Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 20942 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 20942 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CATANZARO il 12/03/1997
avverso la sentenza del 17/06/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME con cui ha chiesto l’annullamento della sentenza limitatamente alla statuizione sulla recidiva e sulla sospensione condizionale della pena
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Catanzaro di condanna di NOME COGNOMEin concorso con NOME COGNOME in ordine al delitto di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, commesso in Catanzaro il 10 novembre 2020.
Nelle sentenze di merito conformi i fatti sono stati descritti nel modo seguente. Nel corso di un servizio di pedinamento, NOME COGNOME e NOME COGNOME erano stati osservati nell’atto di effettuare un giro nelle vie del centro cittadino e, sulla via del INDIRIZZO, erano stati fermati. Ad una prima perquisizione, COGNOME era stata trovata in possesso di un involucro di carta contenente grammi 4,9 di sostanza stupefacente del tipo marijuana occultata tra i capelli; le ricerche erano proseguite nelle abitazioni nella disponibilità dei due e avevano consentito di rinvenire:
un bilancino di precisione e materiale per il confezionamento in un primo alloggio;
un altro bilancino di precisione in uno secondo alloggio;
un terzo bilancino di precisione e una busta contenente 79 grammi di marijuana nel magazzino di pertinenza di tale ultima abitazione.
Nel corso dell’interrogatorio di garanzia, a seguito dell’arresto in flagranza, COGNOME si era dichiarata assuntrice di droghe leggere e aveva attribuito le ragioni dello spostamento in centro con l’esigenza di fare la spesa, precisando che, durante il tragitto, COGNOME si era sentito male ed erano dovuti andare in ospedale; aveva riferito, inoltre, di vivere presso l’abitazione del padre itito are di una modestissima pensione sociale ie di lavorare occasionalmente come babysitter. COGNOME aveva affermato di essere assuntore di cocaina e marijuana e aveva negato di sapere che NOME detenesse droga e altri strumenti di pesatura.
Avverso la sentenza di appello, ha proposto ricorso l’imputata, a mezzo difensore, formulando quattro motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla affermazione della penale responsabilità. Secondo il difensore, il carattere illecito della detenzione sarebbe stato fondato su elementi privi di efficacia dimostrativa, in assenza della individuazione di soggetti acquirenti, del rinvenimento di somme di denaro e, in generale, di altre circostanze atte a dimostrare un’attività di spaccio. La Corte, dopo che con i motivi di appello era stato segnalato che, in maniera illogica, la sentenza di primo grado
aveva ritenuto la droga trovata addosso a Ruga destinata al consumo personale e quella trovata nel magazzino di pertinenza dell’abitazione destinata allo spaccio, non aveva adottato, sul punto, alcuna motivazione.
2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131 bis cod. pen. La Corte, nel dare rilievo ai precedenti penali e alla custodia della sostanza stupefacente e dei bilancini di precisione in diversi luoghi, avrebbe adottato una motivazione generica e non avrebbe, neppure, indicato quale fosse la natura dei precedenti. Piuttosto – rileva il difensore- le modalità della condotta, rivelatrici della assenza di organizzazione adeguata, nonché l’insussistenza del presupposto ostativo della abitualità avrebbero dovuto indurre a riconoscere la particolare tenuità del fatto.
2.3. Con il terzo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla mancata esclusione della recidiva. La Corte avrebbe confermato la sussistenza della recidiva, senza motivare in ordine ai presupposti, ovvero senza spiegare in che senso il reato per cui si procedeva fosse espressione di accresciuta pericolosità dell’imputata.
2.4. Con il quarto motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, evidenziando che la Corte di Appello non aveva fornito alcuna spiegazione sul punto.
Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto NOME COGNOME ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto l’annullamento della sentenza limitatamente alla statuizione sulla recidiva e sulla sospensione condizionale della pena.
La ricorrente, a mezzo del difensore, ha presentato memoria con cui ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere, nel complesso, rigettato.
Il primo motivo, volto a censurare l’affermazione della responsabilità sotto il profilo dell’asserito consumo personale, è inammissibile e, comunque, manifestamente infondato.
La destinazione all’ uso personale della sostanza stupefacente non ha natura giuridica di causa di non punibilità e grava perciò sulla pubblica accusa l’onere di
dimostrare la destinazione allo spaccio (ex plurimis Sez. 6 n. 26738 del 18/09/2020, Canduci, Rv. 279614). Peraltro è orientamento consolidato quello per cui in materia di stupefacenti, il mero dato quantitativo del superamento dei limiti tabellari previsti dall’art. 73, comma primo-bis, lett. a), d.P.R. n. 309 d 1990, come modificato dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49, non vale ad invertire l’onere della prova a carico dell’imputato, ovvero ad introdurre una sorta di presunzione, sia pure relativa, in ordine alla destinazione della sostanza ad un uso non esclusivamente personale, dovendo il giudice globalmente valutare, sulla base degli ulteriori parametri indicati nella predetta disposizione normativa, se le modalità di presentazione e le altre circostanze dell’azione siano tali da escludere una finalità esclusivamente personale della detenzione (Sez. 6, n. 12146 del 12/02/2009, COGNOME, Rv. 242923).
