tenuità del fatto in caso di spaccio?
In teoria sì, ma è difficile. La sentenza chiarisce che, anche se il quantitativo non è enorme, le modalità concrete della condotta sono decisive. L’aver occultato la droga e l’averla suddivisa in più luoghi sono stati considerati indici di una gravità tale da escludere il beneficio della particolare tenuità del fatto previsto dall’art. 131 bis c.p.

Il giudice deve sempre motivare in modo dettagliato il diniego della sospensione condizionale della pena?
Non necessariamente. La Corte di Cassazione ha ritenuto che la motivazione possa essere anche implicita. Nel caso specifico, la stessa argomentazione usata per confermare la recidiva, ovvero la ‘preoccupante pervicacia nel delinquere’ dell’imputata, è stata considerata una ragione sufficiente e implicita per negare anche il beneficio della sospensione della pena.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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