Nel caso all’esame la Corte d’Appello, in continuità con la sentenza di primo grado, ha desunto la prova della finalità illecita della detenzione da una pluralità di circostanze di fatto. In particolare, i giudici hanno sottolineato: il quantitati rinvenuto, incompatibile con il consumo personale (peraltro solo asserito in maniera generica, ma non documentato), anche in ragione dell’assenza di fonti di reddito che consentissero ai due imputati di effettuare una scorta; la disponibilità di strumenti atti alla pesatura e al confezionamento delle singole dosi; l’attività di osservazione,che aveva smentito la tesi difensiva per cui ella e il compagno si erano recati in centro per fare la spesa e poi in ospedale; la circostanza per cui NOME non avrebbe avuto alcun motivo di portare con sé fuori di casa la sostanza stupefacente, rinvenuta occultata fra i capelli.
La censura, di contro, è inammissibile per plurime convergenti ragioni.
In primo luogo r nella sua genericità, si limita a contestare la lettura del dato probatorio da parte delle sentenze impugnate e non considera che il sindacato demandato alla Corte di cassazione, per espressa volontà del legislatore, è circoscritto alla verifica dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944; Sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482).
Inoltre la censura è meramente riproduttiva di quella già fatta valere con i motivi di appello e non contrappone alla individuazione degli elementi di fatto e
al giudizio inferenziale tratto da tali elementi in merito alla destinazione a terzi della droga argomenti concreti tali da scardinare il ragionamento probatorio.
Vero è che nella sentenza di primo grado si afferma che la sostanza trovata addosso a Ruga era verosimilmente destinata al suo consumo personale e che nella sentenza di appello, invece, sono state indicate anche le modalità di occultamento della droga fra i capelli fra gli indici da cui desumere la destinazione a terzi della sostanza stupefacente. Tuttavia, il percorso argomentativo della Corte, come detto, ha valorizzato un complesso di ulteriori elementi con i quali il ricorrente omette di confrontarsi, tutti convergenti nel senso della illiceità della detenzione della sostanza stupefacente, sicché, anche epurato dal riferimento su indicato, esso appare adeguato ed esente da censure.
3. Il secondo motivo, con cui si censura la mancata applicazione dell’art. 131 b.is cod. pen., è infondato.
Nelle sentenze di merito, che in quanto conformi possono essere lette unitariamente, formando un unico corpo decisionale (Sez. 2 n. 37295 del 12/06/2019 E. Rv. 277218), i giudici hanno dato conto delle ragioni per cui l’offesa non poteva essere considerata di particolare tenuità, con un iter argomentativo che, pur con le puntualizzazioni che si diranno, non può essere censurato.
Sia il Tribunale, sia la Corte di Appello hanno sottolineato la gravità della condotta di reato e l’abitualità del comportamento.
Sotto tale ultimo profilo, occorre rilevare che il presupposto ostativo del comportamento abituale ricorre quando l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascuno, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità (nonché nel caso in cui si tratti di reati anche abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate): ai fini della valutazione del presupposto della commissione di più reati della stessa indole, le Sezioni Unite hanno chiarito che l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, deve aver commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame e che il giudice può fare riferimento non solo alle condanne irrevocabili ed agli illeciti sottoposti alla sua cognizione nel caso in cui il procedimento riguardi distinti reati della stessa indole, anche se tenui- ma anche ai reati in precedenza ritenuti non punibili ex art. 131 bis cod. pen. (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591).
Così perimetrata la nozione di abitualità rilevante ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen, il collegio rileva che, nel caso -in esame, il riferimento operato a tale presupposto ostativo è generico, non avendo i giudici chiarito se effettivamente
COGNOME avesse commesso, oltre a quello in esame, almeno altri due illeciti della stessa indole.
Tuttavia, epurata dal riferimento al presupposto ostativo del comportamento abituale, la motivazione incentrata sulla gravità del fatto appare esente da censure. Dopo che il Tribunale, in proposito, aveva rilevato che la ricorrente (insieme al coimputato) aveva posto in essere una condotta chiaramente volta ad eludere il controllo degli operanti, attraverso l’occultamento della sostanza stupefacente in più punti, la Corte di Appello, in coerenza, con tale valutazione, ha richiamato la “disseminazione di più punti di confezionamento”. In sostanza entrambe le sentenze contengono un riferimento, sintetico, ma adeguato, alla gravità del reato nelle sue modalità concrete.
L’iter argomentativo adottato, dunque, è conforme al principio per cui in merito al riconoscimento (o diniego) della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità dell’offesa deve essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133, comma 1, cod. pen. (a seguito della entrata in vigore del D.Igs 10 ottobre 2022 n.150, a decorrere dal 30 dicembre 2022 ex art. 6 d.l. 31 ottobre 2022 n. 162, anche della condotta susseguente al reato), ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6 n. 55107 del 8/11/2018, COGNOME, Rv. 274647; sez. 3 n. 34151 del 18/6/2018, COGNOME e altro, Rv. 273678).
Trattandosi, comunque, di una valutazione da compiersi sulla base dei criteri di cui all’art. 133, cod. pen., essa rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito e, di conseguenza, non può essere sindacata dalla Corte di legittimità, se non nei limiti della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione posta a sostegno.
Il terzo motivo, incentrato su riconoscimento della recidiva,, è inammissibile o, comunque, manifestamente infondato.
Ai fini dell’applicazione della recidiva facoltativa, è richiesta al giudice una specifica motivazione volta a verificare, oltre il mero riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali, se la reiterazione dell’illecito sia effettiv sintomo di pericolosità, considerando la natura dei reati, il tipo di devianza che indicano, la qualità dei comportamenti, il livello di offensività delle condotte, la distanza temporale e il loro livello di omogeneità, l’eventuale occasionalità della ricaduta e ogni altro possibile sintomo della personalità del reo e del .suo grado di colpevolezza (Sez. U, n. 5859 del 27/10/2011, dep. 2012, Rv. 251690; Sez. 6, n. 16244 del 27/02/2013, Rv. 256183).
Nel caso di specie la Corte, contrariamente a quando dedotto dal ricorrente, ha assolto all’onere di motivare, in quanto ha GLYPH confermato l’applicazione della
recidiva, argomentando, in maniera succinta, ma comunque adeguata, che il precedente penale era “evocativo di una preoccupante pervicacia nel delinquere”.
Di contro la censura appare generica e meramente avversativa, in quanto non indica le ragioni per cui la valutazione della Corte doveva nel concreto essere disattesa.
Il quarto motivo, incentrato sul mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, è inammissibile.
Il Tribunale, nella sentenza di primo grado, a proposito di tale benefico, trattando dei due coimputati unitariamente, aveva affermato che le precedenti condanne erano preclusive i qualsiasi beneficio (pag 7).
Il motivo di appello con cui era stata impugnata detta statuizione aveva un contenuto generico e avversativo, in quanto, a fronte dell’affermazione per cui gli imputati erano gravati da plurimi precedenti, si limitava ad affermare la sussistenza di un solo precedente non ostativo.
Ne consegue che la carenza argomentativa della sentenza impugnata non può essere censurata, per molteplici e convergenti ragioni. In primo luogo si osserva che, come già affermato da questa Corte, il mancato esame, da parte del giudice di secondo grado, di un motivo di appellò non comporta l’annullamento della sentenza, quando la censura, se esaminata, non sarebbe stata in astratto suscettibile di accoglimento, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, COGNOME, Rv. 277281; Sez. 2, n. 35949 del 20/06/2019, COGNOME, Rv. 276745 – 01Sez. 3 n. 21029 del 03/02/2015, COGNOME, Rv. 263980) e non dà luogo ad un vizio di motivazione rilevante a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. allorché, pur in mancanza di espressa disamina, il motivo proposto debba considerarsi implicitamente assorbito e disatteso dalle spiegazioni svolte nella motivazione in quanto incompatibile con la struttura e con l’impianto della stessa, nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che ne compendiano la “ratio decidendi” (sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277593 – 01; Sez. 2, n. 37709 del 26/09/2012, Giarri, Rv. 253445).
Nel caso in esame, come detto, il motivo, già per come formulato, avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile per difetto di specificità.
A ciò deve aggiungersi che la Corte di Appello ha espressamente menzionato “la preoccupante pervicacia nel delinquere” della ricorrente, così implicitamente dando atto dell’assenza dei presupposti per sospendere la pena (in tal senso Sez. 4, n. 34754 del 20/11/2020, COGNOME, Rv. 280244 – 05 secondo cui “Le ragioni del diniego dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale possono ritenersi implicite
nella motivazione con cui il giudice neghi le circostanze attenuanti generiche richiamando i profili di pericolosità del comportamento dell’imputato, dal momento
che il legislatore fa dipendere la concessione dei predetti benefici dalla valutazione degli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen.).
5. Al rigetto del ricorso segue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
ricorrente al pagamento delle spese
Rigetta il ricorso e condanna la
GLYPH
processuali
Così deciso in Roma 29 aprile 2024
Il Consiglis,psore
Il Presidente